sabato 24 novembre 2007

IL TESTAMENTO BIOLOGICO:QUALE DETERMINAZIONE?

Intervengono Dott. Melazzini e Prof.Palmaro
Sabato 10 novembre , nel pomeriggio, presso la Sala della Consulta della Camera di Commercio di Ravenna si è svolto un incontro a tema Il Testamento biologico: Quale Autodeterminazione?
Promosso dall’associazione Scienza e Vita, Medicina & Persona, Centroculturale Piergiorgio Frassati, Movimento per la Vita, Consultorio Pro Familia, relatori il Prof. Mario Palmaro e il dott. Mario Melazzini.


il dott. Mario Melazzini primario oncologo della Fondazione Maugeri di Pavia e Presidente di AISLA ( Associazione sclerosi laterale amiotrofica) ha esordito ponendo questa domanda: il malato ha più paura dell’accanimento o dell’abbandono?


In una sala gremita e attenta il Prof. Mario Palmaro, Docente di Filosofia del Diritto e Presidente del Comitato “Verità e Vita”, ci ha introdotto sulle tematiche riguardanti “ le disposizioni di fine vita”. La questione non è di poca importanza. Ricordiamo il grande dibattito e gli umori contrastanti che la drammatica vicenda di Welby ha scatenato nell’opinione pubblica anche in quelle persone solitamente più distratte ed indifferenti.
Numerosi progetti di legge sono stati presentati in parlamento su questo argomento e ciclicamente si portano sulle prime pagine dei giornali strazianti casi limite sull’onda dei quali, l’opinione pubblica viene emozionalmente chiamata ad esprimersi.
Il Prof. Palmaro ha spiegato che la scelta della parola testamento già nel comune sentire evoca un’immagine di tipo patrimoniale, un bene da gestire e possedere come se si volesse paragonare la vita ad un oggetto ed illudere il malato che non riesce ad essere artefice della sua vita, di poter diventare artefice della sua morte.
Già dal Giuramento di Ippocrate (IV sec a.C.) il medico ha come primo scopo del suo agire il “non nuocere”. Introdurre per legge fra i suoi obblighi quello di anticipare le morte del paziente è evidentemente un cambiamento di rotta, una difficile e pericolosa inversione di tendenza.
A questo punto è bene sottolineare come la condizione di “fine vita” possa dilatarsi o restringersi anche nell’immaginario collettivo in base alla cultura, alla disponibilità di mezzi economici e terapeutici ed alla sensibilità del momento storico in cui si sta operando.
Secondo il Prof. Palmaro l’introduzione del testamento biologico riduce il rapporto medico paziente; il medico non deve più agire secondo scienza e coscienza ma deve soddisfare la scelta esclusiva del paziente, la figura di un medico che si impegna per il bene ultimo non serve più. La medicina viene ridotta ad un rapporto contrattuale in cui i due attori principali quasi non partecipano alla scena.
Obbligato alla volontà del paziente, al medico accusato di avere come prassi abituale l’accanimento terapeutico resta l’obbiezione di coscienza come ultimo spiraglio per non soggiacere ad una cultura di morte.
Appassionato e coinvolgente il dott. Mario Melazzini primario oncologo della Fondazione Maugeri di Pavia e Presidente di AISLA ( Associazione sclerosi laterale amiotrofica) ha esordito ponendo questa domanda: il malato ha più paura dell’accanimento o dell’abbandono?

Egli stesso portatore di sclerosi laterale amiotrofica in stato di invalidazione importante, ha sottolineato come uno dei primi doveri del medico sia quello di avere il coraggio di farsi carico del paziente in tutto il percorso della cura e capire l’ impatto che ha nel malato stesso il disagio creato dai suoi nuovi bisogni.
Anche il dott. Melazzini si è dichiarato sfavorevole al testamento biologico perchè deresponsabilizza il medico e deteriora il rapporto medico-paziente non permettendo più quell’empatia indispensabile per lottare uniti contro un male inguaribile ma non incurabile.
E’ impossibile trasmettere l’atmosfera che le parole del dott. Melazzini hanno fatto scendere nella sala ma certamente tutti vorremmo su di noi “quello sguardo carico di tenerezza che può far dimenticare il degrado del proprio corpo”,vorremmo risentire quella voce flebile ma serena e certa che ha cercato di convincere l’assemblea sulla inutilità di una legge che anziché umanizzare il servizio sanitario porta ad una ulteriore deresponsabilizzazione delle strutture preposte alle cure dei più fragili. Sotto “mentite spoglie”(non veder soffrire) si insinua una cultura che rende meno deprecabile l’eutanasia .
Se è vero che invochiamo il diritto alla vita di chi si è macchiato di delitti (“nessuno tocchi caino”) tanto più dobbiamo sostenere e assistere, come battaglia di libertà e progresso, gli anziani e gli ammalati quando la sfida della sofferenza si fa drammatica.
Per concludere, con tutti i problemi che ha la nostra sanità, non sembra proprio che necessiti una legge sulle “Disposizioni di fine vita “ o “testamento biologico” che riduca ulteriormente il rapporto fiduciario medico paziente; non dobbiamo poi sottovalutare gli oneri che una scelta di questo genere comporta sia per l’applicazione delle norme sia nell’intervento sul singolo caso (avvocato...tutore...medico… legale ecc..) Solo questo introduce una ulteriore discriminazione e riduce l’attenzione alle problematiche assistenziali degli stati terminali .
Mons.Verucchi, Arcivescovo di Ravenna, nel congedare l’assemblea si è detto concorde con il giudizio espresso dai relatori ed ha concluso con una riflessione sui Novissimi aggiungendo che il testamento biologico riguarda la fine della vita e decide anche della vita eterna. Il periodo della vita, dice l’Arcivescovo, è breve, prezioso, unico e meritorio: cioè è l’unico periodo in cui posso decidere del mio futuro nell’Aldilà. Posso decidere fino alla fine, ma come posso mettere a repentaglio la vita eterna ? Se è determinante la vita terrena per la vita eterna, non avrò mai l’ardire di decidere per me o per un altro quale sarà la vita eterna!
A cura di Medicina & Persona , Lugo

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