sabato 14 aprile 2007

SONO RACCOLTI ARTICOLI COMPARSI SULLA STAMPA


All'interno troverete
PIO XII
L'ANGELICO PASTORE
amico e benefattore degli Ebrei
Vaticano-Israele per Pio XII ritorna il gelo
I MILIARDI DI STRADA
LIBERO 13 aprile 2007
Sulla Rai di Santoro in onda lodi al mullah Omar. E una fatwa per Magdi Allam
Intervista a Laura Bianconi, capogruppo di Forza Italia - 12^ Commissione "Igiene e Sanità" al Senato della Repubblica
"Vivere il carcere come redenzione"
Il GIORNALE 13 aprile 2007
di Giorgio Vittadini*
I CINESI A MILANO(FELTRI)

Vaticano-Israele per Pio XII ritorna il gelo

di Massimo Introvigne –
il GIORNALE venerdì 13 aprile 2007, 07:00
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Il delegato apostolico cattolico di Gerusalemme, monsignor Antonio Franco, ha deciso di non partecipare all’annuale cerimonia di commemorazione della Shoah, che si terrà la prossima settimana al museo dell’Olocausto a Gerusalemme. Si tratta di una protesta per il rifiuto di rimuovere una foto di Pio XII esposta con una didascalia che condanna la posizione del Pontefice, definita «ambigua», sull’uccisione degli ebrei durante la Shoah. Autorità israeliane hanno risposto, con una certa durezza, che «la verità storica» su Pio XII non può essere cambiata e che «altre istituzioni», anziché reagire come la Chiesa, hanno chiesto pubblicamente scusa per le loro complicità con l’Olocausto.
Questa volta qualcuno in Israele sbaglia. Con Giovanni Paolo II - subito seguito da Benedetto XVI - Roma si è adoperata per svellere le radici teologiche dell’antisemitismo, denunciare certe asprezze antigiudaiche del passato, riconoscere il ruolo degli ebrei come «fratelli maggiori» nel piano di salvezza di Dio.
Ma la questione di Pio XII è diversa, proprio quanto alla «verità storica». Oggi in Italia perfino La Repubblica dà notevole spazio ai ritrovamenti di archivio e alle conclusioni di storici sia cattolici - ma di impeccabile autorevolezza e credenziali accademiche, come il gesuita Pierre Blet - sia non cattolici secondo cui la propaganda contro Pio XII che si è scatenata a partire dal dramma del 1963 di uno scrittore tedesco socialista (dopo essere stato in gioventù nazista), Rolf Hochhnuth, Il Vicario, è ampiamente infondata. Se si guarda alle tante pubblicazioni che seguono quella mediocre opera teatrale, ci si rende conto che l’attacco usa gli ebrei come pretesto. In realtà, si vuole colpire in Pio XII l’intransigente difensore dei dogmi della Chiesa contro la nascente teologia progressista e della sua dottrina sociale contro il comunismo, l’artefice del miracolo elettorale italiano del 18 aprile 1948 rievocato in un libro di Marco Invernizzi che esce in questi giorni da Ares.
Quanto all’Olocausto, uno dei maggiori studiosi ebrei della questione resta il diplomatico Pinchas Lapide - già console israeliano a Milano - il quale nel libro del 1967 Roma e gli ebrei scriveva che Pio XII «fu lo strumento di salvezza di almeno 700.000, ma forse anche 860.000, ebrei che dovevano morire per mano nazista». Prima di Hochhnut e delle sue menzogne, il primo presidente di Israele Weizmann, il rabbino capo Herzog, il primo ministro Sharett ringraziarono pubblicamente Pio XII, che molti annoverarono fra i «giusti d’Israele», i non ebrei che più si erano impegnati per salvare le vittime della Shoah. L’ebreo Einstein scrisse che «solo la Chiesa ha sbarrato pienamente il cammino alla campagna hitleriana per la soppressione della verità. Prima d’ora non ho avuto alcun interesse particolare per la Chiesa, ma ora sento un grande affetto e ammirazione per essa».
Oggi qualcuno in Israele cade vittima di una campagna che attacca la Chiesa per ragioni che non c’entrano nulla con l’Olocausto e molto con le sue posizioni odierne in tema morale. Forse farebbe meglio a ricordare le parole del grande storico (e rabbino) americano David G. Dalin: «Il Talmud insegna che “chiunque salva una vita, è considerato dalla Scrittura come se avesse salvato il mondo intero”. Pio XII ha adempiuto questo detto talmudico più di ogni altro leader del secolo XX, quando fu in gioco la sorte dell’ebraismo europeo. Nessun altro papa è stato così largamente apprezzato dagli ebrei, ed essi non si sbagliarono».
Massimo Introvigne



