giovedì 6 dicembre 2007

L'INFINITO DESIDERIO NELL'INCONTRO CON IL LIMITE

MEETING RIMINI Edizione 2003 > Programma - mercoledì 27 agosto 2003
Rose Busingye: Spero che si capisca il mio italiano. Ho fatto l’infermiera perché volevo aiutare la
gente che soffre; come dottore volevo guarire tutti i malati che trovavo davanti a me. Invece mi
sono trovata proprio il limite, perché ho cominciato come una che è andata in ospedale a guarire
tutti, ho cominciato a stare male e a svenire di fronte a quelli che stavano male, di fronte al sangue.



Ho cominciato a non mangiare, perché la carne mi ricordava ciò che avevo visto in ospedale, e
stavo male. Ho pensato che forse non ero capace di fare l’infermiera, e volevo smettere tutto. Mi sono sentita niente, incapace, e pensavo che non valeva la pena che io continuassi a vivere; proprio mi sono disperata, perché desideravo di fare qualcosa. Poi è arrivato un momento in cui ho iniziato anche a perdere peso perché non mangiavo. Più ci pensavo che ero incapace, più stavo male. Poi ho incontrato un amico. Il rapporto con questo amico ha fatto svanire piano piano tutte le mie paure.
Dentro questo rapporto ho scoperto me stessa, ho scoperto di essere qualcuno, ho cominciato a desiderare e a studiare; è stato per me come se una luce avesse illuminato tutto; ho cominciato a scoprire la verità delle cose, e da qui è venuto un’attrattiva, un’affezione e una tenerezza per la mia stessa vita; così anche per la vita degli altri. Nel rapporto con questo amico, DG !, ho ritrovato la mia grandezza, ho scoperto che l’uomo è un rapporto, e questo rapporto lo rende qualcuno. Non voglio che prendiate questo in modo generico: essere qualcuno implica un rapporto con la gente per la quale si è qualcuno. Il mio desiderio allora è diventato di fare capire a tutti, nonostante la loro debolezza e la loro malattia e il loro peccato, fare sapere che sono grandi, che sono più grandi dei loro limiti. Il mio amico mi ha fatto capire che l’uomo è piccolo, è quasi niente di fronte al cosmo,sembra un centesimo, è come un soffio, ma il mondo vale perché c’è questo uomo; tutti gli altri valori del mondo devono essere in funzione del singolo uomo, piccolo com’è. L’uomo infelice è quello che decide che è impossibile essere felice. Ho cominciato a desiderare che tutti gli uomini capiscano questo: che sono più grandi di quello che possiamo immaginare. Allora il mio lavoro è creare quel rapporto in cui ogni uomo che incontro scopra di essere qualcuno, cioè scopra il suo
valore e la sua dignità. Non si può dare un’idea di dignità se non all’interno di un rapporto; sei qualcuno quando possiedi una consistenza, quando dici “tu”, quando prendi l’io della persona. Il mio lavoro è proprio come dare una spalla a chi vuole essere responsabile verso il suo valore, dare la spalla su cui può appoggiarsi per affrontare questo problema dei limiti, perché sempre abbiamo paura dei limiti; ma siamo questi limiti, e questo limite proprio è la nostra grandezza, perché dentro
ai limiti scopri qualcosa di più, qualcosa di più grande di questo limite, cioè scopri Dio. E’l’esempio di Lucy: era una ammalata venuta dal nord dell’Uganda e siccome, sapete, c’è la guerra nel nord dell’Uganda, questi ribelli prima di ammazzare la gente proprio li sfigurano, gli tagliano il naso, le labbra...; allora ho incontrato Lucy che aveva incontrato i guerriglieri, l’hanno violentata,
dopo averla violentata hanno messo un lucchetto, e nessun uomo può andare con lei; dopo hanno tagliato la chiappa in quattro pezzi e le avevano tolto anche i denti. Lei è venuta a Kampala per andare via dalla sua famiglia, perché non trovassero il suo corpo: voleva uccidersi, buttarsi nel lago.Allora i suoi amici me l’hanno portata. Quando me l’hanno portata, lei mi ha detto che è stata anche
