letture conciliari, Christian
di Giuliano Ferrara
Ieri pomeriggio, giovedì, ho lavorato al Foglio per la chiusura delle pagine, ho letto ovviamente tutte le lettere sulla moratoria, che sono semplici e belle, il fondino di Sergio Soave su Scalfari che mette limiti alla provvidenza (gustoso), il Pieraccioni di Langone, consacrazione del nostro reverse snobism, della nostra avversione al contegnoso senso di sé che hanno le opere e gli operatori di serie A
(naturalmente quello di Pieraccioni, che ho visto per venti minuti in un cinema affollatissimo di Orbetello, è un film - make no mistake, altro che giuggiole - imbarazzante per quanto è brutto). Quanto all'attacco velenoso al nome Christian, per evidenti ragioni Langone sarà punito con una forte ammenda.
E spero che Christian Rocca gli risponda a tono, ovviamente in inglese. Ok? Bellasio è riuscito a coprire alla grande, senza risorse umane (come dicono i capi del personale), l'assassinio di Benazir Bhutto. Auspico ricordino con insistenza, i commentatori (non li ho ancora letti), che Benazir era una donna di potere, dura, forse corrotta come sono corrotti gli uomini di potere duri che giocano in situazioni dure, una un po' diversa dalle Ségolène andanti di oggigiorno, che non diceva ai pakistani "j'ai besoin de vous", piuttosto gli diceva: "avete bisogno di me", e della mia coalizione tribale per la democrazia possibile, quella del pugno di ferro. Auspico ricordino, i commentatori, che questo spicinìo di morti ammazzati, a grandi mazzi come certi invii di fiori, è il prodotto del cancro islamista, non degli errori dell'impero americano, senza del quale saremmo già governati da qualche emiro, qui in Europa. Ieri sera, dopo il brodino di dado, ho letto brani da un libro di Gilles Routhier, storico québecois, sull'ermeneutica e la ricezione del Concilio Vaticano II: è il libro di un Alberto Melloni che scrive in francese, appena più moderato del maestro di Bologna erede di Pino Alberigo, e la sua tesi è che del Concilio conta la storia evenemenziale, lo spirito e l'attesa dei fedeli, il fatto pentecostale, più che i documenti, tesi esposta con molta dignità accademica, passione militante per una chiesa cattolica nuova e diversa da quella passata, e soprattutto con il conforto della teologia della recezione conciliare del cardinale teologo progressista moderato Walter Kasper e il bollo prestigioso dell'editrice Vita e pensiero della Cattolica di Milano. Poi ho pensato che bisognava rileggersi la Humanae vitae, l'enciclica scandalosa con cui Paolo VI, di venerata memoria, festeggio il 1967 + 1, nel luglio di quell'anno, mettendo un segno di contraddizione nella recezione entusiastica del Concilio e dicendo agli uomini e alle donne del suo tempo che è meglio amarsi e fare figli, anche regolando con mezzi naturali e continenza la natalità, piuttosto che scopazzare in giro.
Ieri fu tutto un "apriti cielo!", ora quel testo inattuale, anche per merito di Kakà e del suo casto "I belong to Jesus", torna buono per riflettere su questi primi quarant'anni della modernità, sebbene alla riflessione manchino un miliardo e più di cittadini del mondo esclusi dall'aborto di massa e dall'eugenetica dispiegata.
Alle sette e mezzo, puntuale, stamane venerdì è arrivata suor Augusta, mi ha pizzicato il sangue alla perfezione. Nel pomeriggio i risultati, che saranno festosi. Nel quinto giorno di brodini, mi sento un leon che rugge. La dieta speciale pro moratoria continua fino all'ottavo giorno, ma è cosa fatta, mi pare.
Sconsiglio fiaccolate, per l'anno prossimo. Secondo me bisognerà organizzare in primavera una riunione europea di cinque milioni di persone a Roma, in cui si manchi di rispetto all'aborto di massa e si denunci la vergogna dell'eugenetica.
Un miliardo di aborti nel quarantennale della Humanae vitae? Cinque milioni di persone saranno appena sufficienti. Sogno? No, sono sveglio e sto per andare al Foglio, spero ancora lucido.
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