Cari amici,
Novembre ci ricorda una “massima” cristiana che mi é famigliare fin da piccolo “memorare novisima tua et in aetevnum non pecabis”. Ricordati dei novissimi e non peccherai mai. E i novissimi sono 4: morte, giuduzio, paradiso e inferno. Questo pensiero che fin da piccolo mi accompagna, da alcuni anni é la costante che domina i miei pensieri regalandomi una grande pace, un dinamismo che non ha tregua, una creativitá incessante e un amore impressionante all´istante in cui gioco il mio destino qui e dopo.
L´ospedale é un grande momento a questa memoria e per questo é una sfida continua alla ragione, alla vita, a prendere sul serio la realtá. Per me la clinica per pazienti terminali é la evidenza che la vita, la realtá chiede l´eternitá. Il punto é la vita, é la realtá e non il ruolo o le cose da fare che se non entrano in questa prospettiva ci asfissiano. Accompagnato ogni giorno dalla scuola di comunitá che in questo momento per noi quaggiú ci sfida con il capitolo dell´obbedenza, dell´obbedenza a una compagnia, vivo la clinica come il contenuto di questa amicizia. La clinica é questo “qualcuno che cammina davanti a me”. Ogni ammalato é questo “qualcuno che cammina davanti a me” (pag. 112 del texto spagnolo) perché, per esempio guardando Celeste, la piccola bambina che soffre di leucemia (guardate che bella é nelle foto che vi mando) non posso non chiedermi “ma perché é cosi differente da me? facilmente mi scoraggio, ho paura, quando lei nel terribile dolore che sente, traspira una pace, una serenitá che solo Gesú puó darle”. E cosí sto li al suo fianco, la guardo, la accarezzo, prego e imparo. Ho tanta voglia di stare li con lei, come con Victor che geme in continuazione e che ha il torace totalmente incurvato per il terribile sforzo di respirare, mentre il suo cuore che resiste inespiegabilmente, sembra una locomotiva a vapore. Mi rendo conto che non posso non obbedire a loro perché loro costantemente mi rimandono a ció che il mio cuore desidera e cosí anche quando mi succede che porto con me ancora alcuni strascici della depressione che mi prende tutto, non mi lascio “fregare” dallo stato d´animo ma continuo a ripetermi “Io sono Tu che mi fai”. E cosi il mio cammino non si blocca per quel rospo che ho sullo stomaco o per l´engoscia che mi annebbia la vista e il resto. Al contrario capisco sempre di piú quanto San Paolo afferma: “soffro nel mio corpo ció che manca ai patimenti di Cristo per il suo corpo che é la chiesa”
Guardando questi miei bambini capisco che é la vita il punto e non lo stato d´animo, anche se lo stato d´animo fa parte della vita, ma non esaurisce la vita. Li guardo e mi rendo conto che loro ed io non siamo e non possiamo essere definitivi né dalla leucemia, né dalla mancanza del cranio o dall´acqua che Victor porta dentro nella testa e tenuta ferma da una fragile pelle, né dalla mia depressione quando mi prende. E´la vita la questione e la vita chiede l´eternitá. Allora capite il perché di questa testimonianza di una mia infermiera e della sua relazione con un´ammalato di AIDS che le moriva fra le braccia:
Fu un pomeriggio di domenica Molto triste.
Erano le 13:00 sono andata alla stanza di Bernardina, incontrandola molto male.Respirava con tanta difficoltá, sono uscita di corsa per chiamare Silvia, per dirle come stava Bernardina. Siamo andati insieme da lei e le abbiamo chiesto ¿Come stai Bernardina? ¿Ti fa male qualcosa? Lei responde, STO BENE. Ci siamo guardate e detto, “Dio mio, conció che soffre, dice che sta bene”.
Siamo stati a guadarle, Silvia chiamo alla dottoressa Olmedo, chi le disse di prendere alcune medicine.
Bernardina era da sola, Giusto quella mattina suo marito era andato a casa. Ho chiesto a Diana di chiamare la sua famiglia. Bernardina stava morendo, aveva la respirazione aritificiale. Erano le 15:00 h quando arriva una signora, dicendo che era la cognata, Rimane “5 minuti” con lei. Dopo entra un signore che sembrava tenere paura di lei, e se ve subito.
