mercoledì 28 novembre 2007

Aspettando il NATALE

All'interno alcune tradizioni natalizie

PRESEPIO

Sono gli evangelisti Luca e Matteo i primi a descrivere la Natività.
Nei loro brani c'è già tutta la sacra rappresentazione che a partire dal medioevo prenderà il nome latino di praesepium ovvero recinto chiuso, mangiatoia. Si narra infatti della umile nascita di Gesù, come riporta Luca, "in una mangiatoia perché non c'era per essi posto nell'albergo" (Ev., 2,7); dell'annunzio dato ai pastori; dei magi venuti da oriente seguendo la stella per adorare il Bambino che i prodigi del cielo annunciano già re. Questo avvenimento così familiare e umano se da un lato colpisce la fantasia dei paleocristiani rendendo loro meno oscuro il mistero di un Dio che si fa uomo, dall'altro li sollecita a rimarcare gli aspetti trascendenti quali la divinità dell'infante e la verginità di Maria.
Così si spiegano le effigi parietali del III secolo nel cimitero di S. Agnese e nelle catacombe di Pietro e Marcellino e di Domitilla in Roma che ci mostrano una Natività e l'adorazione dei Magi, ai quali il vangelo apocrifo armeno assegna i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, ma soprattutto si caricano di significati allegorici i personaggi dei quali si va arricchendo l'originale iconografia.
Il bue e l'asino, aggiunti da Origene, interprete delle profezie di Abacuc e Isaia, divengono simboli del popolo ebreo e dei pagani; i Magi il cui numero di tre, fissato da S. Leone Magno, ne permette una duplice interpretazione, quali rappresentanti delle tre età dell'uomo: gioventù, maturità e vecchiaia e delle tre razze in cui si divide l'umanità: la semita, la giapetica e la camita secondo il racconto biblico; gli angeli, esempi di creature superiori; i pastori come l'umanità da redimere e infine Maria e Giuseppe rappresentati a partire dal XIII secolo, in atteggiamento di adorazione proprio per sottolineare la regalità dell'infante.
Anche i doni dei Magi sono interpretati con riferimento alla duplice natura di Gesù e alla sua regalità: l'incenso, per la sua Divinità, la mirra, per il suo essere uomo, l'oro perché dono riservato ai re. A partire dal IV secolo la Natività diviene uno dei temi dominanti dell'arte religiosa e in questa produzione spiccano per valore artistico: la natività e l'adorazione dei magi del dittico a cinque parti in avorio e pietre preziose del V secolo che si ammira nel Duomo di Milano e i mosaici della Cappella Palatina a Palermo, del Battistero di S. Maria a Venezia, e a Roma quelli delle Basiliche di S. Maria in Trastevere della Basilica di Santa Maria Maggiore, dove già nel 600 esisteva una riproduzione della grotta di Betlemme: «Sancta Maria ad Praesepem». E molti cristiani si recavano a visitarla con la stessa devozione con la quale i pellegrini confluivano a Betlemme, in Giudea, alla grotta considerata luogo di nascita di Gesù e dove per desiderio di sant'Elena (madre dell'imperatore Costantino) sorse, nel 326, la Basilica della Natività.
In queste opere dove si fa evidente l'influsso orientale, l'ambiente descritto è la grotta, che in quei tempi si utilizzava per il ricovero degli animali, con gli angeli annuncianti mentre Maria e Giuseppe sono raffigurati in atteggiamento ieratico simili a divinità o, in antitesi, come soggetti secondari quasi estranei all'evento rappresentato.

Dal secolo XIV la Natività è affidata all'estro figurativo degli artisti più famosi che si cimentano in affreschi, pitture, sculture, ceramiche, argenti, avori e vetrate che impreziosiscono le chiese e le dimore della nobiltà o di facoltosi committenti dell'intera Europa, valgano per tutti i nomi di Giotto, Filippo Lippi, Piero della Francesca, il Perugino, Dürer, Rembrandt, Poussin, Zurbaran, Murillo, Correggio, Rubens e tanti altri.

Il presepio come lo vediamo realizzare ancor oggi ha origine, secondo la tradizione, dal desiderio di San Francesco di far rivivere in uno scenario naturale la nascita di Betlemme; nel 1223 a Greccio, in Umbria, per la prima volta arricchì la Messa di Natale con la presenza di un presepio vivente, episodio poi magistralmente dipinto da Giotto nell'affresco della Basilica Superiore di Assisi. L'opera ideata da san Francesco venne chiamata Presepio o Presepe, termine di derivazione latina indicante la stalla, e anche la mangiatoia che si trova in quell'ambiente, propriamente ogni recinto chiuso.