Sulla Rai di Santoro in onda lodi al mullah Omar. E una fatwa per Magdi Allam

LIBERO 13 aprile 2007
di RENATO FARINA
Ieri sera, la Rai televisione italiana ha condannato a morte Magdi Allam, tranquillamente, come se fosse satira. Erano circa le 23. Annozero, il programma di Michele Santoro. Vauro ha sventolato una serie di vignette, per tirare la morale della trasmissione. Vi era intervenuto Magdi, il quale aveva contestato l'equiparazione proposta da Giulietto Chiesa tra i sequestratori di Mastrogiacomo e Bush, tra i campi dei tagliagole e Guantanamo. Vauro, che passa per un pacifista, ha espresso questo concetto: «Magdi Allam va in tutte le trasmissione come un difensore dell'Occidente. È un fondamentalista occidentale». Poi il disegno. Magdi è un kamikaze, con la cintura imbottita di esplosivo e urla: «Allam Akbar!». Una battuta da asino col sonaglio. Non c'è stato tempo di replica. Santoro sorrideva, il pubblico applaudiva. Il resto delle vignette era sulla stessa linea. Una propaganda smaccata di Emergency, vista come la vittima di ogni sopruso, l'unica organizzazione degna di considerazione umana. Karzai un torturatore, la Nato assassina. Fin qui, amen. Anche se forse qualche conflitto di interessi c'è: Vauro è a libro paga dell'organizzazione di Gino Strada. Magdi Allam non ha potuto replicare. Al telefono era costernato: «Non so se si rendono conto Vauro e Santoro, ma io vivo sotto la continua minaccia di essere eliminato, Vauro mi ha condannato di nuovo, senza appello». Magdi, non essere ingenuo. Non è che ti vogliono far fuori fisicamente (spero), ma la reputazione, quella te l'hanno distrutta coscientemente. Com'è possibile tutto questo? I nostri soldati sono in Afghanistan, sia pure a piantare alberi. Siamo là in missione di pace e non di guerra, ok. Ma come si fa a veder esaltati in una tv pubblica coloro che sequestrano italiani e decapitano loro collaboratori? Marco Travaglio, sempre squisito e spiritoso, ha esaltato il mullah Omar, dipinto come un signore tranquillo, bombardato ingiustamente mentre va in giro in sidecar e in bici. Un tale che copre un po' troppo le donne, ma in fondo un buon diavolo, contrario alla droga a differenza di Karzai, nostro alleato, consulente di non si capisce quale ditta petrolifera da cui era stipendiata anche Condi Rice. Dice Travaglio: non c'erano afgani nel commando che ha buttato giù le Torri, perché prendersela con i mullah? Lì Osama era benvoluto e costruiva ospedali e ponti, era latitante appena da un paio d'anni. Perché invece non bersagliare coi missili la Sicilia dove Provenzano lo era da decenni? Simpatica pedagogia per il popolo, non è vero? Fabrizio Cicchitto si è inalberato contro questa incredibile réclame per i terroristi, ma in fondo qui si può dire tutto, ogni cosa è uguale, poi la morale la tirano Vauro e il pubblico che applaude. In fondo però di che ci stupiamo. Senza questa gente il governo andrebbe a casa. Peccato che tutto questo mette a rischio le nostre, di case. E, intanto, la pelle di Magdi.



