L’esistere come uomo/donna, nelle sue diverse manifestazioni legate alla coniugalità, paternità, maternità, fraternità, sororità, rappresenta la strada elementare per la scoperta dell’altro, del suo posto costitutivo in vista del compimento dell’io[4]. Senza questi fattori, che l’uomo incontra nel matrimonio e nella famiglia intesi come luogo stabile e definitivo di un coinvolgimento dell’uomo e della donna, è di norma assai difficile imparare l’amore, l’amicizia, il dono sincero di sé, la vita come compito.
1. Libertà, realtà, verità.
Ancora di recente la sociologia americana ha riproposto l’utopia del familismo pubblico[1]. L’espressione sta ad indicare il fatto che la famiglia minima (cioè ridotta all’ombra di ciò che fu) dovrebbe decidersi a cedere molte delle sue funzioni tradizionali a istituzioni statali. Ebbene, la ripresa di questa utopia - e la chiamo utopia perché la reputo nello stesso tempo irrealizzabile e potenzialmente violenta - non riesce a convincerci che la famiglia sia una istituzione ormai minata, se non addirittura destinata a sparire. Al contrario restiamo dell’idea che, nell’immaginario collettivo, si continui ad identificarla, nei suoi elementi minimali, come la convivenza tra un uomo e una donna che non può non porsi, non foss’altro per escluderla, la questione del figlio. Questo concetto di famiglia, al di là delle evidenti, gravi fragilità che oggi lo caratterizzano[2], resiste. Anzi, in se stesso, non è direttamente messo in discussione, mentre risente del venir meno del senso della coppia.
La coppia è in grave crisi. Fenomeni come la cultura dei “singles”, le cosiddette unioni di fatto o lo stesso parlare di unioni omosessuali - senza voler entrare, in questa sede, nella questione dei diritti dei soggetti che danno vita a questi legami - rivelano, antropologicamente, una crisi della coppia come tale, piuttosto che una crisi della famiglia, anche se ovviamente la prima influisce pesantemente sullo stato di salute della seconda. Questa crisi deriva da una confusione circa il significato di una delle dimensioni costitutive dell’umana natura: quella dell’uomo/donna che il Papa, nella Mulieris dignitatem, ha chiamato l’«unità dei due», riferendosi al significato originario del genere sessuale, inscritto nella costituzione stessa dell’uomo ad opera dell’atto creativo del Dio Unitrino[3].
L’esistere come uomo/donna, nelle sue diverse manifestazioni legate alla coniugalità, paternità, maternità, fraternità, sororità, rappresenta la strada elementare per la scoperta dell’altro, del suo posto costitutivo in vista del compimento dell’io[4]. Senza questi fattori, che l’uomo incontra nel matrimonio e nella famiglia intesi come luogo stabile e definitivo di un coinvolgimento dell’uomo e della donna, è di norma assai difficile imparare l’amore, l’amicizia, il dono sincero di sé, la vita come compito.
Come è possibile che aspetti così essenziali dell’umano siano oggi preda di uno stato di confusione talmente accentuato? Dove cercare le cause e quali sono gli effetti di un simile stato di cose che, almeno nei nostri paesi occidentali, si presenta così diverso rispetto a quello di trenta-quarant’anni or sono? Non possiamo, in questa sede, compiere analisi, per quanto sommarie, sui processi di violenta transizione che hanno caratterizzato il passaggio dall’epoca moderna a ciò che viene, ormai comunemente, chiamato “società post-moderna”. È tuttavia certo che in questo passaggio, che come ogni salto epocale non è però senza precisa continuità con quanto lo precede, qualcosa di essenziale è mutato nell’esperienza elementare di incontro e di comprensione della realtà che l’uomo - ma è più giusto vederlo in proposito in solido con il popolo - compie per vivere[5].
La libertà, intesa secondo i canoni moderni come emblema dell’io, si presenta come inceppata nel suo incontro con il reale, così che l’uomo smarrisce la verità, definita dal sempre valido principio classico come l’adeguarsi dell’intelligenza alla realtà.
