Al contrario, considerando la politica non come strumento di salvezza dell'uomo, ma come arte del compromesso virtuoso per il bene comune, e tenendo conto realisticamente delle forme elettorali e degli assetti istituzionali, è preferibile privilegiare quelle scelte volte a favorire assetti di potere che hanno più probabilità di lasciare spazio al libero operare di famiglie, movimenti, associazioni, iniziative economiche e sociali che animano la società, nell'ottica della sussidiarietà.
di Giorgio Vittadini
IL GIORNALE 29 FEBBRAIO 2008
In questo inizio di campagna elettorale non appare superfluo ricordare alcuni criteri utili (a un cristiano e non) per muoversi di fronte alla politica. Un vecchio adagio cattolico afferma che la politica, non solo non può e non deve pretendere di dare la felicità, ma neanche pretendere da sola di costruire il bene comune. Come ha detto Benedetto XVI, "anche le strutture migliori funzionano soltanto se in una comunità sono vive delle convinzioni che siano in grado di motivare gli uomini a una libera adesione all'ordinamento comunitario" (Spe Salvi, 24
a). Infatti, come disse don Giussani nel 1987 a un congresso della DC lombarda tenuto ad Assago, in queste comunità - realtà sociali, movimenti, mondo associativo - avviene più facilmente quell'educazione al "rapporto con l'infinito che rende la persona soggetto vero e attivo della storia", capace di generare opere e aggregazioni che esprimono la sua libertà e creatività. Allora, in questo contesto, quale è il ruolo della politica? Come disse ancora don Giussani ad Assago: "Politica vera […] è quella che difende una novità di vita nel presente, capace di modificare anche l'assetto del potere" in modo da "favorire uno Stato che sia veramente laico, cioè al servizio della vita sociale, secondo il concetto tomistico di bene comune ripreso vigorosamente dal grande e dimenticato magistero di Leone XIII".
Perciò, occorre evitare in politica ogni atteggiamento utopico che per affermare principi morali e ideali non tiene conto delle condizioni reali in cui la politica si esprime, e perciò finisce per permettere l'avvento di sistemi di potere incapaci di facilitare una convivenza libera e pacifica.
Oggi, ad esempio, questo autogol può avvenire sostenendo iniziative politico-etiche sacrosante nel contenuto ma che, nei fatti, provocano solo un radicalizzarsi dialettico del dibattito e quindi una minor probabilità di poter intervenire in modo ponderato ed approfondito, oggi o in futuro, su temi non negoziabili in quanto legati alla concezione stessa della persona.
Oppure l'errore può esprimersi anche disperdendo i voti e favorendo così involontariamente l'avvento al potere di partiti più lontani dalla propria concezione ideale.
Al contrario, considerando la politica non come strumento di salvezza dell'uomo, ma come arte del compromesso virtuoso per il bene comune, e tenendo conto realisticamente delle forme elettorali e degli assetti istituzionali, è preferibile privilegiare quelle scelte volte a favorire assetti di potere che hanno più probabilità di lasciare spazio al libero operare di famiglie, movimenti, associazioni, iniziative economiche e sociali che animano la società, nell'ottica della sussidiarietà.
Ancora oggi il principio della libertas ecclesiae et societatis è la vera bussola per il cristiano di fronte alla politica.
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