Rivolta cinese a Milano: han fatto bene a reprimerla
Libero 13 aprile 2007

di VITTORIO FELTRI
Ci mancavano solo i cinesi a rovinarci l'esistenza e a creare allarme. Non bastavano i fondamentalisti musulmani, le moschee in cui si prepara lo scontro di civiltà, le prostituteschiave-bambine romene, i rapinatori specialisti in villette, i rom accampati nelle periferie, gli accattoni ai semafori, i venditori abusivi: adesso dobbiamo fare i conti anche con gli eredi di Mao, che ieri hanno portato la guerriglia a Milano. Una battaglia che ha evocato altri tempi, quando le bandiere rosse sventolavano in ogni corteo di sprangatori extraparlamentari, quelli di Servire il popolo, di Avanguardia operaia, Lotta continua, Potere operaio eccetera. (...) Rabbia, scontri, botte da orbi. La Polizia chiamata, tanto per cambiare, a ristabilire l'ordine badando a non usare la violenza, come fosse possibile costringere alla resa degli scalmanati senza scalmanarsi. Immagino già i commenti di certa stampa ipercritica nei confronti delle Forze dell'Ordine: gli agenti hanno esagerato, ci volevano più tatto e più attenzione per non passare dalla parte del torto. Le solite balle, le solite lagne di chi, in fondo, se c'è da scegliere fra le guardie e i ladri (e derivati) non esita a scegliere i secondi. La realtà è che a Milano la comunità cinese (oltre ventimila persone radicate nel territorio dagli anni Trenta) non aveva mai dato particolari problemi, anche perché è chiusa in se stessa, ha le proprie regole, è inaccessibile ad altre etnie, diffidente; non partecipa alla vita cittadina, non usufruisce delle strutture sociali. Chinatown è Chinatown. Arroccata nella zona di via Paolo Sarpi. Negozietti, ristoranti, commercio spicciolo, cianfrusaglie, agopunture. C'è un mistero: i cinesi, quando muoiono (moriranno anche loro, ragionevolmente si presume) dove vengono seppelliti? Nessuno lo sa. La riservatezza a questo proposito è totale. Un fatto. Al cimitero, nello spazio dei non cristiani, ci sono salme di ogni nazionalità tranne quella cinese. La spiegazione non salta fuori se non da due leggende metropolitane. Prima leggenda. I signori cinesi, come si raccontava una volta nelle favole per i bambini, sentendo avvicinar- si l'ora di tirare le cuoia salgono su un aereo e vanno a crepare in Patria. Bravo chi ci crede. Seconda leggenda. Il nonno andato all'altro mondo si fa frollare e lo si infila nel menu del ristorantino cantonese in cui un sacco di gente cena volentieri perché si mangia bene e si spende poco. Incredibile anche questa. Ma nel dubbio, non metto mai piede in questo genere di locali. Opto per la cucina nostrana, che pure presenta molti rischi eccetto quello, spero, di dover prendere l'Alka-seltzer allo scopo di digerire lo stinco pechinese. Altra divagazione non del tutto estranea al tema. Anni orsono mi recai a Pechino per lavoro e rimasi sorpreso da una stranezza: in nessun luogo, ma davvero nessun luogo, avevo avuto la fortuna di imbattermi in cani pechinesi; peccato, perché mi piacevano e mi piacciono parecchio. Ovvio - mi fu detto - piacciono talmente anche alla gente del posto che sono esauriti. In quale senso? Sono finiti. In padella. Questa però è cronaca frollata. Conviene tornare a quella fresca di giornata. Ieri, dicevo, i milanesi hanno assistito a una rivoluzione proletaria in miniatura scatenata da un episodio in apparenza trascurabile. Una contravvenzione automobilistica. Una banale multa rifilata da un vigile urbano a una cinesina su una macchina parcheggiata in seconda fila. Non c'è niente di più normale che sanzionare un'infrazione del codice della strada. Eppure Chinatown ieri non l'ha pensata così. Non appena il ghisa (pizzardone per i romani) ha fatto la mossa di compilare il verbale, decine di giovanotti con occhi a mandorla spuntati chissà da dove hanno dato la stura alla sollevazione. Paolo Sarpi si è trasformata in una mini Tien-An-Men. Veicoli rovesciati e casini. Automatico l'intervento della Polizia; per un'oretta sono volati cazzottoni e conseguenti manganellate secondo l'etichetta delle sommosse estemporanee. Feriti e contusi a iosa sia sul fronte degli agenti sia su quello della "muraglia". Non c'è da ridere, ne siamo consapevoli, ma confidiamo nell'equilibrio di chi per un lungo momento l'ha perduto. La comunità cinese non si era mai segnalata per ribellioni di massa, almeno dalle nostre parti, e saremmo lieti di continuare a considerarla pacifica. Se casomai avesse intenzione di concedere delle repliche, consiglieremmo alla medesima di rientrare, con tanto di bandiere rosse, in Patria dove troverebbero a contrastarla qualcuno all'altezza. La Cina è grande e necessita di uomini che sfoghino l'ira non già contro i ghisa che fanno il loro dovere, ma contro un regime ricco di tutto eccetto di democrazia, di rispetto per i diritti dei lavoratori e per i diritti civili. Facile fare la rivoluzione in Italia. Provare a farla nel Paese in cui il comunismo ha stretto un patto di ferro con il Diavolo capitalista dando luogo a un mostro senza testa.

