Domande selettive su quell’aborto
Aborto &C - mar 4 set
di Giuseppe Romano
Tutti ormai sanno com’è andata alle due sorelline di Milano sottoposte ad aborto “selettivo” e “terapeutico”, in cui la terapia selettiva consisteva nell’eliminare la bambina più debole. La fatalità sul tavolo operatorio che ha ucciso l’altra bambina, l’apertura di un’inchiesta per omicidio, l’aborto anche della sorellina sopravvissuta: quella che fin dall’inizio doveva morire e infatti qualche giorno dopo è morta comunque.
Non sappiamo, per fortuna, chi siano i genitori. Restino privati e rispettati il dolore, il rimpianto, le aspettative deluse e il rimorso per la maniera in cui è andata. Meglio così. Non soltanto perché tragedie simili impongono tatto e discrezione, ma anche perché in questo modo possiamo liberamente parlarne senza equivoci.
Scelte e dolori soggettivi, infatti, legano le mani. Nessuno di noi è tanto addentro nell’animo altrui da poter giudicare al posto suo, da poter dire che cosa avrebbe dovuto o potuto o saputo fare nei panni di un altro: ci resta impenetrabile perfino la coscienza del peggior farabutto. Tanto meno ci si può azzardare davanti a persone animate dalle migliori intenzioni come sono un papà e una mamma che, sperando in un figlio, quando questi arriva si sentono dire che non potrà mai condurre una vita normale. Crolla il mondo. Certo, davanti a questo abbiamo visto papà e mamme comportarsi in maniera diametralmente opposta a quella decisa dai due genitori milanesi, ma – ripetiamolo – è inumano ergersi a giudici al posto loro.
Invece è umano, dev’esserlo in una società dignitosa, libera e civile, giudicare questa morte di due donne giovanissime, di due bambine quasi nate, come un atto di barbarie senza scusanti. Quali requisiti mancavano loro perché qualcuno decidesse di sbarrare la strada verso un’infanzia e una vita e una famiglia? Una delle due aveva problemi. Dunque qualsiasi bambino con problemi va tolto di mezzo? Nel frattempo, è morta l’altra, la sorellina “sana”. Che a molti commentatori viene da giudicare come vittima principale senza che nella mente scatti l’equazione corretta. Lei almeno, è morta per incidente. Invece la sorella “malata” è stata uccisa intenzionalmente due volte.
Proviamo a pensare senza impantanarci nella pietà per i genitori e nella casistica delle leggi. Sono fredde, le leggi. Non ci parlano dei concreti bimbi che vengono “selezionati”, uno sì e l’altro no, soltanto perché è ovvio che sia preferibile una figlia senza malformazioni. Il che è sempre ovvio, infatti. Ma esistono figli non a rischio, garantiti dalle “malformazioni”? Quale criterio di “sanità” ci fa individuare chi merita di sopravvivere a un possibile futuro di nevrosi, di disadattamento, di droga, di anoressia o anche di mero allontanamento generazionale? Da quando i figli sono così nostri da selezionarli come pullover?
Gira una pubblicità radiofonica dove un ragazzo decanta la propria sedia a rotelle. Vi è confinato da cinque anni, dopo l’incidente che gli ha tolto l’uso delle gambe. «Guidavo ubriaco», commenta amaro e ammonitore. Colpa sua, pagata a caro prezzo. Eppure nessun giudice ha concluso che tanto vale farlo fuori per risolvere il problema suo, dei parenti e della mutua statale che ora devono mantenerlo. Che cos’avevano di meno, che colpa avevano in più, le due piccoline?
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