domenica 8 aprile 2007

RIPRENDIAMO IL GESU' DEI VANGELI IL VERO GESU'

BUONA PASQUA A TUTTI I LETTORI DEL BLOG

..."Benedetto XVI ha sentito la necessità di raccontare il «suo» Gesù; soprattutto, ha cercato di mostrare «il Gesù dei Vangeli come il vero Gesù, come il "Gesù storico" nel vero senso della espressione».".....


...."la fede cristiana, spogliata dei suoi elementi storici, ha finito spesso con l'apparire o come un mero prontuario etico o come il semplice annuncio di una fratellanza universale fondata sull'amore reciproco. In sostanza, si è come eclissata quella che don Giussani chiamava la «pretesa cristiana», il nucleo fondativo della fede: che cioè Gesù è il Verbo fattosi carne, il Dio fattosi uomo, il Dio che è entrato nella storia vincendo il male attraverso la sua passione, morte e risurrezione, il Dio che è divenuto compagno di cammino dell'uomo non come un insieme di regole da rispettare, ma come una persona da seguire nella compagnia della Chiesa.Tolta questa «pretesa» storica, scrive il Papa, «l'intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto»."...


Rendere nuovamente accessibile la celebrazione liturgica con il messale di San Pio V, fortemente incentrata sul carattere sacrificale della messa, può così servire a rimettere al centro dell'attenzione l'essenza del cristianesimo, a chiarire che è proprio nel rinnovarsi del sacrificio eucaristico che riaccade continuamente il fatto cristiano, che si rinsalda l'amicizia di Dio con l'uomo,..."


Uber alles
di Gianteo Bordero - 7 aprile 2007

Nei giorni successivi alla Pasqua, Benedetto XVI scriverà due nuovi, importanti capitoli del suo pontificato. Il primo sarà l'uscita del suo libro su Gesù di Nazareth, il secondo la promulgazione del motu proprio che «liberalizza» l'uso del messale romano di san Pio V nelle celebrazioni liturgiche. Nonostante si muovano su due piani diversi, tanto il saggio su Gesù quanto la decisione sulla liturgia sembrano indicare, come vedremo, il medesimo punto d'arrivo.


Il libro su Gesù

Il libro sul Nazareno, di cui lo scorso novembre sono stati anticipati la prefazione e ampi passi dell'introduzione, è frutto, come scrive lo stesso Ratzinger, di un «lungo cammino interiore» e «non è assolutamente un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del volto del Signore». Iniziata alcuni anni or sono dall'allora cardinale Prefetto dell'ex Sant'Uffizio, l'opera è stata portata a termine dopo l'elezione al soglio pontificio sfruttando «tutti i momenti liberi». In un tempo in cui da varie parti si manifesta un rinnovato interesse per la figura di Cristo, non senza letture equivoche e parziali, Benedetto XVI ha sentito la necessità di raccontare il «suo» Gesù; soprattutto, ha cercato di mostrare «il Gesù dei Vangeli come il vero Gesù, come il "Gesù storico" nel vero senso della espressione».

Sono in contrasto le due cose? No, se si tiene conto che Ratzinger ha vissuto da protagonista tutta le temperie della teologia novecentesca e già nel 1969, con la sua Introduzione al Cristianesimo, contrastava e contestava la drammatica scissione, operata dall'esegesi liberale, tra il Gesù storico e il Cristo della fede; cosa, questa, che ha portato a relegare il primo nell'oscurità della ricerca storico-critica e a presentare il secondo come puro messaggio spirituale, come insieme di valori e di precetti morali. Così la fede cristiana, spogliata dei suoi elementi storici, ha finito spesso con l'apparire o come un mero prontuario etico o come il semplice annuncio di una fratellanza universale fondata sull'amore reciproco. In sostanza, si è come eclissata quella che don Giussani chiamava la «pretesa cristiana», il nucleo fondativo della fede: che cioè Gesù è il Verbo fattosi carne, il Dio fattosi uomo, il Dio che è entrato nella storia vincendo il male attraverso la sua passione, morte e risurrezione, il Dio che è divenuto compagno di cammino dell'uomo non come un insieme di regole da rispettare, ma come una persona da seguire nella compagnia della Chiesa. Tolta questa «pretesa» storica, scrive il Papa, «l'intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto».