Proviamo a spendere qualche breve parola su come la nostra società e la cultura post-moderna intendono questi pilastri della nostra vita e del nostro convivere (mi riferisco ai temi della libertà, della realtà e della verità). Per essere più incisivo riprendo volentieri un’affermazione assai nota e geniale del compianto filosofo Augusto Del Noce. Egli sostiene che un carattere costitutivo del post-moderno è il nichilismo e, parlando dei nostri giorni, lo descrive in questo modo: «Il nichilismo oggi corrente è il nichilismo gaio, nei due sensi, che è senza inquietudine (forse si potrebbe addirittura definirlo per la soppressione dell’inquietum cor meum agostiniano) [cerca una sequenza di godimenti superficiali nell’intento di eliminare il dramma dal cuore dell’uomo] e che ha il suo simbolo nell’omosessualità (si può infatti dire che intende sempre l’amore omosessualmente, anche quando mantiene il rapporto uomo-donna) [il giudizio che qui ci interessa è antropologico, non anzitutto etico: il nichilismo gaio non “vedendo” la differenza, anche sessuale, come segno dell’altro, rischia di concepire l’amore come puro prolungamento dell’io (appunto omosessualmente)][6]. È impressionante riconoscere come in questo giudizio la questione antropologica primaria, quella dell’uomo/donna, sia acutamente posta alla nostra attenzione.
Sia detto per inciso che non vi è epoca storica i cui tratti salienti non possano essere decifrati guardando a come in essa si considerano il matrimonio e la famiglia. Per questo Giovanni Paolo II, nel suo instancabile magistero, ritorna in continuazione - con originalità rispetto ai suoi predecessori - su questi temi: matrimonio/famiglia non sono un aspetto (settore) della vita, ma una dimensione essenziale senza la quale non si può capire l’uomo (l’io ed il tu)[7].
Ora, cos’è questo nichilismo che ai nostri giorni non appare più tragico, ma camuffato sotto le mentite spoglie di una gaiezza ingannatrice?[8] È una concezione delle cose, resa mentalità dominante da una cultura sempre più pervasiva (media), per cui la realtà finirebbe nel nulla. Siccome l’uomo è limitato e sperimenta ogni giorno questo limite nella morte e nelle sue dolorose anticipazioni, allora tanto vale - al di là di quanto se ne sia coscienti - accettare che il niente sia il vero senso dell’essere. L’affermazione nichilista nega “vera consistenza alla realtà”. Ma se il reale non è reale, se, pertanto, non è possibile stabilire un rapporto solido di conoscenza e di amore tra l’io (intelligenza e libertà) e la realtà, allora non esiste verità (torno a ripetere che il concetto di verità è inteso qui come adaequatio rei et intellectus)[9]. Se l’uomo non può fare “esperienza” della realtà per attingere la verità, allora la libertà rimane assolutamente smarrita, resta una sorta di capacità che non ha oggetto e, quindi, alla fine neppure senso[10]. L’uomo di oggi fa un’esperienza della libertà che potremmo paragonare a quella di un affamato esposto al supplizio di tendere la mano verso una bella mela senza poterla mai afferrare.
2. La malattia della libertà e l’assenza di paternità.
Non possiamo, in questa sede, affrontare il complesso tema del rapporto libertà-realtà-verità quale si dà in ogni esperienza umana elementare, e ancor meno possiamo considerare come sia vissuto oggi dalla mentalità nichilista. Ci basti accennare, per spiegarci un poco, a ciò che vorremmo denominare la malattia della libertà, che la riduce, come abbiamo detto, ad una capacità senza oggetto[11]. Essa si manifesta in un paradosso. Da una parte, il più insignificante tentativo di condizionare anche l’espressione più effimera della libertà è sentito come una violenza inaccettabile. Dall’altra, c’è una paura estrema dell’uso della libertà. Non si vuol rischiare nulla per la libertà, mentre la categoria del rischio - intesa in senso oggettivo, come lo sporgersi consapevole dell’io verso il reale - è essenziale alla libertà stessa[12].
Per essere concreti possiamo illustrare la malattia della libertà facendo riferimento ad un fenomeno grave e massiccio che attanaglia la vita delle nostre famiglie e della società in generale. Mi riferisco all’assenza di paternità. Intendo per paternità non solo quella decisiva e propria della figura maschile, ma quella dimensione costitutiva dell’attitudine educativa primaria propria dei genitori in genere. Poiché la paternità è la sorgente ed il paradigma di tutto il fenomeno educativo[13], l’assenza di paternità è al contempo causa ed effetto della malattia della libertà e pertanto di quell’offuscarsi dell’esperienza umana elementare di rapporto tra l’io e la realtà mediante la quale l’uomo accede alla verità. L’io è pertanto incapace di crescere secondo la totalità delle sue potenzialità ed è sempre più in balìa della vertigine del nulla. Infatti, se esiste oggi una difficoltà nel fenomeno educativo come tale, è la difficoltà a riconoscersi figli e quindi ad essere padri[14].