PIO XII
L'ANGELICO PASTORE
amico e benefattore degli Ebrei

http://www.floscarmeli.org/modules.php?name=News&file=article&sid=314






Alcune testimonianze
«L'elezione del cardinale Pacelli non è accettata con favore dalla Germania perché egli si è sempre opposto al nazismo»
Berliner Morgenpost (organo del movimento nazista), 3 marzo 1939.
«In una maniera mai conosciuta prima il papa ha ripudiato il Nuovo Ordine Europeo Nazionalsocialista. È vero che il papa non ha mai fatto riferimento al Nazionalsocialismo germanico per nome, ma il suo discorso è un lungo attacco ad ogni cosa che noi sosteniamo ed in cui crediamo ... Inoltre egli ha parlato chiaramente in favore degli ebrei»
Rapporto della Gestapo riportato nel servizio "Judging Pope Pius XII", Inside the Vatican, giugno 1997, p. 12.
«Essendo un amante della libertà, quando avvenne la rivoluzione in Germania, guardai con fiducia alle università sapendo che queste si erano sempre vantate della loro devozione alla causa della verità. Ma le università vennero zittite. Allora guardai ai grandi editori dei quotidiani che in ardenti editoriali proclamavano il loro amore per la libertà. Ma anche loro, come le università vennero ridotti al silenzio, soffocati nell'arco di poche settimane.
Solo la Chiesa rimase ferma in piedi a sbarrare la strada alle campagne di Hitler per sopprimere la verità.
Io non ho mai provato nessun interesse particolare per la Chiesa prima, ma ora provo nei suoi confronti grande affetto e ammirazione, perché la Chiesa da sola ha avuto il coraggio e l'ostinazione per sostenere la verità intellettuale e la libertà morale. Devo confessare che ciò che io una volta disprezzavo, ora lodo incondizionatamente».
Dichiarazione di Albert Einstein pubblicata da Time magazine, 23 dicembre 1940, p.40.
«Il Congresso dei delegati delle comunità israelitiche italiane, tenutosi a Roma per la prima volta dopo la liberazione, sente imperioso il dovere di rivolgere reverente omaggio alla Santità Vostra, ed esprimere il più profondo senso di gratitudine che anima gli ebrei tutti, per le prove di umana fratellanza loro fornite dalla Chiesa durante gli anni delle persecuzioni e quando la loro vita fu posta in pericolo dalla barbarie nazifascista».
Attestato delle Comunità israelitiche italiane che si trova al Museo della Liberazione in Via Tasso a Roma.
«Il clero italiano aiutò numerosi israeliti e li nascose nei monasteri e il Papa intervenne personalmente a favore di quelli arrestati dai nazisti».
Gideon Hausner procuratore Generale israeliano nel processo contro Eichmann, il 18 ottobre 1961.
«I ripetuti interventi dei Santo Padre in favore delle comunità ebraiche in Europa evocano un profondo sentimento di apprezzamento e gratitudine da parte degli ebrei di tutto il mondo".
Rabbino Maurice Perizweig, direttore del World Jewish Congress
«Quando il terribile martirio si abbattè sul nostro popolo, la voce dei Papa si elevò per le sue vittime. La vita dei nostro tempo fu arricchita da una voce che chiaramente parlò circa le grandi verità morali. ( ... ) Piangiamo un grande servitore della pace».
Golda Meir, 8 ottobre 1958
«Il mio parere è che il pensare che Pio XII potesse esercitare un influsso su un minorato psichico qual era Hitler poggi sulla base di un malinteso. Se il Papa avesse solo aperto bocca, probabilmente Hitler avrebbe trucidato molti di più dei sei milioni di ebrei che eliminò, e forse avrebbe assassinato centinaia di milioni di cattolici, solo se si fosse convinto di aver bisogno di un tale numero di vittime. Siamo prossimi al 9 novembre, giorno in cui ricorre il venticinquesimo anniversario della Notte dei Cristalli; in tal giorno noi ricorderemo la protesta fiammeggiante che Pio XII elevò a suo tempo. Egli divenne intercessore contro gli orrori che a quel tempo commossero il mondo intero»
Dichiarazione del gran Rabbino di Danimarca, dott. Marcus Melchior, riportata da KNA (agenzia di stampa danese), dispaccio n. 214, 5 novembre 1963