Alle 16:15 si celebrava la Eucaristia nel bloco A, e dissi a Silvi:, voglio rimanere con Bernardina, non voglio che se ne vada da sola. Le persone che sono venute a vederla sono giá andate via. Siamo andati con Silvia da Bernardina, le abbiamo accarezzato la sua faccia, le mani pulendo la sua bocca, che espulsaba come espuma.
16:50 c´era il percorso del Santísimo, che rimane un bel tempo di fronte a lei. Dopo arriva una signorina che mi chiede sta male la mia cognata?, le risposse che si. Mi disse, mi hanno chiamato e chiesto di venire, ho portato i suoi figli, sono giú, vengono a vedere la loro mamma. Ho chiesto alla signorina Rimani con Bernardina?, lei risponde di si, allora sono andata a vestire un ammalato. Prima di vestirlo, tocca la porta il famigliare che é accanto a Bernardina e mi disse: “la signora sta Molto male”. Sono andata di corsa a vederla peró lei era giá morto. Sono rimasta angosciata. Bernardina morta da sola, la sua cognata andata a cercare i suoi figli che erano giú nel cortile, peró non sono arrivati in tempo per vedere alla loro mamma viva.
Sono andata a chiamare Silvia, le disse che Bernardina era morta, Silvia e rimasta male, li abbiamo fatto le cure postmortem, dovevamo muovere il corpo di Bernarda e usciva liquido da tutte le parti, per la bocca, il naso y anche gli occhi, abbiamo chiuso tutto.
Silvia mi diceva ho un rospo alla gola , sono andata a prendere le lenzuola, quando sono ritornata Silvia piangeva inconsolabilmente, mentre la pulivamo le dicevo a Silvia “forza, tranquilla”. La abbiamo messo nella lettiga e la abbiamo portata nella capella. Diana ci fa dire una preghiera per Bernardina, e noi non potevamo preghare per il pianto. Abbiamo salutato a Bernardina con un bacio nella fronte e siamo usciti piangendo, mentre i suoi figli erano fuori. Non sono entrati nella capella mentre si pregava. Li abbiamo detto di entrare a vedere la loro mamma e solo allora sono entrati..
Per noi é stata una domenica molto trist. Ringraziamo per avere avuto a Bernardina con noi qui nella Clinica, e recordare l´ultima cosa che ha detto senza importare quanto male stava…..STO BENE!!!
Teresa come le altre infermiere sono commoventi per la coscienza che hanno dell´ammalato. E´come se il Mistero che ci avvolge e ci crea in ogni momento le che rende capaci di una tenerezza, di un coinvolgimento con i pazienti, fino al punto di sentire come loro, il dolore altrui. Bernardina, aveva nel corpo piaghe di decubito nelle quali entrava una mano, si vedeva le ossa….eppure con quanto amore la pulivano, con quanta delicadezza toglievano ogni pezzettino di pelle marcia. Il raggio che ogni settimana faccio con loro, come con i Medici, le persone delle pulizie, della lavanderia o della cucina, mi riempie di vita perché é come se vedessi la scuola di comunitá fatta carne, fino al punto che coloro che erano concubine chiedono di sposarsi, le altre di confessarsi, di fare la prima comunione. Non sono io che chiedo per loro i sacramenti, ma la realtá vissuta con passione che si o si rimanda me, ed oguno, a Cristo. Non partiamo da Cristo, rischiarebbe essere ideologico, partiamo dalla realtá che come afferma San Paolo: “é Cristo”. Come dire che vivendo intensamente la vita in tutti i suoi aspetti uno o se ne va o si apre al Mistero e mi dice come gli apostoli nel capitolo VI di Giovanni “ma padre dove possiamo andare lontano da questo luogo che ci educa alla bellezza della vita, che ci fa vedere la morte come l´apertura alla vita eterna”
