.......E alla fine, mentre il protagonista scruta, intorno a sé, tanti 'idioti' con l’occhio fisso uno sull’altro, una sola risposta emerge, profonda e perentoria: «Ecco, pensò Amerigo, quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari. E pensò: ecco, questo modo d’essere è l’amore. E poi: l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo» (cap. XII).
«L’umano arriva dove arriva l’amore»: ben oltre la»autocoscienza», in nome della sola natura umana; il proprio dell’uomo non è la «conquista dei diritti» ma l’esercizio dell’amore, il quale non ha bisogno d’altro che del desiderio di «farsi prossimi», anche solo con lo sguardo ebete del non servire a nulla........
Italo Calvino e l’elogio del Cottolengo- lun 10 nov
Hybris eugenetica: «Rimarrà una foresta di protesi d'orgoglio, inerti, ben più morte che la sofferenza»Il continente interiore di Carlo Ossola
Tratto da Avvenire del 9 novembre 2008
Si è letto su alcuni giornali [tra gli altri La Stampa del 1° novembre, p. 19] qualche brano dell’intervento del professor Gianfranco Vazzoler, secondo il quale «è persona chi ha autocoscienza, senso morale e razionalità.
[…] Alcuni neonati sono neurologicamente e fisicamente così compromessi da essere impossibilitati irreversibilmente ad acquisire il loro potenziale di conquista dei diritti. Non potranno mai diventare persone e quindi il loro migliore interesse non sta nel perseguire la vita». Alla risposta di Ignazio Marino, vorrei aggiungere le considerazioni che Italo Calvino propose nella Giornata di uno scrutatore, del 1963.
Il romanzo è ambientato presso la Casa della Divina Provvidenza, il Cottolengo, di Torino, la «città della sofferenza», come è comunemente definita. Amerigo Ormea, scrutatore per il Pci, vigila – nella finzione del romanzo, ma Calvino era stato due volte in quelle funzioni nel 1953 e 1961 – allo svolgimento delle operazioni di voto in un seggio ove, regolarmente, la Dc aveva maggioranze plebiscitarie.
Ma tutto il romanzo è una profonda meditazione sul senso della sofferenza, un esemplare testo filosofico da grande 'moraliste'. Al centro del racconto, Calvino risale ai Manoscritti giovanili di Marx e medita la seguente affermazione del filosofo tedesco: «La natura è il corpo inorganico dell’uomo […]. Che l’uomo viva della natura vuol dire che la natura è il suo corpo». Calvino fa suo il principio e così conclude: «L’uomo-Cottolengo (ossia, nella peggiore delle ipotesi, l’uomo) è reintegrato nei diritti del genere umano in quanto usufruisce di questo corpo totale, di questo prolungamento del suo corpo: la ricchezza di tutto ciò che esiste, anche la 'natura inorganica spirituale'». E chi osava, pensando alle tante menomazioni dei singoli entro una natura-società capace, domani, di reintegrarle: «Il cieco, cioè, avrà tante e tante antenne per conoscere il mondo che si dimenticherà di non avere gli occhi?».
E alla fine, mentre il protagonista scruta, intorno a sé, tanti 'idioti' con l’occhio fisso uno sull’altro, una sola risposta emerge, profonda e perentoria: «Ecco, pensò Amerigo, quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari. E pensò: ecco, questo modo d’essere è l’amore. E poi: l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo» (cap. XII).
«L’umano arriva dove arriva l’amore»: ben oltre la»autocoscienza», in nome della sola natura umana; il proprio dell’uomo non è la «conquista dei diritti» ma l’esercizio dell’amore, il quale non ha bisogno d’altro che del desiderio di «farsi prossimi», anche solo con lo sguardo ebete del non servire a nulla.
L’uomo e il creato sono, come osserva Calvino, coessenziali, coestesi. Già gli antichi affermavano: l’uomo compartecipa la propria materia con la terra, il respiro con gli alberi, il sentire con gli animali (il contemplare, per chi crede, con gli angeli).
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