Intervista a Laura Bianconi, capogruppo di Forza Italia - 12^ Commissione "Igiene e Sanità" al Senato della Repubblica

di Giovanni Mulazzani

Politica - gio 12 apr


http://www.mascellaro.it/web/index.php?page=articolo&CodAmb=-1&CodArt=12069


Sen. Bianconi, il Governo ha presentato, a seguito di numerose polemiche ed altrettante controverse discussioni interne alla maggioranza parlamentare, un disegno di legge finalizzato a disciplinare giuridicamente le unione di fatto; alla luce delle posizioni emerse qual'è il suo giudizio politico e la sua opinione in merito alla proposta del governo, tuttora all'esame del Parlamento?
Ogni proposta di legge volta a riconoscere altre forme di unioni deve essere ritirata. Quindi anche quella sui famosi Di.Co. che maliziosamente, con la scusa di regolamentare fantomatici diritti individuali, non fa altro che riconoscere anche le unioni omosessuali. Sono ancora in attesa di sapere quali sarebbero questi diritti individuali ancora non regolamentati dal nostro Codice Civile e questo perché di fatto non ce n'è la necessità. La verità è una sola: l'obiettivo, di pochi per fortuna, è quello di introdurre anche in Italia il riconoscimento delle unioni gay, e questo non deve accadere per il bene della nostra società. Ognuno viva come meglio crede ma la famiglia resta solo quella prevista dalla Costituzione.

Il Santo Padre, Benedetto XVI, in più occasioni ha ribadito la centralità della famiglia, formulando un appello alle persone impegnate a vario titolo in politica affinché, nell'ambito della propria attività, riconoscano la necessità prioritaria e strategica di investire sulla famiglia, promuovendo a tal fine politiche fattive a sostegno della medesima; a suo avviso, il Parlamento e soprattutto il Governo hanno recepito l'appello del Papa, che ha riscontrato un'ampia condivisione anche da parte di significativi ed autorevoli esponenti laici?
A parole tutti riconosciamo la centralità della famiglia quale nucleo fondante della nostra società, ma poi nei fatti non è così. Sono ancora molto poche le azioni che Governo e Parlamento hanno posto in essere per aiutare le famiglie già esistenti e i giovani che vorrebbero crearne delle nuove. Si assiste molto spesso sia da una parte che dall'altra a iniziative di politici che invece tendono ad agevolare la nascita di altre forme di unioni dimenticandosi di rispondere ai problemi che quotidianamente affrontano le famiglie.

L'iter parlamentare che accompagnerà i Di.Co, si annuncia alquanto controverso per molteplici ragioni; alla luce di questa situazione è possibile in particolare al Senato, conseguire un intesa trasversale tra i partiti politici, non solo sul tema delle unioni di fatto ma più in generale sui temi concernenti la bioetica, l'etica e la vita, ad esempio l'eutanasia, la ricerca e il testamento biologico?
Devo dire che al Senato dopo un inizio zoppicante sui temi della bioetica che ci ha visto soccombere sul problema degli embrioni per un solo voto, oggi è cresciuta una importante consapevolezza: quella che non si vuole intraprendere la via zapaterista su questi temi, e quindi, credo che si sia creato un fronte trasversale molto numeroso volto a tutelare prima di tutto il diritto naturale ed il rispetto per la vita umana. In merito a possibili compromessi su leggi come quella dei Di.Co. non credo ve ne possano essere, perché qualsiasi strada aprirebbe inevitabilmente la porta al riconoscimento delle unioni omosessuali, così come non è possibile che ve ne siano sul testamento biologico anticamera dell'eutanasia e la maggioranza dei senatori questo non vuole che accada.

