lunedì 17 dicembre 2007

HO TROVATO IL MIO MAESTRO

«Un certo cattivo gusto mi ha impedito di scambiare la libertà coi buoni sentimenti. Ecco perché ho incontrato il "reazionario" Ratzinger, il bene più prezioso che ho». La speranza di Lindo Ferretti
di Ferretti Giovanni Lindo
Tempi num.50 del 13/12/2007

È al cospetto della morte che si rende inevitabile la questione circa il significato della vita. Lo scrive il nostro Santo Padre nella enciclica Spe Salvi e continua ricordando che, negli antichi sarcofaghi, la figura di Cristo era rappresentata con l'immagine del filosofo e l'immagine del pastore.

Ho letto l'enciclica allegata al Foglio. Quel giornale continua a cumulare, ai miei occhi, meriti in alto e in basso, sacro e profano. Mi allena lo spirito critico ed è capace di muovermi a sonora risata. Ho letto l'enciclica d'un fiato, come un racconto che m'appassiona. Mi ha trascinato la scansione sapienziale, lo stile di scrittura, la limpidezza della verità che vi affiora, sboccia e ti fa dire: «Sì, proprio così, lo so, è vero».
Ho sempre nutrito interesse per la storia dell'uomo, dell'umanità, ma non ne ho fatto un'acquisizione accademica; tanto meno posseggo conoscenze teologiche che mi permettano di contribuire a un dibattito sulla traduzione delle Sacre Scritture fatta da Lutero. Di riflesso ne vengo toccato, illuminato o rabbuiato, ma altro è il mio vivere. Non mi stanco di ripetere che sono nato e sono stato allevato cattolico romano ma, in rotta, per mio conto, ho cercato, confidando nel progresso culturale-tecnologico-scientifico, votandomi alla liberazione politica, di conquistare lo status di uomo-nuovo. Ne ho verificato ogni esito, dal tragico al ridicolo nella mia storia personale, in quella del mio paese, del mio mondo, del mio tempo. Non mi sono suicidato. Mi darei colpi in testa per la dabbenaggine ma non sono diventato cinico, né rincoglionito. So della mia miseria, del mio peccato, ma non dispero. Percepisco, come pienezza, momenti di amore infinito nella creazione e nelle creature. Ne sono sollevato, a volte annichilito. Sono tornato a casa, quella di mio padre e mia madre, dei miei nonni. Sono tornato in chiesa, ho ripreso a frequentare comandamenti e dottrina, ho ritrovato la preghiera.
All'inizio ero solo, sommerso e intrappolato da pensieri di cui avevo verificato l'inutilità quando non il danno. Non è facile trovare maestri, non è facile mai, soprattutto nel proprio tempo. Io ho trovato il mio maestro, l'ho trovato perché ho sempre coltivato un certo cattivo gusto nel non lasciarmi travolgere dalla marea mielosa di buoni sentimenti falsi e imperanti. Non ho mai scambiato la mia libertà con il corretto o il conveniente, cantavo, in gioventù, «produci consuma crepa». Era una constatazione e un giudizio. So in cuor mio che c'è una verità e cosa è giusto. È un retaggio dei secoli nei secoli, è il lascito prezioso dei miei vecchi. Così un giorno, stanco di leggere sui quotidiani frasi estrapolate ed esposte al pubblico disprezzo del reazionario per eccellenza, il "pastore tedesco", entrai in libreria e chiesi: «Non ha mai scritto un libro, questo tal Ratzinger?».
Avevo il mio maestro, e tanta fu la sorpresa, la gioia, il conforto, che lo dicevo a tutti continuamente. Fu il varcare la soglia, definitiva e originaria, concreta, del mio ritorno. Le cose succedono, conseguono e si cambia. Per un po' di tempo ho coltivato il sogno di incontrarLo sui banchi di una università, come docente. Era ciò che chiedeva per sé ma Colui che avevo eletto mio maestro è stato eletto papa, Benedetto decimosesto. Ogni pontefice della mia vita è stato, comunque io fossi, un Santo Padre. Giovanni XXIII - io ero un bambino - con la dolcezza e il sorriso e quell'aria arguta e contadina. Paolo VI quando riaffermò tra il sarcasmo di molti che il diavolo esiste. Ero allora un giovanotto anticonformista e ribelle ma non ne avevo mai dubitato, l'avevo dimenticato. Mi fece piacere il suo ricordarmelo. Giovanni Paolo II mi colpì per la sua forza, la presenza. Un incedere da patriarca biblico tra gli sconvolgimenti da globalizzazione e il crollo comunista. Il suo lungo pontificato ha coinciso con la mia massima lontananza, me lo sono perso. L'ho ritrovato vecchio, malato, indomito. Prima dolorante poi immagine stessa del dolore, accettato e mostrato. Muto alla fine ma molto comprensibile in una marea montante che parla di continuo e da dire non ha niente.

I tempi della cucina e del lievito
Il valore del pontefice è essere a capo della Chiesa, vicario di Cristo sulla terra e Sua immagine. Legato indissolubilmente al proprio tempo e tramite privilegiato con l'Eterno. Ruolo immutabile e persona, unica e irripetibile, ogni volta. Il nostro Santo Padre è pastore e filosofo. Opera nel contingente senza esserne succube. Penso alla lezione di Ratisbona, così osteggiata e svilita dagli esperti mediatori cultural-religiosi di quella che fu la Cristianità. Penso alla Deus caritas est, che misura la verità della Chiesa col moralismo sentimentale di un umanesimo contro Dio. Penso al Gesù di Nazaret che traccia un cerchio perfetto e torna all'inizio, dialoga col testo di un rabbi contemporaneo e va dritto al centro. E ogni volta mi appare l'immagine del rabbino Toaff, sul sagrato di San Pietro, in anticipo, unico invitato personale del Santo Padre Giovanni Paolo II alle proprie esequie.
Della Spe salvi ci sono paragrafi già sottolineati, fulminanti, ma grazie a Dio il tempo delle encicliche non è quello dei media, della notizia, dello spettacolo; piuttosto del tavolo in cucina, del lievito. Volete che mi addentri nella dimensione teologico-pastorale dell'enciclica, che ne sveli profondità e rimandi? Avete sbagliato persona. Volete qualcuno che la contesti svelandone il retropensiero reazionario? Cercate nel gregge e sarete accontentati. Ho letto una recensione, cristiana, sul Gesù di Nazaret che prima mi ha fatto arrabbiare, poi disgustare, poi avrei pianto per lo scoramento e volevo rispondere, ma ho pregato.

Fuori dalla prigione intelligente
Io non posso che confermare, una volta di più, il mio affetto, la mia riconoscenza; la gioia che mi dà il Santo Padre. Lui sa parlare al mio cuore. Custode del mistero, forza la mia ragione alla comprensione. Lui che parla a tutti, ma proprio tutti, essendo tramite e garante sulla terra della Comunione dei Santi, sembra che parli a me, personalmente anche se in lettera aperta. Il maestro, si sa, è il bene più prezioso di un discepolo. Non vedo l'ora di avere tra le mani l'edizione vaticana dell'enciclica che mi facilita lo studio (sono un po' orbato dall'età) e favorisce la meditazione. La parola, se vera, opera e trasforma. L'apprendere fortifica e allieta. Ma questo lo si deve verificare nella quotidianità del vivere, altrimenti è una gabbia per colti, una prigione intelligente.

Tempi num.50 del 13/12/2007

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