Alcuni studiosi italiani e stranieri ritengono non del tutto corretto attribuire a San Francesco la paternità del presepio. Come narra Tommaso da Celano, il frate che raccontò la vita del santo, Francesco nel Natale del 1222 si trovava a Betlemme dove assisté alle funzioni liturgiche della nascita di Gesù. Ne rimase talmente colpito che, tornato in Italia, chiese a Papa Onorio III di poterle ripetere per il Natale successivo. Ma il Papa, essendo vietati dalla chiesa i drammi sacri, gli permise solo di celebrare la messa in una grotta naturale invece che in chiesa. Quando giunse la notte santa, accorsero dai dintorni contadini di Greccio e alcuni Frati che illuminarono la notte con le fiaccole. All’interno della grotta fu posta una greppia riempita di paglia e accanto vennero messi un asino e un bue. Francesco, che non era sacerdote, predicò per il popolo riunito.
Pertanto non si tratta della realizzazione di un vero presepio (che é la rappresentazione tridimensionale, a tutto tondo, della nascita di Gesù, mediante un plastico e alcune statuine) ma piuttosto di una messa celebrata eccezionalmente in una grotta anziché in una chiesa.
Il primo presepe con personaggi a tutto tondo risalirebbe quindi al 1283, e fu opera di Arnolfo di Cambio che scolpì otto statuette in legno rappresentanti i personaggi della Natività ed i Magi. Tale presepe si trova ancora nella basilica romana di S. Maria Maggiore.
Da allora e fino alla metà del 1400 gli artisti modellano statue di legno o terracotta che sistemano davanti a un fondale pitturato riproducente un paesaggio che fa da sfondo alla scena della Natività; il presepe è esposto all'interno delle chiese nel periodo natalizio. Culla di tale attività artistica fu la Toscana ma ben presto il presepe si diffuse nel regno di Napoli ad opera di Carlo III di Borbone e nel resto degli Stati italiani.

Nel '600 e '700 gli artisti napoletani danno alla sacra rappresentazione un'impronta naturalistica inserendo la Natività nel paesaggio campano ricostruito in scorci di vita che vedono personaggi della nobiltà, della borghesia e del popolo rappresentati nelle loro occupazioni giornaliere o nei momenti di svago: nelle taverne a banchettare o impegnati in balli e serenate.

Ulteriore novità è la trasformazione delle statue in manichini di legno con arti in fil di ferro, per dare l'impressione del movimento, abbigliati con indumenti propri dell'epoca e muniti degli strumenti di svago o di lavoro tipici dei mestieri esercitati e tutti riprodotti con esattezza anche nei minimi particolari. Questo per dare verosimiglianza alla scena delimitata da costruzioni riproducenti luoghi tipici del paesaggio cittadino o campestre: mercati, taverne, abitazioni, casali, rovine di antichi templi pagani. A tali fastose composizioni davano il loro contributo artigiani vari e lavoranti delle stesse corti regie o la nobiltà, come attestano gli splendidi abiti ricamati che indossano i Re Magi o altri personaggi di spicco, spesso tessuti negli opifici reali di S. Leucio.

In questo periodo si distinguono anche gli artisti liguri in particolare a Genova, e quelli siciliani che, in genere, si ispirano sia per la tecnica che per il realismo scenico, alla tradizione napoletana con alcune eccezioni come ad esempio l'uso della cera a Palermo e Siracusa o le terracotte dipinte a freddo di Savona e Albisola.

Sempre nel '700 si diffonde il presepio meccanico o di movimento che ha un illustre predecessore in quello costruito da Hans Schlottheim nel 1588 per Cristiano I di Sassonia.

La diffusione a livello popolare si realizza pienamente nel '800 quando ogni famiglia in occasione del Natale costruisce un presepe in casa riproducendo la Natività secondo i canoni tradizionali con materiali - statuine in gesso o terracotta, carta pesta e altro - forniti da un fiorente artigianato. In questo secolo si caratterizza l'arte presepiale della Puglia, specialmente a Lecce, per l'uso innovativo della cartapesta, policroma o trattata a fuoco, drappeggiata su uno scheletro di fil di ferro e stoppa.

A Roma le famiglie importanti per censo e ricchezza gareggiavano tra loro nel farsi costruire i presepi più imponenti, ambientati nella stessa città o nella campagna romana, che permettevano di visitare ai concittadini e ai turisti. Famosi quello della famiglia Forti posto sulla sommità della Torre degli Anguillara, o della famiglia Buttarelli in via De' Genovesi riproducente Greccio e il presepe di S. Francesco o quello di Padre Bonelli nel Portico della Chiesa dei Santi XII Apostoli, parzialmente meccanico con la ricostruzione del lago di Tiberiade solcato dalle barche e delle città di Gerusalemme e Betlemme.