Quando ogni giorno per tre volte facciamo la processione Eucaristica, inginocchiandomi e baciando ammalato per ammalato, non importa quello che ha, se la tubercolosi o la saliva che gli, o le esce dalla bocca, sento, sentiamo viva la Presenza di Gesú. E vi garantisco che sono i momenti piú belli nei quali il mio stato d´animo, spesso fluttuante, é sottomesso dalle chiarezza del giudizio, cioé dalla certezza che il Mistero e il segno coincidano. Per cui potete immaginare cosa vuol dire questa consapevolenzza, quando dalla clinica passo a vedere, baciare i miei vecchietti nella casa -famiglia creata per loro come alternativa ai freddi ricoveri con decine di anziani o quando ogni giorno, alla mattina per portarli alla scuola e alla sera per metterli a letto, vado dai miei bambini. Che impressione vederli mangiare tutti assieme, alsarzi dalla tavola quando si alza la mamma adottiva, ogni uno porta nel secchiaio il suo piatto in cui non rimane neanche una bricciola (finché non hanno mangiato tutto nessuno si alza perché dobbiamo capire cos´e la Provvidenza) e poi chi prende la scopa, chi lo straccio, chi il secchio…ogniuno lavora, cosichè la casa é la loro casa. Ed hanno da 4 a 11 anni. E pensare che fino a febbraio, erano come animaletti. L´altro giorno, come ogni 15 giorni, mi sono incontrato con il consiglio di famiglia (le due mamme, la psicologa, l´assistente sociale, l´avvocato, la responsabile delle due casette, la direttrice della scuola) e sono uscito felice perché la direttrice della scuola ci ha detto: “la maggioranza dei bambini sará (giustamente perché se non sanno é giusto che ripetano l´anno) dovrá ripetere…peró, Padre, umanamente sono irriconoscibile da quando sono arrivati; c´é in loro l´inizio di una autoestima, sorridono, sanno andare al bagno e pulirsi, convivono e giocano con gli altri, hanno fatto amicizia, le piccoli desviazioni di tipo omosessuale o lesbiane non esistono piú. Insomma, da zero sono passati, come dice lei, a 1, da niente a qualcuno”. Vi giuro che non c´era nessuno piú contento di me.
In fondo, pensavo, quello che viviamo con questi bambini é il cammino di Scuola di comunitá
Perché che cos´é la fede, il dare fiducia, la correspondenza, il cuore, la libertá, l´obbedenza, se non una consegna di se che il bimbo fa ad un adulto che vivendo la realtá infonde loro tenerezza, sicurezza. Un esempio per chiudere. Rosita é una bimbetta di un anno con tanti problemi. Non riusciva fino a poco tempo fa a stare seduta sul pavimento come in nessun luogo. Poi piano piano l´ho messa a sedere proteggendola con le mie braccia chiuse a forma di cerchio attorno al suo corpo. Sono stati sufficenti alcuni giorni perche quel recinto fatto dalle mie braccia le infondesseró sicurezza e cosí iniziasse a vivere un equilibrio. Peró quando taglievo le mie braccia a forma di cerchio lei piangeva disperatamente e cadeva. Ebbene dopo un pó di tempo il miracolo: le mie braccia me le tengo con me e lei sorridente sta seduta da sola. L´obbedienza a una amicizia a una paternitá rende liberi e capaci di camminare con le propie gambe. Amici, questo é vivere, educare. Ma questo vale anche per i due ragazzi ammalati di AIDS, Luciano e Alcides consegnatemi in fin di vita e giá con il cassone pronto per sepellirli. La stessa passione avuta con Rosetta, é la passione per tutta la clinica. Adesso mangiano, camminano, ridono e raccontano a tutti il miracolo. Presto li porteró alla fattoria dove abbiamo questi ragazzi, recuperati alla vita.
Ma il bello é che lo stesso passa con i miei “matti” che tanto mi assomigliano. Arrivano fuori di testa come Giorgio, attualmente impegnato a stamparmi due libri, che in due anni ha recuperado la normalitá. Ha l´AIDS, peró per lui é come avere adesso una perla preziosa, perché, lui ebreo, ha incontrato la fede católica ed é anche un fervente católico che si confessa spesso e vive ogni giorno la Messa. E poi, pensate, non c´é ammalato che non sia in grazia di Dio e non chieda i sacramenti. E fra loro ci sono amosessuali, lesbiane, travestiti, concubini…tutto l´umano nella sua grandezza miserabile. Eppure Dio per tutti ha una sorpresa: incontrare il gusto della vita e la bellezza della morte per giungere a Lui.
Auguro a tutti che la liturgia di questo fine d´anno ci faccia scoprire a gustare i 4 novissimi.
1 commento:
Carissima Tiziana, potresti dare il link al sito che raccoglie tutte le testimonianze o le lettere d don Aldo, e le immagini delle persone di cui parla? Grazie!
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