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Mosca («Mangiagalli»): non basta il criterio dell'età gestazionale per stabilire quale sarà l'esito delle cure e se vi saranno handicap
di Enrico Negrotti
Tratto da Avvenire del 31 ottobre 2008
Sulla rianimazione dei neonati estremamente pretermine (tra le 22 e le 25 settimane di gravidanza) la decisione non può basarsi esclusivamente su una valutazione dell’età gestazionale.
Lo ha sottolineato ieri sera Fabio Mosca, direttore dell’Unità di terapia intensiva neonatale alla Clinica «Mangiagalli» di Milano, all’incontro promosso dalla sezione milanese dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci) su «Rianimazione del neonato: a chi la decisione?», che ha visto la partecipazione anche del ginecologo Andrea Natale (ospedale Macedonio Melloni di Milano) e moderato da Luigi Frigerio (direttore dell’Unità di Ostetricia e ginecologia degli Ospedali Riuniti di Bergamo). Un tema che è stato affrontato ieri anche da un convegno di esperti a Firenze per difendere la scelta di rianimare solo oltre la soglia delle 25 settimane.
Fabio Mosca, che ha fatto parte del gruppo di esperti convocati dal ministro della Salute Livia Turco per formulare linee guida sul tema, ha fatto un’ampia disamina delle questioni sul tavolo: dai dati per costruire una prognosi, alle percentuali di sopravvivenza e di disabilità eventuale di questi bambini, alla casistica nazionale, all’indicazione su chi deve avere la decisione sugli interventi e in base a quali criteri. Un recente articolo sul New England Journal of Medicine, ha detto Mosca, ha sottolineato la necessità di «andare oltre l’età gestazionale» per prendere decisioni sul trattamento più adeguato: «Esistono altri parametri, spesso ignoti al momento del parto, che possono influenzare grandemente l’esito delle cure: oltre all’età gestazionale, contano l’essere nato da parto singolo o multiplo, il peso, il sesso, l’eventuale assunzione di farmaci steroidi durante la gravidanza (che migliorano lo sviluppo degli organi)». Ecco dunque che l’atteggiamento più ragionevole, in sala parto, è quello di tentare di dare una possibilità a tutti: «Anche perché sono bambini che – se non rianimati – muoiono tutti, come succede in Olanda. Oltre al fatto che attualmente le statistiche parlano di un 50% di sopravvivenza a 24 settimane: più o meno quella dei malati di tumore dopo 5 anni, e nessuno si sogna di non curarli». Successivamente, nel reparto di terapia intensiva, sarà possibile adottare un approccio più meditato, conoscendo molti più dati, vedendo la reazione del bambino alle cure e confrontandosi con i genitori («che non sempre sono i migliori tutori della vita dei loro figli»). Certamente questi bimbi vanno incontro al rischio di sviluppare deficit motori e/o cognitivi di vario genere e gravità: «Ma questo è un dato imprevedibile. E il dibattito sulla qualità della vita è ancora più complicato».
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