Oggi dopo l'affievolirsi della tradizione negli anni '60 e '70, causata anche dall'introduzione dell'albero di Natale, il presepe è tornato a fiorire grazie all'impegno di religiosi e privati che con associazioni come quelle degli Amici del Presepe, Musei tipo il Brembo di Dalmine di Bergamo, mostre, tipica quella dei 100 Presepi nelle Sale del Bramante di Roma; dell'Arena di Verona, rappresentazioni dal vivo come quelle della rievocazione del primo presepio di S. Francesco a Greccio e i presepi viventi di Rivisondoli in Abruzzo o Revine nel Veneto e soprattutto la produzione di artigiani presepisti, napoletani e siciliani in special modo, eredi delle scuole presepiali del passato, hanno ricondotto nelle case e nelle piazze d'Italia la Natività e tutti i personaggi della simbologia cristiana del presepe.


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ALBERO DI NATALE
Verso il secolo XI, nell'Europa dei Nord, sì diffuse l'uso di allestire rappresentazioni (sacre rappresentazioni o misteri) che riproponevano episodi tratti dalla Bibbia.

Nel periodo d'Avvento, una rappresentazione molto richiesta era legata al brano della Genesi sulla creazione. Per simboleggiare l'albero «della conoscenza del bene e del male» del giardino dell'Eden si ricorreva, data la regione (Nord Europa) e la stagione, ad un abete sul quale si appendevano dei frutti.

Da quell'antica tradizione si giunse via via all'albero di Natale dei giorni nostri, di cui si ha una prima documentazione certa risalente al 1512 in Alsazia. L'abete di Natale assunse gradatamente anche un significato nuovo: venne a simboleggiare la figura di Gesù, il Salvatore che ha sconfitto le tenebre dei peccato: per questo motivo si è cominciato ad adornarlo di luci.


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CERO DI NATALE
La luce del cero natalizio simboleggia Gesù, luce del mondo. Una luce è nata nel mondo sono le parole della liturgia, e il cero con la sua fiamma richiama proprio questo significato.
In Francia e in Gran Bretagna fa parte della tradizione accendere tre ceri fusi insieme alla base, come segno di adorazione alla Trinità.


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CORONA D'AVVENTO
L'uso della Corona d'Avvento è da collegarsi ad un'antica consuetudine germanico-precristiana, derivata dai riti pagani della luce, che si celebravano del mese di Yule (dicembre).
Nel XVI secolo si diffuse tra i cristiani divenendo un simbolo di questo periodo che precede il Natale.
La Corona d'Avvento è un cerchio realizzato con foglie di alloro o rametti di abete (il loro colore verde simboleggia la speranza, la vita) con quattro ceri.
Durante il Tempo di Avvento (quattro settimane) ogni domenica si accende un cero. Secondo una tradizione, ogni cero ha un suo significato: c'è il cero dei profeti, il cero di Betlemme, quello dei pastori e quello degli angeli. La corona può venire appoggiata su un ripiano o appesa al lampadario. L'accensione di ogni cero è accompagnata da un momento di preghiera. Si conclude con un canto alla Madre di Gesù.


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REGALI DI NATALE
Gli abitanti dell'antica Roma erano soliti scambiarsi, in occasione di feste e a capodanno, dei regali chiamati strenne.
Tale consuetudine si ricollegava ad una tradizione secondo la quale, il primo giorno dell'anno, al re veniva offerto in dono un ramoscello raccolto nel bosco della dea Strenna (dea sabina della salute?). Questo rito augurale si diffuse tra il popolo e, ben presto, i rametti di alloro, di ulivo e di fico vennero sostituiti da regali vari.
Tale tradizione, presente ancora ai nostri giorni, si riveste in occasione del Natale di nuovi significati richiamando, attraverso il gesto del dono, l'amore di Dio che ha donato suo Figlio all'umanità intera.


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CEPPO DI NATALE
Soprattutto in passato, nella notte di Natale, si accendeva nel caminetto un gran ceppo di abete per rendere confortevole (caldo) l'ambiente in segno di ospitalità, di accoglienza alla venuta del Figlio di Dio.


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LA «ROSA DI NATALE»
L'Helleborus è una pianta che cresce spontaneamente nelle zone di montagna (ma si acclimata con facilità anche in pianura e nelle aree temperate) e i cui fiori sbocciano in pieno inverno. Per tale caratteristica, una sua varietà, l'Helleborus niger, è anche conosciuta come Rosa di Natale. Quest'ultima presenta un rizoma nerastro e grandi fiori bianchi a cinque petali con sfumature tendenti al rosa.


