Parla Paola Bonzi, «anima» del Cav alla Mangiagalli di Milano «Mi sono dimessa quindici giorni fa: siamo senza fondi di fronte all'emergenza, ora che fine faremo?»
di Francesca Lozito
Tratto da AVVENIRE del 20 dicembre 2007
«Non ce la faccio più: non è possibile guardare negli occhi una donna che sta per abortire e doverle dire che non sono in grado di aiutarla». È un grido di allarme fermo e deciso quello di Paola Bonzi, l’anima del Cav della Mangiagalli di Milano.
Il centro di aiuto alla vita dell’ospedale milanese si trova in una situazione di crisi profonda ed è dimenticato quasi da tutti, dalle istituzioni, come dalla struttura ospedaliera stessa, nono- stante qualche tempo fa l’ospedale sembrasse intenzionato ad affidare proprio agli operatori del Cav il colloquio previsto dalla legge 194 per le donne che decidono di abortire.
Un colloquio preliminare che è fondamentale per capire la situazione di chi decide di compiere un gesto così drammatico come l’aborto. «Quindici giorni fa mi sono dimessa – continua la Bonzi – c’era bisogno di un gesto forte ed io l’ho fatto. Non potevamo andare avanti così, da aprile non siamo più in grado farci carico di nuove persone a cui assegnare il sussidio di aiuto alla maternità». E il servizio offerto dal Cav che è collocato – unico caso in tutta la città – all’interno di una struttura ospedaliera, a contatto quindi diretto con quelle che sono le urgenze e le necessità di chi si trova a dover scegliere se portare avanti o meno una gravidanza,
è importante a partire dai numeri: solo lo scorso anno sono nati 841 bambini con il loro supporto. Una struttura che conta 114 soci, 4 dipendenti, 20 collaboratori e 36 volontari. E che è attiva da più di vent’anni. «Eppure – commenta amaramente l’ex direttrice – se sinora abbiamo accolto una madre, perché 'nascesse' assieme al figlio, oggi potremmo non farlo più».Il primo appello, dunque, è rivolto alla struttura ospedaliera milanese in cui il Cav si trova: «All’Ospedale – dice la Bonzi – chiediamo che ci riconosca a tutti gli effetti con una sede adeguata, vicina alla segreteria della 194, perché noi siamo in grado di offrire uno spazio di riflessione che è dovuto secondo la legge a queste donne, è un loro diritto sapere e essere informate ».
Il Centro di ascolto sarebbe dovuto partire nel settembre del 2006 per volontà precisa della struttura sanitaria che aveva deciso di affidare questo compito al Cav riconoscendone la professionalità acquisita sul campo.
«Nel primo trimestre del 2007 – afferma la direttrice dimissionaria – le donne che si sono rivolte a noi sono aumentate dell’83%. All’interno dell’ospedale c’è chi afferma che l’anticamera della zona dove le donne vanno ad abortire è una valle di lacrime, qualcosa vorrà pur dire, no?»
Sono immigrate, ma non solo, le madri di cui il Cav della Mangiagalli diventa una sorta di «angelo custode ». Le storie che si possono ascoltare sono le più incredibili,
sono soprattutto storie dimenticate e rimosse dalla coscienza collettiva che non vuole vedere e farsi carico della scelta che qualcuno, a dispetto della povertà e della miseria in cui vive, sceglie di portare avanti: dare spazio alla vita che porta in grembo, assumendosi grande responsabilità e facendo un immenso gesto d’amore.
Ma Paola Bonzi lancia un appello prima di tutto alle istituzioni comunali: «Dovè finita la Milano col cuore in mano? Da lì fino ad ora per noi c’è stato solo silenzio».
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