Tempi num.50 del 13/12/2007 0.00.00
Tirabaci tirapugni
«Signora, sa quando viene a prendermi la mamma?». Nell'ospizio gli occhi di una vecchia tornata bambina
di Corradi Marina
Nella sala di soggiorno hanno fatto l'albero. Le palline riflettono la sala deformandola dentro i globi lucenti: i tavoli di formica, le ruote cromate delle sedie a rotelle, gli ospiti sulle poltrone, ben coperti contro il primo freddo che batte umido e insinuante alle finestre. Hanno più di ottant'anni, sprofondati nella demenza senile vanno verso un Natale ancora, in questa casa di riposo ben tenuta, decorose le stanze
, ben pettinate le ricoverate dalle infermiere.
Curati e in ordine, gli ospiti alle undici han già davanti bicchiere e tovagliolo, mentre dalla cucina si allarga l'odore del sugo.
Ma stanno abbandonati sulle poltrone come sacchi svuotati e inerti. Chi guarda fisso nel vuoto, chi piega la testa, abbandonato al torpore. Chi sgrana lo sguardo appannato oltre i vetri, sugli alberi scossi dal vento, attonito, come non riconoscendo più niente.
Le giovani inservienti vanno e vengono a passi veloci, maternamente sgridano, come si fa coi bambini piccoli, il vecchio che si alza e senza sapere che fare vaga, incespica, intralcia: «Giovanni, torna al tuo posto!».
C'è un signore distinto seduto accanto alla finestra. Cerca il tuo sguardo, lo incrocia, ci si aggrappa come un naufrago che scorga dopo mesi all'orizzonte la sagoma lontana di una nave. «Sono un ingegnere chimico», ti dice, ma senza certezza, quasi con un'ombra interrogativa. Ti avvicini: «Un ingegnere chimico», ripete ostinato, a capo chino.
La vecchia fragile come una farfalla in una teca di vetro annuncia come lei stessa stupita: «Io ho 92 anni!». E all'altro capo della sala due compagne ripetono ad alta voce: «Mamma mia, 92 anni! Mamma mia, 92 anni!». E battono col cucchiaio sul tavolo, come infanti. Un'altra, al collo un filo di perle da signora, ti afferra delicatamente un braccio. «Sa per caso, signora, quando arriverà la mia mamma?».
Ti trafigge un pensiero: anche i tuoi figli adolescenti, anche la tua bambina con gli occhi da gatta, saranno un giorno così. Il cuore cade con un tonfo a quell'immagine: loro un giorno dei vecchi, abbandonati nelle stanze di un dignitoso ospizio. Sull'onda di quell'urto, guardi quegli ottantenni, le loro braccia secche svuotate di vigore, come non li hai mai visti. Come li avessi conosciuti bambini, e ora la loro impotenza invece che farti paura si allargasse in una mai provata misericordia.Figli, i vecchi sono come dei figli che misteriosamente sono tornati indietro, al primo giorno, inermi come neonati. La parabola intera è compiuta. Forse solo a novant'anni, quando si viene di nuovo imboccati, del tutto impotenti, si è finalmente uomini.
È strano, siamo gli unici animali che vivono tanto, dopo aver superato l'età feconda. Molti anni ancora, quando ormai siamo inutili alla sopravvivenza della specie. Per cosa ci è dato tutto questo tempo? «Signora, sa quando viene a prendermi la mamma?», chiede la vecchia con gli occhi da bambina. Quella stanza specchiata dentro le palle iridescenti dell'albero di Natale, l'inverno che guarda dentro dai vetri. È una vertigine di mistero la vecchiaia.
Nessun commento:
Posta un commento