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LA «STELLA DI NATALE»
Questa pianta appartiene alla specie delle Euforbiacee, il suo nome scientifico infatti è: Euphorbia pulcherrima, ma è anche chiamata Poinsettia. È una pianta arbustiva che deve la sua bellezza in particolar modo al colore rosso vivo delle grandi battree fogliari disposte a forma di stella. Fiorisce da dicembre a marzo.

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QUANDO È NATO... IL «NATALE»

«25 DICEMBRE»
Non è storicamente accertato che Gesù sia nato effettivamente il 25 dicembre.
Anche nei vangeli di Matteo e di Luca, che forniscono una descrizione di alcuni momenti legati alla Natività, non viene citato né il giorno, né il mese, e neppure l'anno della venuta dei Figlio di Dio, anche se sappiamo che Gesù nacque quando regnava l'imperatore Cesare Augusto.

È nel IV secolo che si diffonde la celebrazione della festa cristiana del Natale di Gesù il 25 dicembre.
In merito a tale datazione, nel corso degli anni, sono state formulate diverse ipotesi.
Alcuni studiosi ritengono che questa data venne scelta dalla Chiesa in contrapposizione alla festa pagana del Sole invitto voluta dall'imperatore Aureliano, nel 275. Festa da celebrarsi, per l'appunto, il 25 dicembre, cioè quattro giorni dopo il solstizio d'inverno che cade il 21 dicembre. Dopo tale data la luce [il Sole] rinasce e prende gradatamente il sopravvento sulle tenebre, le giornate si allungano fino al 21 giugno, il giorno più lungo dell'anno: il solstizio d'estate.

La Chiesa quindi, secondo l'opinione degli studiosi, per contrastare il perpetuarsi di tale festa pagana radicata nella tradizione popolare, decise di celebrare in quella medesima data il dies natalis Christi, la nascita di Gesù: «Luce dei mondo», il vero «Sole di giustizia» che brillerà in eterno.
Una fonte autorevole, il Cronografo (il più antico calendario della Chiesa di Roma) del 354, indica il 25 dicembre quale giorno per la celebrazione della festa della Natività, ma un altro documento romano la Depositio episcoporum (elenco liturgico contenuto nello stesso Cronografo) attesta che tale celebrazione era già presente nel 336 (sembra che inizialmente tale festa venisse celebrata soltanto nella Basilica di San Pietro).

La scelta di questo giorno, comunque, fu sanzionata nel 354 da Papa Liberio.


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UN SANTO NATALIZIO

SAN NICOLA
San Nicola nacque verso il 270, forse a Patara, nella Licia (attuale Turchia). Rimasto orfano ancora giovinetto, venne accolto da uno zio che risiedeva nella città di Mira (oggi Dembre). Ben presto Nicola si fece ammirare per la grande bontà e generosità che animavano il suo operato soprattutto verso i più poveri, ai quali distribuì le ricchezze ricevute in eredità dai genitori.

In seguito venne ordinato sacerdote dal vescovo di Mira e, alla morte di questi, ne divenne il successore. Anche in questo campo si distinse ben presto per lo zelo pastorale e l'amorevole cura con la quale seguì il suo «gregge», mentre la risonanza di grandi miracoli da lui compiuti si diffondeva ovunque accrescendo la fama di santo riconosciutagli dai suoi stessi contemporanei.

L'indomito vescovo, alla sua morte avvenuta il 6 dicembre ma di cui non si conosce con esattezza l'anno (che si ritiene compreso tra il 345 e il 352), venne sepolto nella cattedrale di Mira.

Le reliquie rimasero a Mira fino al 1087 (la città intanto da diversi anni si trovava sotto il dominio turco), allorché un gruppo di marinai baresi le trafugarono e trasportarono a Bari dove giunsero il 9 maggio 1087 e dove tuttora si trovano. Il fatto che in questa città siano conservate le sue reliquie ha fatto sì che il taumaturgo di Mira sia comunemente conosciuto anche come san Nicola di Bari, di cui venne proclamato patrono.