al campo dei rifugiati, è stata anche con gli educatori nel nord, però lei mi ha detto: “sai, tutti vengono da me curiosi per quello che sono, per quello che mi hanno fatto; io sembro essere un mucchio di problemi; vengono e mi chiedono cosa mi hanno fatto, a vedere dove mi hanno tagliato”. Ma io chi sono? Sono come un cestino dove si butta tutta la spazzatura; ma io, come Lucy, chi sono? Infatti lì io vedendola non sapevo trovare quali parole per consolarla, per dirle di non preoccuparsi, per dirle “ti voglio bene”, però lei si è messa piangere, e l’ho lasciata con i miei,malati - io curo i malati di AIDS -, l’ho lasciata con loro; e dopo, da un certo punto lei mi ha detto:“Ma io, io, io come Lucy, ma io chi sono?”. A un certo punto io ho detto: “Sì, sei questa“sfigurazione”, eppure hai un valore più grande di quello che appare. Perché apparentemente sembri questo, ma per me tu hai un valore più grande.” E da quel momento lì lei è entrata negli altri
gruppi dei miei malati e ha cominciato a imparare a cantare e suonare i tamburi, e mi ha detto:“Comunque, io voglio vivere perché ci sei tu, voglio vivere perché tu mi hai dato almeno valore.”Io le ho detto: “No, il valore te l’ha dato un altro; sei fatta proprio perché qualcuno ha voluto che tuci sia.” Adesso canta con gli altri e sta bene.Nei nostri centri, per esempio, usiamo il quadro Icaro di Matisse; usiamo questo quadro proprio per rappresentare i nostri tentativi di fronte al limite, Icaro lo guardi, vedi un quadro con questa figura che vola. Però avevo osservato che c’è questo punto rosso, un puntino che sembra niente, e invece questo punto è il punto che esalta tutto il quadro: è vero che apparentemente siamo niente, siamo
questo, come un punto inutile, invece c’è questo cuore che è il desiderio umano, che è il desiderio della felicità; è vero che non siamo niente; a volte ci consoliamo che non siamo niente, invece ogni uomo è questo niente; eppure essere coscienti del nostro niente è proprio la nostra grandezza, perché è un Altro che ci dà il valore, perché c’è questo grido, e questo grido ci rende grandi. Infatti dopo il quadro di Icaro abbiamo messo il quadro di Pietro e Giovanni, perché Pietro e Giovanni,
anche loro erano proprio di fronte a un limite: sembrava che il loro amico fosse andato, la morte aveva finito tutto, eppure anche loro come noi erano preoccupati – questo amico nostro è morto -,però sembrava che il loro grido non era più come quello dell’Icaro: il loro grido è rappresentato da qualcosa. Infatti il mio amico mi ha detto: “Uno nasce con lo stomaco; questo è già una promessa
che ci sarà da mangiare”. L’uomo è proprio questo grido, perché c’è una risposta, ed è l’unico punto nel mondo che ha questo desiderio di felicità. C’è un altro esempio, di Julius che stava morendo di AIDS: ho chiamato un medico, e il medico mi ha detto: “Non c’è niente da fare, perché è in coma”,e dopo questo medico è andato a parlare con questo paziente e gli ha detto: “Dai, tu vai, salutami Gesù, quando arrivi, salutami Gesù”, e questo qui ha avuto paura, ha detto: “allora devo morire!”;
ma poi: “Vai a dire a quel medico lì che io non voglio andare a salutare Gesù, perché me Lo saluta lui prima.” E dopo ho chiamato un prete che l’ha confessato, perché questo era un politico che ha vissuto tutta la sua vita così, pagando tutte le donne, bevendo, fumando, e aveva paura proprio di andare da Gesù. Ho chiamato il prete, dopo che si è confessato e ha avuto l’estrema unzione, mi ha detto: “Lo sai? Quel prete mi ha detto che mi ha perdonato tutti i peccati, da quando sono nato me li
ha perdonati.” Infatti questo malato, uno che stava morendo, si è ripreso, ha vissuto due mesi, lui che stava per morire. Io ho scoperto che proprio lavorando con questa gente mi chiarisce la questione che l’uomo è fatto per qualcosa di più grande dei suoi limiti. Per esempio vedo qualcuno che è debole, malato, che non può stare in piedi da solo; qui è molto più facile anche intuire la sua grandezza, il suo valore inattaccabile da chiunque. Trovi magari uno che sta esalando l’ultimo