La figliolanza, cioè la dipendenza da un padre è, per natura, obiettivamente, il luogo in cui la libertà dell’uomo scopre la necessità di un legame in vista del proprio compimento. Ce lo richiama la Lettera agli Efesini (4,6): «Un solo Dio Padre di tutti, che agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti». Anche a livello umano il padre è il fattore primario ed è presente al figlio all’origine, nel cammino dell’esistenza e nel destino. Esaminiamo per un istante queste tre dimensioni della paternità. Un figlio è legato al padre nell’origine: quello che il figlio è, gli è stato dato, lo riceve da una paternità[15]. Un figlio è legato al padre nel cammino. Il suo cammino è il frutto di un rapporto col padre, implica uno scambio continuo che va dal padre al figlio e viceversa, anche se non in modo simmetrico, ma secondo il principio di autorità (auctoritas: ciò che fa crescere). Un figlio è legato al padre nel destino perché quest’ultimo non è raggiungibile in solitudine, e senza una paternità (che riflette sempre quella di Dio) la solitudine non è mai radicalmente tolta.
Ora, esiste una corrispondenza tra le tre dimensioni della paternità e le dimensioni della umana libertà. La paternità nell’origine tocca la libertà in quanto accende il desiderio, l’inclinazione naturale o amor naturalis (così lo chiamava san Tommaso) su cui poggia tutto l’esercizio della libertà[16]. C’è, quindi, un nesso tra la paternità e la figliolanza nell’origine perché dalla paternità è primariamente mosso il desiderio, cioè l’energia con cui l’io entra nella realtà aderendo ad essa in verità.
Vi è poi una relazione tra libertà e paternità nel cammino. Lo si vede bene nella possibilità di scelta propria della libertà[17]. Nel quotidiano scambio di amore il padre consegna al figlio una visione della vita e il figlio sceglie perché è capace di giudizio (di critica, nel senso nobile del termine). E infine c’è una corrispondenza tra libertà e paternità nel destino, perché il destino cui il padre accompagna il figlio è l’Infinito e l’adesione all’Infinito è l’essenza della libertà[18].
La paternità intesa come dimensione permanente dell’essere genitori si presenta così strutturalmente ancorata alla libertà, a tal punto che le tre dimensioni costitutive della libertà sono implicate nella relazione padre-figlio. Ecco perché la malattia della libertà e l’assenza di paternità vanno di pari passo. La cultura nichilista riduce tutta la libertà al secondo livello di cui abbiamo parlato. Essa è fatta coincidere con la capacità di scelta. Così il desiderio costitutivo (primo livello) è come non ci fosse e il terzo livello della libertà, il suo oggetto adeguato, non fosse l’Infinito. Per questo la libertà è sospesa. La crisi della libertà si manifesta, nella nostra società, sia come crisi del desiderio, sia come perdita dell’oggetto adeguato di tale desiderio che è l’Infinito. L’esito finale di questa crisi è una concezione di libertà come assenza di legami: uno è libero quando è libero da ogni tipo di legame. Viene in questo modo contraddetta l’essenza della libertà, poiché tutta la sua struttura (l’inclinazione naturale, la capacità di scelta e l’adesione-obbedienza all’infinito) integralmente giocata esige la capacità di “legarsi”. Il legame infatti - inteso nel senso compiuto della parola - è ciò che meglio definisce la libertà, perché ne definisce l’origine, ne definisce il cammino, ne definisce il destino. E quindi implica il desiderio, implica la scelta, implica l’adesione. Libertà dai legami e assenza di paternità sono allora due facce della stessa medaglia.
Nella tradizione del pensiero occidentale vi è una pagina che descrive quanto ho detto in modo magistrale. È la parabola del Figlio prodigo[19]. I tre fattori del nesso paternità/libertà sono simultaneamente in gioco: desiderio-origine, scelta-compagnia nel cammino, adesione-verità del destino. Nell’esperienza della misericordia del padre verso il figliol prodigo si vede cosa deve essere paternità e cosa deve essere figliolanza. Come dice Efesini 4,6: la paternità di Dio opera in tutti ed è sempre presente a tutti nella libertà.
Quando il figlio gli dice: «Dammi la mia parte, io vado per conto mio», il padre, colui che è all’origine, dà. Quello va e sperpera, gioca la sua libertà, cioè crede che il suo desiderio si attui attraverso un certo tipo di scelta: rompere i legami per prendere la propria strada. Poi viene la crisi. Torna indietro. E la passione paterna al destino del figlio è così grande che riaccoglie lo sciagurato che lo aveva vilipeso ed offeso; lo perdona perché nel padre più potente di ogni altra cosa è il reimmettere il figlio sulla strada del destino, cioè liberare la sua libertà.