Il 12 maggio prossimo a Roma avrà luogo il "Family Day", la manifestazione promossa dal Forum delle Associazioni Familiari, alla quale hanno aderito numerose associazioni e movimenti cattolici; quale segnale politico e sociale e sopratutto quale auspicio generale, lei si augura possa comunicare alle istituzioni ed alla società civile, una mobilitazione che si annuncia così popolare e politicamente trasversale, tale da registrare non solo l'adesione del centrodestra ma anche di alcuni autorevoli esponenti del centrosinistra, e di alcuni ministri?
Innanzitutto bisogna ribadire che si deve avere rispetto per tutte le manifestazioni moderate e non violente che sono iniziativa di liberi cittadini. Così come è un diritto di ognuno di noi esprimere le proprie opinioni, come ha fatto Mons. Bagnasco e per questo costretto a camminare sotto scorta, una situazione inaccettabile in un Paese democratico. Il segnale politico che sono certa emergerà da questo importante evento è che la maggior parte degli italiani non vuole che su questo tema si scenda a compromessi di comodo solo per aprire la strada al riconoscimento delle unioni omosessuali, siamo un popolo tradizionalista che ha un grande amore e rispetto per l'istituto della famiglia tradizionale, e questo amore, lo vedranno tutti, non ha colore politico. Saremo in piazza tutti uniti a testimoniare che per noi esiste una ed una sola forma di famiglia, quella che conosciamo da sempre.

Presso la commissione Igiene e Sanità del Senato, sono attualmente in discussione otto disegni di legge concernenti il testamento biologico: qual è la sua posizione in merito alla possibilità di introdurre una disciplina giuridica proprio su questo tema, e quali conseguenze innanzitutto culturali determinerebbe una siffatta decisione politica?
Una simile dichiarazione, fatta in astratto e quando la persona è in buone condizioni di vita, come facciamo a sapere se veramente esprime la volontà della persona sul tipo di trattamento sanitario scelto quando dovesse trovarsi in un effettivo stadio grave di malattia? Lo spirito con il quale io posso oggi, in buona salute, sottoscrivere il mio testamento biologico non è sicuramente quello che avrei se mi dovessi trovare in condizioni di vita difficili ed altamente deficitarie per il mio fisico, e se allora, anche in quelle condizioni, mi rendessi conto che invece voglio continuare a vivere? Come farei a comunicare che ho cambiato idea? Dobbiamo, inoltre, tener presente che un tale atto, quello del testamento biologico, finirebbe per annientare il rapporto tra paziente e medico, riducendo quest'ultimo ad essere un mero esecutore "testamentario", quando il suo compito sarebbe quello di curare e di cercare le soluzioni migliori perché il suo assistito viva.
Un altro dubbio che mi pongo è che non c'è alcuna garanzia che una volta legiferato in materia ed imboccato il piano obliquo non si cominci a ruzzolare, come è accaduto in Francia, dove si è legiferato nel 2005 sui diritti dei malati e sulla fine della vita, ed oggi, a distanza di due anni, si vuole la morte a richiesta. Una legge che sponsorizzi l'eutanasia mascherata sarebbe semplicemente contro la naturale responsabilità di vivere che abbiamo.

E' possibile ricercare una sintesi politica, e di conseguenza legislativa, che da un lato escluda l'accanimento terapeutico sul paziente e dall'altro condanni esplicitamente e chiaramente ogni tipo di ricorso all'eutanasia, affermando la necessità di tutelare la dignità e l'esistenza umana in ogni stadio della sua evoluzione?
La vita è un bene indisponibile e la dignità di ogni uomo si misura anche nel suo coraggio di amare la vita al di là di tutte le difficoltà quotidiane. Credo che sia nella natura umana la volontà di voler vivere, e se questa viene meno è solo perché si può arrivare ad un punto in cui ci sente soli, stanchi e non più in grado di amare quello che siamo. Anch'io sono contraria all'accanimento terapeutico, ma abbiamo la sensazione che quello che sta prendendo il sopravvento sia un'altra grave forma di accanimento: l'abbandono terapeutico. Portiamo avanti, invece, delle politiche di sostegno alla vita, creiamo delle strutture in grado di affiancare e sostenere sia moralmente che materialmente tutti coloro che sono gravemente malati ed incoraggiamo le loro famiglie affinché ogni malato si senta accompagnato in questo cammino di sofferenza, cerchiamo di ridurgli il dolore e soprattutto non facciamolo sentire un peso per la nostra società. Le statistiche infatti parlano chiaramente, in Svizzera la maggior parte dei malati che chiedono l'eutanasia sono persone sole che si sentono inutili e hanno paura del dolore e di vivere in condizioni difficili. Restiamo dunque accanto fino alla fine a chi è costretto a vivere in condizioni difficili ricordandogli in ogni momento che anche la sua vita è preziosa