In diversi paesi la profonda devozione verso questo santo ha dato origine, inoltre, a tradizioni che si intrecciano con la grande festa della natività di Gesù.
In Olanda, ad esempio, san Nicola che i bambini chiamano familiarmente Sinter Klaus, con l'abito rosso, la barba bianca e la mitra vescovile (cappello a punta) in testa, era stato adottato dagli abitanti come portatori di doni per i più piccini. Dall'Olanda la tradizione raggiunse le colonie americane dei Nuovo Mondo, e anche lì Sinter Klaus (Santa Claus) continuò a spostarsi di casa in casa lasciando regali a tutti i bambini.
Con il trascorrere dei tempo il suo aspetto mutò, il cappello vescovile divenne un cappuccio a punta, l'abito pur rimanendo rosso si trasformò in giacca e pantaloni orlati di pelliccia bianca, mantenne la folta barba bianca ma ingrassò non poco, infine dall'America tornò in Europa trasformato nel Babbo Natale sorridente e instancabile nel distribuire i regali, proprio come Santa Klaus (cioè san Nicola) di cui mantiene lo spirito e la capacità di donare.


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LA BEFANA
La Befana, (termine che è corruzione di Epifania, cioè manifestazione) è nell’immaginario collettivo un mitico personaggio con l’aspetto da vecchia che porta doni ai bambini buoni la notte tra il 5 e il 6 gennaio, festa appunto dell'Epifania che segue il Natale e che commemora la visita dei Magi a Gesù.
La sua origine si perde nella notte dei tempi, discende da tradizioni magiche precristiane e, nella cultura popolare, si fonde con elementi folcloristici e cristiani: la Befana porta i doni in ricordo di quelli offerti a Gesù Bambino dai Magi.
L’iconografia è fissa: un gonnellone scuro ed ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte consunte, il tutto vivacizzato da numerose toppe colorate. Si rifà al suo aspetto la filastrocca (la Befanata) che viene recitata in suo onore:

La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
col cappello alla romana
viva viva la Befana!

Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, a cavalcioni di una scopa, sotto il peso di un sacco stracolmo di giocattoli, cioccolatini e caramelle (sul cui fondo non manca mai anche una buona dose di cenere e carbone), passa sopra i tetti e calandosi dai camini riempie le calze lasciate appese dai bambini. Questi, da parte loro, preparano per la buona vecchia, in un piatto, un mandarino o un’arancia e un bicchiere di vino. Il mattino successivo insieme ai regali troveranno il pasto consumato e l’impronta della mano della Befana sulla cenere sparsa nel piatto.
Nella società contadina e preindustriale, salvo rari casi, i doni consistevano in caramelle, dolcetti, noci e mandarini, insieme a dosi più o meno consistenti (a insindacabile giudizio della Befana) di cenere e carbone, come punizione delle inevitabili marachelle dell’anno.
La Befana, tradizione tipicamente italiana, non ancora soppiantata dalla figura “straniera” di Babbo Natale, rappresentava anche l’occasione per integrare il magro bilancio familiare di molti che, indossati i panni della Vecchia, quella notte tra il 5 il 6 gennaio, passavano di casa in
casa ricevendo doni, perlopiù in natura, in cambio di un augurio e di un sorriso.
Oggi, se si indossano gli abiti della Befana, lo si fa per rimpossessarsi del suo ruolo; dispensatrice di regali e di piccole ramanzine per gli inevitabili capricci di tutti. Dopo un periodo in cui era stata relegata nel dimenticatoio, ora la Befana sta vivendo una seconda giovinezza, legata alla riscoperta e alla valorizzazione delle antiche radici e della più autentica identità culturale.

Studiosi delle tradizioni etnico-popolari fanno notare come la Befana, al contrario di Gesù Bambino e Santa Lucia, conservi anche un tratto ambiguo, quasi da strega. Come tutte le tradizioni, anche la befana si può analizzare con le tecniche storico-archeologiche, cercando di scavare gli strati delle varie epoche per arrivare alle tracce di quelle più antiche. La befana potrebbe avere una qualche parentela con la "vecchia" che si brucia in piazza per festeggiare la fine dell'anno: un simbolo della ciclicità del tempo che continuamente finisce e ricomincia. è un simbolo antico e pagano che suggestiona anche noi moderni dell'era tecnologica. E la tradizione della "vecchia" non è diffusa solo nelle zone in cui la befana distribuisce i suoi doni. è molto presente anche nel nord Italia. è infatti una tradizione dei popoli celtici, che erano insediati in tutta la pianura padana e in parte delle Alpi. I Celti celebravano strani riti (officiati da maghi-sacerdoti chiamati druidi) durante i quali grandi fantocci di vimini venivano dati alle fiamme per onorare divinità misteriose. Divinità che non dovevano essere molto benigne, se è vero quanto riferiscono alcune fonti: in epoche antiche e feroci, all'interno dei fantocci si legavano vittime sacrificali, animali e, talvolta, prigionieri di guerra.