Si vede qui, in un certo senso, come nella paternità si possa raggiungere il vertice della tenerezza. Noi siamo soliti pensare che questo sia proprio soprattutto della maternità. Invece la paternità rappresenta il fattore naturale più stabile e potente per mettere in moto la libertà. E, pertanto, anche e, forse, soprattutto il padre, nel dono totale di sé, nel perdono, rivela una tenerezza radicale. Ed è per questo che la tragedia della libertà del nostro tempo è così grave, perché oggi i padri sono assenti. Non ci sono i padri. A qualunque livello. E le madri non possono fare i padri.
A livello umano, c’è forse una sola analogia con questa esperienza di tenerezza paterna: è la capacità di perdono tra l’uomo e la donna, nel matrimonio. Solo questo atteggiamento sembra stare al passo col perdono del padre. L’esperienza riportata da questa parabola, come esperienza di paternità-figliolanza nella quale si mette in gioco la libertà con tutte e tre le sue dimensioni fondamentali, rappresenta una delle modalità più persuasive di comunicazione della verità per l’uomo di oggi. Essa è, infatti, un segno sicuro della misericordia di Dio Padre il cui nome proprio è Gesù Cristo.
[1]Cfr J. E. DIZARD-H.GADLIN, La famiglia minima. Forme della vita familiare modernai, Milano 1996.
[2] Per un’analisi sulla situazione della famiglia oggi, da prospettive molto differenti e in alcuni casi discutibili, cfr: C. ANDERSON, La familgia nella missione della Chiesa, Il Nuovo Aeropago 2 (1994) 6-223; P. A. AUDIRAC, Cohabitation et Mariage: qui avec qui? in Economie et Statistique (1982) 41-61; G. COLOMBO, Conclusa la ricerca sulla “Famiglia”, La Gazzada XII (1992) n. 23, 9-13; F. F. FURSTENBERG, Preliminary Pregnancy and Marital Instability, in Journal of Social Issues 32 (1976) 67-86; G. B. GLICK - SPANIER, Married and Unmarried Cohabitation in teh United States, in Journal of Marriage and Family 42 (1984) 631-642; L. ROUSSEL, Les nouveaux modèles familiaux, Paris 1984; E. SCABINI, L’organizzazione famiglia tra crisi e sviluppo, Milano 1985; R. SCHNACKENBURG, Ehe und Ehescheidung unter Christen, München 1972; A. SCOLA, Crisis della libertad, familia y evangelio de la vida, in Anthropotes 2 (1995) 99-110.
[3]MD 6-7. Cfr A. SCOLA, L’Imago Dei e la sessualità umana. A proposito di una tesi originale della “Mulieris dignitatem”, in Anthropotes 1 (1992) 61-73.
[4]Cfr A. SCOLA, Identidad y diferencia, Madrid 1989; ID., Hans Urs von Balthasar. Uno stile teologico, Milano 1991, 109-110.
[5]Sul tema modernità-postmodernità cfr: F. BOTTURI, Modernità e crisi dell'universale; dalla secolarizzazione al nichilismo. Per una Filosofia, Milano 1992, 82-91; H. BLUMENBERG, Die Legitimitaet der Neuzeit, Frankfurt 1966; K. LOEWHIT, Significato e fine della storia (1953), tr. it., Milano 1972; M. UREÑA-J. PRADES, Hombre y Dios en la sociedad de fin de siglo, Madrid 1994. Un'analisi delle più recenti teorie della secolarizzazione si può trovare nel volume di G. RUH, Saekularisierung als Interpretations Kategorie. Zur Bedeutung des christlichen Erbes in der modernen Geistesgeschichte, Freiburg-Basel-Wien 1980.
[6]A. DEL NOCE, Lettera a Rodolfo Quadrelli, Inedito, 1984.
[7]In questo senso è di grande utilità il documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica Direttive sulla formazione dei seminaristi circa i problemi relativi al matrimonio e alla famiglia, del 19 marzo 1995.
[8]Sul nichilismo cfr: G. DALMASSO, Immagini della scienza. Dalla conscienza moderna al nichilismo, in Il nuovo Areopago 2 (1982) 106-113; T. GADACZ, La provocazione del Nichilismo, in Il Nuovo Areopago 3 (1995) 5-17; A. MOLINARO (a cura di ), Interpretazione del nichilismo, Roma 1986 Di grande interesse sarebbe l'approfondimento del nesso gnosticismo-nichilismo nella direzione aperta da H. JONAS, Gnosticismo, esistenzialismo e nichilismo, in "Lo Gnosticismo", Torino 1991.