respiro, sta lottando per respirare per l’ultima volta, eppure puoi chiaramente vedere che non è definito da questa cosa qui, che è definito da qualcosa di più grande della sua miseria. Un altro esempio: i miei malati l’anno scorso hanno adottato un ragazzo di 16 anni; nonostante i loro limiti della malattia, della povertà, hanno il desiderio di felicità, anche per loro, e vogliono che anche gli altri siano felici; usano i loro soldi. Per esempio io lavoro nei quartieri poveri della città,dove per guadagnare 100 scellini uno deve spaccare i sassi tutto il giorno. Eppure nella città la vita costa. Quando questo ragazzo è rimasto orfano, in una casa in affitto, è stato cacciato dal padrone.Io non c’ero; eppure i malati tutti sono partiti, uno mettendo cento scellini, un altro altri cento e
quando sono tornata mi hanno detto: “Tu puoi riposare. Questo malato è nostro, noi pensiamo al mangiare e a pagare l’affitto.” Questo non succede neanche per chi guadagna migliaia di scellini; anche nella città di Kampala ci sono i ricchi, eppure è impossibile che ti diano qualcosa. E a volte i miei malati contribuiscono con i loro soldi per portare gli altri malati in ospedale, per pagare le spese dalle medicine- perché da noi tutto è a pagamento -. Infatti a volte dici: “ma perché lo
fanno?” E’ perché proprio hanno scoperto che nonostante i loro limiti di povertà, di malattia, hanno ritrovato questa felicità qua, e vogliono che anche gli altri siano felici, e usano i loro soldini per quelli a cui mancano, proprio perché in quei malati lì scoprono che sono qualcosa di più grande, hanno un valore infinito.
Il problema è quando si sta di fronte ai limiti con una regola, con uno schema, così è facile farsi fuori e fare fuori gli altri. Ma se uno parte dal punto di vista umano, si commuove, e comincia a chiedersi: “ ma chi è questo che ho di fronte? E chi sono io?” Nei propri limiti uno può scoprire Altro; il limite può essere il segno che c’è qualcosa di più grande. Mi ha sempre colpito, anzi
commosso, quell’uomo tra la folla che piangeva perché era morto il figlio della loro amica, l’unico figlio; ha detto: ”Donna, non piangere”. Nel nostro ambiente medico Dio che dice non piangere sembra un dio limitato; il potere avrebbe subito detto: “Alzati”, invece Dio cede, sembra un limite che Dio dica: “donna non piangere”, è come proprio cedere, ma Dio è un uomo, è un uomo, infatti
Dio è più uomo dell’uomo. Per qualcosa di più grande bisogna rischiare; un uomo è chi ha un desiderio più grande dei suoi limiti, un desiderio infinito, non si ferma di fronte ai propri limiti, al limite degli altri; il problema è quando uno rinuncia e dice che non c’è possibilità per sé e per gli altri, così si ammazza e ammazza anche gli altri.
Un altro esempio è una bambina, Fiona, 10 anni, sieropositiva, con l’AIDS. Stava morendo di
meningite ed era l’unica bambina rimasta nella sua famiglia; tutti sono morti di AIDS, proprio la
famiglia si è chiusa, è rimasta solo questa piccola bambina. Una volta quando l’ho trovata a letto
mi ha detto: “Io non voglio morire come mia mamma, io voglio vivere, fammi vivere per due mesi,
fammi vivere per un anno, io voglio andare a scuola e giocare con i miei amici.” Quando mi ha
detto così, io non riuscivo a dormire, non riuscivo… avevo pochi soldi per fare il trattamento. Sono
andata a casa e ho raccontato a una dottoressa, e a quelle della mia casa, così abbiamo deciso di fare
il trattamento antivirale, però avevamo pochi soldi e gli altri medici ridevano, perché bisogna
iniziare quando hai tutte le medicine per tutta la vita. Ma io ho pensato: cosa importa se io do un
mese a questa bambina, do due mesi, do un anno perché viva, perché a questo suo desiderio sia
risposto. Ma per me il primo desiderio era proprio che questa bambina scoprisse che era qualcosa di
più grande, che la sua vita era importante. Abbiamo cominciato, e questa bambina aveva la
meningite, e era a letto e non riusciva ad alzarsi, e abbiamo cominciato il trattamento. Dopo due
settimane la bambina ha cominciato ad alzarsi dal letto, e dopo altre due settimane l’hanno dimessa.