"Vivere il carcere come redenzione"

Il GIORNALE 13 aprile 2007

di Giorgio Vittadini*

E’ possibile oggi un cammino di redenzione umana, quando si sia commesso qualcosa di grave? Se lo saranno domandati in molti, in questi giorni, pensando alla vicenda del “buon ladrone”.
Un anno fa, in occasione dell’indulto, si erano rinfocolati pruriti giustizialisti, di destra e di sinistra, ma allora, come adesso, pochi hanno citato i fatti positivi in atto che stanno dando corpo all’intento riabilitativo dell’articolo 27 della Costituzione. Eppure questi fatti non mancano. Uno, tra i tanti, viene dal carcere di Biella. Come afferma su Il Biellese del 3 aprile 2007 il sostituto commissario Emilio Verrengia, negli ultimi anni, venti detenuti nella sezione ad elevato indice di vigilanza “hanno manifestato a tutte le autorità competenti il desiderio di intraprendere un percorso di inserimento nella vita sociale benché non immediato”. Alla richiesta hanno risposto positivamente il personale di polizia carceraria, il magistrato di sorveglianza, gli educatori e la direttrice del carcere. Sono cominciati così incontri in cui, parlando della vita carceraria, si sono messi a tema i valori più importanti e la stessa concezione dell’esistenza umana.
Questa novità si è connessa con il suggerimento di promuovere corsi di formazione che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aveva fatto alle direzioni delle carceri dopo l’indulto. Perché il percorso di riabilitazione continuasse, le autorità competenti del carcere di Biella hanno proposto un corso di computer ai detenuti.
A ciò si sono aggiunte la disponibilità e la professionalità del personale di polizia penitenziaria e il corso si è svolto con successo, nel mese di marzo, in una stanza all’interno della sezione. Gli “alunni” hanno collaborato con entusiasmo e impegno e hanno raggiunto una buona preparazione. I risultati sono ancora più rimarchevoli se si pensa che, per le limitazioni legate alla loro condizione, alcuni di loro devono limitarsi ad utilizzare i pc durante le sole ore di lezione.
Quale morale trarre da questa vicenda? Chi non conosce la realtà carceraria può pensare che quanto iniziato al carcere di Biella sia qualcosa di ultimamente insignificante. Invece è segno di grande speranza e novità, considerando anche le difficoltà e le apprensioni che aperture di questo tipo suscitano (sono state presentate in proposito due interrogazioni parlamentari che esprimono preoccupazione a riguardo di ordine e sicurezza del corso).
Nonostante il cinismo di molti opinionisti, nel nostro Paese, il desiderio di una vita più umana non è morto. La volontà di un cambiamento virtuoso può manifestarsi addirittura da chi, in carcere, vive la libertà come ritrovata condizione del cuore. Per noi, gente apparentemente libera ma, come ha detto don Julián Carrón in un recente incontro, piena di lamenti e ansiosa di mutare la “cella” della circostanza in cui siamo, è davvero una bella lezione. C’è veramente da chiedersi, come fa il Papa nella Sacramentum caritatis "che cosa possa ultimamente muovere l’uomo nell’intimo".

*Presidente Fondazione per la Sussidiarietà



1 commento:

Anonymous ha detto...

Si si, tutto bello il corso di informatica. Peccato che ne approfittavano proprio i mafiosi i camorristi e i brigatisti della sezione per aggirare i controlli e dare ordini all'esterno
Bravo vittadini, aiutiamo chi ne ha bisogno (mafia camorra ndrangheta e eversione di sinistra). Biella dicono i giornali era il laboratorio ANTISTATO.
Un attento lettore di tematiche carcerarie