[9]La verità può essere così definita almeno nel suo nucleo essenziale. Dico nel suo nucleo essenziale per far presente le riserve della filosofia personalista: “Com'è noto, Tommaso d'Aquino ha definito la verità come adeguazione dello spirito alla realtà. La filosofia personalista del periodo tra le due guerre mondiali e dell'immediato dopoguerra ha evidenziato con critica serrata l'insufficienza di questa definizione. Certamente con questa formula non è detto tutto, ma viene palesato quanto è decisivo: percepire la verità è un fenomeno che rende l'uomo conforme all'essere. E' un "convenire-in-uno" di io e mondo, è accordo e consonanza, è esser-donati ed esser-purificati”: J. RATZINGER, Natura e compito della teologia, Milano 1993, 39-40.
[10]Sulla relazione tra verità e libertà, cfr J. RATZINGER, Libertà e Verità, in Communio Rivista Internazionale di Teologia e Cultura 144 (1995) 9-28.
[11]Sintetiche osservazioni sulla vicenda della libertà e sulla libertà negata a partire dalla modernità in: P. GILBERT, Libertà e impegno, La Civiltà Cattolica 3505 (1996) 147, 17-20.
[12]Profonde osservazioni in proposito già in R. GUARDINI, Grundlegung der Bildungslehre, in Vom stilleren Leben, Welt und Erziehung 16, Würzburg 1956.
[13]Sul fenomeno educativo cfr M. LENA, Educazione come ricerca dell'insperato, in Il Nuovo Areopago 2 (1992) 7.
[14]Ho riflettuto sull’educazione in: A. SCOLA, Nota Pastorale “E tutti saranno ammaestrati da Dio”, Grosseto 1993.
[15]Cfr B. BERTRAND, Essere figlio: ricevere un'origine, in Il Nuovo Areopago 2 (1992) 21.
[16]Il primo aspetto della libertà, che emerge dall'impatto con il reale, può trovare una più valida spiegazione nella prospettiva di quel realismo cristiano che ha la sua fonte più classica in Tommaso d'Aquino. Egli, nel “De passionibus” un trattato della Summa Teologica che mantiene tutta la sua attualità anche in confronto con le scienze psicologiche moderne (De passionibus S. Th. I-II, qq. 22-48), descrive come primo esito del rapporto uomo-realtà la nascita di una attrattiva originaria, in un certo senso preconscia (il termine è preso dal Maritain. Sempre attuali notazioni su questa questione in J. MARITAIN, Freudisme et psychanalyse, in Quatre essais sur l’esprit dans la condition charnelle, Paris 1939. Cfr A. SCOLA, L’alba della dignità umana, Milano 1982), che polarizza il successivo muoversi della volontà umana guidata dalla ratio.
[17]Per un’analisi dell’atto di libertà nel suo secondo fattore costitutivo comunemente denominato «libero arbitrio» cfr R. GUARDINI, Libertà, grazia, destino, Brescia 1968, 74-84.
[18]Occorre riconoscere il terzo fattore che spiega la libertà dell'uomo che è l'unico suo oggetto adeguato: il Mistero stesso del Dio Unitrino. È questo il vero motore della nostra libertà; anche il nostro desiderio senza questa prospettiva ultima rimarrebbe incompiuto e si perderebbe in se stesso. L'unico scopo adeguato alla nostra natura è l'infinito. Riassuntivamente si può dire, ancora con Balthasar, che la libertà finita, nella sua autoesperienza, si accorge irriducibilmente di essere un «da dove» (woher), di essere realmente donata a se stessa, mentre il suo movimento di autoapertura le fa cogliere la propria esistenza come un «verso dove» (wohin) [cfr. H. U. VON BALTHASAR, Teodrammatica, Milano 1982, vol. II, 109ss). La libertà finita, dunque, è compresa nella sua struttura fondamentale solo nel riconoscimento di una libertà infinita, autofondantesi in modo assoluto e perciò capace di fondare illimitate libertà finite, dotate in se stesse di autopossesso e di capacità di assenso attraverso il rapporto con il reale. Fin dal rapporto primordiale con il tu destante la propria autocoscienza, il sorriso della madre per il bambino in cui l'essere stesso si rivela bello, buono, vero e uno, il soggetto umano è spalancato verso una libertà infinita che sola può rendere ragione dell'enigma dell'uomo (cfr H.U. VON BALTHASAR, Uno sguardo d’insieme sul mio pensiero, in Communio 105 (1989) 41).
[19]Lc 15, 11-32.
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