UNA LEGGENDA SULLA BEFANA
Un giorno, i Re Magi partirono carichi di doni (oro, incenso e mirra) per Gesù Bambino. Attraversarono molti paesi guidati da una stella, e in ogni luogo in cui passavano, gli abitanti accorrevano per conoscerli e unirsi a loro. Ci fu solamente una vecchietta che in un primo tempo voleva andare, ma all’ultimo minuto cambiò idea, rifiutandosi di seguirli. Il giorno dopo, pentita, cercò di raggiungere i Re Magi, che però erano già troppo lontani. Per questo la vecchina non vide Gesù Bambino, né quella volta né mai. Da allora ella, nella notte fra il cinque e il sei Gennaio, volando su una scopa con un sacco sulle spalle, passa per le case a portare ai bambini buoni i doni che non ha dato a Gesù.


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EPIFANIA

Epifania (dal greco epifania: apparizione) è la triplice solennità istituita dagli Apostoli in cui la Chiesa ricorda tre grandi miracolosi avvenimenti:
- l'apparizione dell'astro che dall'oriente fino alla stalla di Betlemme guidò i Re Magi all'adorazione del neonato, Salvatore del mondo;
- la conversione dell'acqua in vino alle nozze di Cana in Galilea;
- il battesimo di Gesù Cristo nel Giordano per mano di San Giovanni Battista, assistito dallo Spirito Santo in forma di colomba e dall'eterno Padre, che dichiarò Gesù essere figlio suo diletto.
Non si sa come mai la celebrazione dei tre diversi avvenimenti accadesse lo stesso giorno; in maniera del tutto arbitraria fu stabilito che essi fossero accaduti in uno stesso giorno in differenti epoche. I Greci chiamavano l'Epifania Teofania, cioè apparizione di Dio, e la celebravano insieme a quella del Natale, almeno per i primi tre secoli. Nel IV secolo, invece, sotto Giulio I, queste due feste furono separate nella Chiesa Latina e tale separazione fu adottata al principio del V secolo nelle Chiese di Siria e di Alessandria. Nel giorno dell'Epifania il Diacono annuncia il giorno in cui dovrà cadere la Pasqua. Anticamente all'Epifania precedeva un digiuno rigoroso di un'intera giornata.


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NATALE NEL MONDO

In MESSICO, i giorni che precedono il Natale sono caratterizzati da una simpatica e popolare tradizione (risalente probabilmente alla metà dei XVI secolo), las posadas, che ripropone l'episodio dell'arrivo a Betlemme di Giuseppe e Maria e della loro ricerca di un luogo dove alloggiare.
«Dar posada» vuol dire ospitare un viandante e, nella tradizione natalizia, la posada è l'abitazione stessa che accoglie i protagonisti della natività. In quest'occasione un corteo segue Giuseppe e Maria (rappresentati da due bambini vestiti appropriatamente oppure delle statue portate dai bambini) che vanno a chiedere «posada», cioè ospitalità, in una casa. Prima di arrivare alla casa dove verranno accolti, si fermano a chiedere il permesso per alloggiare presso altre abitazioni con esito, però, negativo. Poi la processione riprende al suono degli strumenti musicali, intervallato da preghiere e canti di litanie.
Finché, dinanzi alla porta della casa prescelta, al gruppo nella strada che domanda «posada» con un canto, risponde dall'interno dell'abitazione un secondo coro. Quindi viene aperta la porta per accogliere gli ospiti con Giuseppe e Maria.
Dopo aver pregato tutti insieme, la famiglia ospitante offre dolci e bevande. Si termina con il gioco della pinata, una pentola di terracotta (pignatta) appesa ad una corda che un bambino bendato dovrà rompere colpendola con un bastone. Le pignatte sono piene di frutta, dolci e giocattoli.


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In POLONIA, la vigilia di Natale è chiamata Festa della Stella, e la tradizione vuole che, sino a quando non compare in cielo la prima stella, non si debba iniziare la cena.


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In FINLANDIA, oltre al classico albero di Natale, viene preparato all'esterno delle case un secondo alberello per... gli uccellini.
Si tratta, infatti, di un covone di grano legato ad un paio e addobbato con semi appetitosi.
Anche in altri paesi c'è questo simpatico pensiero verso i piccoli volatili che riempiono con il loro cinguettìo le ore della giornata; ad esempio in Germania, soprattutto nel sud, la gente sparge dei grano sul tetto delle case affinché anche gli uccellini possano far festa il giorno di Natale.
In Svezia, invece, si mette un mazzo di spighe di grano sul davanzale della finestra.
Nella città di Vienna, in Austria, i bambini (ma anche gli adulti) gettano briciole di pane agli uccelli durante l'ormai tradizionale passeggiata nel parco.