Leggiamo nell'introduzione: «In Gesù si compie la promessa del nuovo profeta. In lui si realizza pienamente quanto in Mosé era solo imperfetto: Egli vive al cospetto di Dio, non solo come amico ma come Figlio, in profonda unità con il Padre. Solo partendo da qui possiamo davvero capire la figura di Gesù che ci viene incontro nel Nuovo Testamento. Tutto quello che ci viene raccontato, le parole, i fatti, le sofferenze e la gloria di Gesù, ha qui il suo fondamento. Se si lascia da parte questo centro autentico non si coglie lo specifico della figura di Gesù che diventa allora contraddittoria e in definitiva incomprensibile». E' dunque per proporre senza riduzioni e accomodamenti la «pretesa» cristiana, per riconsegnare ai credenti l'integralità della figura di Gesù, e, perciò, per esaltare la bellezza dell'amicizia con lui, che Benedetto XVI ha voluto dare alle stampe il frutto di tanti anni di studio, di meditazione, ma soprattutto di fede pensata e vissuta.


Il motu proprio sulla liturgia

E possiamo pensare che analoghe siano le motivazioni che hanno spinto il Papa a scrivere il motu proprio che «liberalizzerà» la celebrazione della messa secondo il rito di San Pio V, e la cui pubblicazione è ormai prossima, come ha confermato di recente il Segretario di Stato, cardinal Tarcisio Bertone, in una intervista a Le Figaro. Se sul piano della cristologia, infatti, la divisione tra il Gesù della storia e il Cristo della fede ha portato a rendere oscuri i fondamenti della fede stessa, così sul piano della liturgia l'accantonamento dell'antico messale dopo la riforma voluta da Paolo VI nel 1969 ha fatto quasi smarrire il nucleo fondante della celebrazione. In entrambe i casi, si è assistito a una sorta di «soggettivizzazione» del fatto cristiano che ha come messo in secondo piano la centralità di Cristo. Se nel primo caso ciò è risultato evidente con la «privatizzazione» dell'esperienza di fede, nel secondo caso questo aspetto è emerso, ad esempio, col fatto che nella messa «il sacerdote - o il "presidente" come si preferisce chiamarlo - è diventato il vero e proprio punto di riferimento di tutta la celebrazione. Tutto termina su di lui. È lui che bisogna guardare, è alla sua azione che si prende parte, è a lui che si risponde; è la sua creatività a sostenere l'insieme della celebrazione... L'attenzione è sempre meno rivolta a Dio» (Introduzione allo spirito della liturgia, 2001).

Rendere nuovamente accessibile la celebrazione liturgica con il messale di San Pio V, fortemente incentrata sul carattere sacrificale della messa, può così servire a rimettere al centro dell'attenzione l'essenza del cristianesimo, a chiarire che è proprio nel rinnovarsi del sacrificio eucaristico che riaccade continuamente il fatto cristiano, che si rinsalda l'amicizia di Dio con l'uomo, che gli avvenimenti di duemila anni fa sono nuovamente presenti nella storia del mondo e nella vita del credente. In questo modo la liturgia non risulta più essere una parentesi dell'esperienza cristiana, ma diviene luogo e tempo privilegiato di incontro con la realtà del Dio fatto carne, si trasforma in dimensione «cosmica» della vita cristiana, in modo tale che il fedele, partecipando al mistero del sacramento, abbraccia con Dio l'universo intero.


Riscoprire la bellezza del fatto cristiano

Alla luce di queste osservazioni, si comprende perché il libro sul Nazareno e il provvedimento sulla liturgia si muovano nella medesima direzione e indichino lo stesso punto di arrivo: l'invito a lasciarsi coinvolgere dalla bellezza dell'amicizia con Gesù e dell'esperienza cristiana. Questa proposta di bellezza il Papa non si stanca di ripetere e di proporre al nostro tempo, un tempo in cui sembra impossibile dare una risposta definitiva al bisogno di senso che urge al cuore di ognuno.

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