Adesso è ritornata a scuola.
Ho pensato che quando uno comincia a dire io, vede le cose in modo diverso, comincia a
intravedere il significato della vita; quando sai di chi sei la grandezza può succedere dovunque, la
grandezza può succedere e succede dovunque, può succedere anche quando sono incastrato nel
fango, come succede sempre, o quando sono sotto il sole che mi brucia la testa, o quando sono di
fronte alla mia macchina bucata che dev’essere cambiata. Tutto queste cose mi succedono sempre
prima di arrivare al lavoro, eppure anche lì la grandezza può succedere. La grandezza può succedere
anche di fronte a un bambino come William, che aveva paura di morire e mi ha detto: “Guarda, io
quello che ti chiedo: tienimi la mano quando devo morire; tienimi la mano così forte così non ho
paura di morire” Infatti quando è morto mi è morto in braccio.
La vita è un’avventura per la ricerca del suo significato, del valore. Se siamo vigilanti la vita è
un’avventura per la ricerca di ciò che è oltre questi limiti. Ma in questa ricerca, per essere vigilanti
ci vuole un Altro che ci vuole bene davvero, che ha già fatto quest’avventura prima, che ci
accompagna, però ciò che determina la mia personalità dev’essere più forte, per vincere la mentalità
dominante di oggi; la realtà doveristica ha dei limiti fragilissimi, per cui quando a uno non conviene
più, anche la più grande coscienza del dovere, cade. Ma là dove c’è il senso di responsabilità verso
qualcosa di più grande, allora la capacità di attenzione all’uomo è salvaguardata.
La passione per l’uomo è il rispetto per la sua persona, non è per i limiti che ha. Se vivi questo tuo
lavoro puoi sostenere una resistenza fino ad arrivare a rompere le strutture. Ma c’è bisogno di
qualcosa che investa la modalità della nostra reazione, che genera un soggetto vero, così uno sa
come trattare l’altro.
L’oggetto dal mio lavoro è un rapporto con un amico; è questa precisione di posizione che fa la
lotta creando una nuova posizione dentro i limiti. Quello che chiedo di aiuto è essere coscienti di
noi stessi, anche di fronte alle situazioni drammatiche come la morte dei nostri cari, per raggiungere
la nostra vera felicità. Il mio amico mi aveva detto che la verità del mondo avviene se l’uomo
appartiene, perché nell’appartenenza ogni cosa cambia. E’ da questo che nascono una nuova civiltà,
una nuova società.
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Moderatore: Vorrei concludere, prima che la gente si sposti, ringraziando ancora tutti, e dicendo
che questo è un lavoro insieme, perché il clima che respiriamo, come disse in un’intervista a
L’Espresso l’ex-ministro –grazie a Dio- della sanità Veronesi, “lottiamo, ho lottato tutta la vita per
rendere la medicina una scienza, e per eliminare da essa il fardello della carità imposto dalla storia
cristiana”. Teniamone conto, perché siamo insieme invece per approfondire la verità dell’origine
che portiamo, perché appunto desideriamo tutti che dentro il lavoro si ricostituisca, si rafforzi
l’amicizia fra noi e ogni singola nostra persona.
Volevo dare due avvisi importantissimi, perché una compagnia e un incontro come questo non
vengono su automaticamente: l’associazione quest’anno, come voi sapete, si è data uno strumento
che secondo noi è lo strumento più importante, e che vi chiediamo di considerare: una rivista che
con criteri scientifici, cioè accettando la sfida del metodo empirico, però consideri l’aspetto
umanistico, totale, integrale della persona. Si può e si deve contribuire a costruire questo strumento
attraverso innanzitutto il mettere a disposizione la propria esperienza, il proprio lavoro, quindi
attraverso contributi; e certamente anche abbonandosi, consentendo che essa cresca. In occasione
del Meeting, a scopo promozionale, l’associazione promuove l’abbonamento alla rivista con il 15%
di sconto, o in alternativa in omaggio insieme all’abbonamento verrà dato l’ultimo libro di
Giancarlo Cesana edito da CEFAS sul Welfare in Europa. Vi prego di prenderlo in considerazione.




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