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In FRANCIA, nella notte di Natale, Gesù Bambino passa nelle case a distribuire i regali che riporrà nelle scarpe dei bambini disposte, per l'occasione, con tanta cura e trepidazione dai bambini stessi. Inoltre, durante la sua visita appenderà dolci e frutta all'albero di natale.
Un dolce natalizio molto diffuso nelle famiglie francesi è una torta che nella forma richiama al ceppo che, soprattutto un tempo ma ancora adesso nelle campagne, viene acceso per riscaldare Gesù Bambino.
Il presepio anche in Francia occupa un posto privilegiato tra le tradizioni natalizie. Molto belli e famosi sono i presepi della Provenza (regione nel sud della Francia), composti da statuine in argilla che vengono vestite con costumi realizzati con grande precisione e realismo anche nei minimi particolari, e poi, a seconda dei personaggio, si aggiungono i minuti attrezzi da lavoro o gli accessori che servono per identificare la statuina.
Insieme a Gesù Bambino, Maria, Giuseppe e i re Magi trovano posto altre statuette che rappresentano le persone più comuni mentre svolgono la loro attività, proprio come si incontrano nella vita di tutti i giorni. La statuetta è chiamata Santoun che in lingua provenzale vuoi dire « piccolo santo». Ogni anno a Marsiglia, in occasione dei periodo natalizio, viene organizzata la: «fiera di santoun».
Ecco un'altra bella tradizione francese. La "galette des rois" (torta dei re) è un delizioso dolce fatto di pasta sfogliata con dentro crema alla mandorla. Dentro è nascosta una figurina di gesso verniciato o ceramica che si chiama la "fava" perché originariamente era una vera fava. Il giorno dell'Epifania (che ha dato il nome alla torta), quando arriva l'atteso momento, il più giovane dei conviviali va sotto il tavolo. Qualcuno taglia la torta. Quando si rispetta davvero la tradizione, questo taglio si fa con la torta coperta da uno strofinaccio, in modo che, se il coltello incontra la fava, il tagliatore non possa sapere in che porzione si trovi, e che non si possa barare. Ma, chissà perché, spessissimo la fava si troverà nella porzione del bambino che sta sotto il tavolo... uno dei misteri familiari mai bene spiegati!
Quando la torta è tagliata, si prende una porzione e si chiede al bambino sotto la tavola : "per chi è questa ?" Il bambino risponde : "Per mamma, papa, Zia Tizia, me, sorella o fratello ecc.", nell'ordine che vuole lui. (La tradizione vuole che ci sia una porzione in più del numero esatto dei conviviali. Si chiama : "la porzione del povero". Nei nostri tempi non ho mai sentito nessuno squillare alla porta per chiedere una porzione di torta, ma nel passato questo avveniva. Oggi si
divide normalmente la torta nel numero esatto).
Quando tutte le porzione sono distribuite, si mangia. Quello che trova la fava è il re o la regina. Gli si mette sulla testa una corona di cartone dorato. In qualche famiglia si beve nell'onore del re, il quale deve bere in un solo colpo un bicchiere di vino o acqua (secondo l'età) mentre tutti gli altri ripetono : "Le roi boit, le roi boit, le roi boit" (il re beve), o "la reine boit" (la regina beve). È più divertente con "il re", perché è più difficile da pronunciare.
Poi il re sceglie nell'assistenza la sua regina (o la regina il suo re), che al proprio turno deve bere un grande bicchiere.


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Le case in GERMANIA sono rallegrate dalla presenza dell'albero di Natale, una delle tradizioni più vecchie, insieme alla corona d'avvento.
Nelle camere dei bambini non manca, inoltre, il calendario d'avvento con le 24 finestrelle che scandiscono il tempo che manca alla grande festa natalizia; ogni giorno, aprendo una finestrella, il bambino promette di compiere una buona azione.
Al termine dei calendario (sarà quindi il giorno di Natale) appare l'immagine del presepe.


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In INGHILTERRA, fu sant'Agostino da Canterbury (t 604) a introdurre la tradizione natalizia allorché, con i suoi monaci, fu inviato da papa Gregorio Magno a svolgervi la propria missione apostolica, verso la fine dei Vi secolo.
In ogni casa l'albero di Natale occupa il posto d'onore. Persino l'austera città londinese si riempie delle festose luci di multicolori lampadine che addobbano un gigantesco albero allestito per la strada. Mentre sarà Father Christmas (Babbo Natale), passando per il camino con il sacco dei doni, a portare ai bambini inglesi i regali che riporrà nelle calze ordinatamente.



Il Natale presenta tutti i caratteri e le manifestazioni dei giorni che segnano l' inizio di un ciclo annuale.
Periodo preparatorio è la "novena di Natale" che in Sicilia viene allietata dai ciaramiddari (suonatori di cennamella).
Originario carattere purificatorio ha il cenone della vigilia di Natale, tutto di "magro" a cominciare dal capitone che a Roma si vende per tradizione al portico di Ottavia, ma ha soprattutto significato di affratellamento e di amicizia.

Nella più antica tradizione popolare, il centro della festa è però costituito dal ceppo. Nell' accensione del ceppo, che rimane sul focolare fino a Capodanno, si fondono due elementi propiziatori: il valore del fuoco, immagine del sole, e il simbolico consumarsi del vecchio anno con tutto ciò che di male vi si era accumulato.

Anticamente a Genova, il ceppo natalizio veniva offerto al Doge dalle genti della montagna in una pittoresca cerimonia pubblica chiamata col bellissimo nome di "confuoco", il Doge poi versava sul tronco vino e confetti tra la gioia dei presenti.
San Bernardino invece si scagliava sia contro chi buttava vino sul ceppo, o si serviva del ceppo per scongiurare le tempeste.
Entrambe gli usi si sono conservati in Abruzzo fino ai tempi moderni. In Puglia si crede che l' accensione del ceppo simboleggi la distruzione del peccato originale.
Alcuni spiegano l' aspersione col vino, col ricordo del sangue di Cristo.
A Polena, in Abruzzo, si mettono ad ardere tredici piccoli legni "in memoria di Cristo e degli apostoli".
A Isernia il capo di casa benedice il ceppo con l' acqua santa, mentre i familiari gridano "viva Gesù".
Nella notte di Natale si crede avvengano prodigi e incantesimi, e che solo in essa si possano trasmettere segreti e scongiuri per guarire gravi malattie.
Secondo un'antica tradizione chi nasce in quella notte diventa lupo mannaro, perchè essa è riservata per l' eternità alla nascita di Gesù, e chi osa violarla viene così punito.
Tra le credenze positive vi è quello che l' acqua attinta alle fontane a mezzanotte e in perfetto silenzio ("acqua muta") rechi benessere e ricchezza.
Un tempo si festeggiava il Natale in modo semplice. La maggior parte della popolazione era costituita da contadini la cui vita nel periodo di Natale era molto diversa rispetto al resto dell'anno; non c'era infatti lavoro nei campi e perciò si aveva più tempo per trovarsi, raccontare e ricordare mille cose sorseggiando un bicchiere di vino caldo.
La sera della vigilia alcune persone giravano per le vie del paese portando una stella, cantavano e suonavano le pastorelle e sul carro si teneva una damigiana di vino, che veniva man mano riempita dai più generosi.
Le donne la sera della vigilia, con tanto amore e gioia, preparavano il pranzo di Natale con i semplici prodotti della terra (polli, conigli, patate).
Gli uomini accatastavano tanta legna per il fuoco, il ceppo più grande veniva messo a bruciare e doveva durare per tutto il Natale.
Spesso c'era anche la neve alta, ma tutti dovevano assistere alla messa di mezzanotte. Il giorno di Natale, euforici e pieni di allegria, si alzavano molto presto e si scambiavano gli auguri , qualcuno portava un regalo al parroco (cappone, gallina, dolce).
A mezzogiorno erano tutti a tavola. Il pranzo era in genere frugale: per le famiglie più facoltose consisteva in tortellini, cappone o gallina ripiena e cotechino, ma molte erano però le persone che anche quel giorno si dovevano accontentare di un pò di latte con la polenta.
Non vi erano illuminazione, alberi addobbati, vetrine con strenne e regali lussuosi; solo qualche modesto fiocco rallegrava alcuni alberi.
Nella chiesa vi era un semplice presepio con un Gesù di gesso: per farlo si utilizzava molto muschio, la capanna e le montagne erano fatti di ceppi di legno, carta e frasche, le strade erano realizzate con sassolini oppure con farina gialla, le poche statuine erano di gesso e cartapesta, piccole e semplici (ora qualcuna di queste si può trovare nei mercatini dell' antiquariato); il presepio era tutto spruzzato di farina bianca e ricordava un paesino di montagna.
Anche l' arrivo dei Magi era festeggiato con semplicità. Per l'Epifania i fedeli dopo aver assistito alla messa e alle funzioni partecipavano alla processione dei re Magi.
Era tradizione fare per tale ricorrenza,o nella sera di San Silvestro, un grande falò detto "buriel".






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