Ferrara dimostra che c'è anche un popolo (forse non maggioritario, ma
comunque un popolo) che ha idee ben differenti da quelle della cultura
dominante, da quelle dei filosofi à la page, dei
direttori-predicatori-della-domenica con la barba bianca.
Di Michele Brambilla
Il Giornale
09/01/2008
«Caro Giuliano Ferrara, grazie per quello che stai facendo...»,
«Caro
direttore del più bel giornale che c'è...», «Caro direttore coraggio, la
battaglia per la verità è sempre sacrosanta al di là di tutte le
confessioni, le sono vicino con sincera ammirazione»... Sono ormai più di
due settimane che, ogni giorno, almeno due pagine intere de Il Foglio sono
occupate da lettere di adesione alla richiesta di moratoria sull'aborto
avanzata da Giuliano Ferrara.
Di adesioni ma non solo: di riflessioni sulla vita e sulla morte, di
interrogativi su Dio o comunque sul grande mistero che ci avvolge, perfino
di storie personali: nomi illustri e (soprattutto) gente comune raccontano,
come in un confessionale, le loro piccole grandi vicende private, la gioia
per la nascita di un figlio, la convivenza con una malattia, il dolore e il
rimorso per aver pronunciato, un giorno ormai lontano ma sempre presente e
pungente, un «no» alla vita.
Gli scherzi del destino. Non doveva essere, quello di Ferrara, un giornale
laico? Un foglio d'élite? Un pensatoio per la classe dirigente? Non viene
forse, il suo direttore e fondatore, dalla scuola del vecchio Pci, e poi
dalla sinistra libertaria del Sessantotto, e poi ancora dall'epopea
craxiana, con i suoi richiami a Garibaldi e al Risorgimento? Non era forse
determinante, nella truppa che fondò il Foglio, la componente radicale? Non
era forse palpabile la comunanza - a tratti la fratellanza - con Marco
Pannella e le sue «battaglie» per le «conquiste civili»?
E invece. Invece scrive un'ostetrica di settant'anni: «Penso di aver
sottratto alla pena d'aborto diverse centinaia di bambini. Sono passate da
casa mia vergini e prostitute. In questi quarantaquattro anni mai nessuna è
tornata pentita di avere accolto la maternità: né la undicenne incinta né la
donna vittima di violenza». Scrive una giovane coppia di Napoli: «Nel
prossimo marzo nascerà il nostro primo figlio (...) Dalla prima ecografia
abbiamo visto un puntino bianco in continuo movimento, poi un embrione
meglio formato, poi una piccola testa, poi delle piccole braccia, poi delle
piccole gambe, poi un bambino e poi...». Una lettrice racconta di quando,
studentessa di medicina, con le lacrime agli occhi battezzò un feto di
cinque mesi «adagiato malamente su un pezzo di lenzuolo, pronto per l'autopsia
che confermasse la diagnosi della sua malattia, curabile solo con l'"aborto
terapeutico"...».
C'è anche una donna che è viva perché la 194 non era ancora in vigore: «Se
fossi stata concepita anni dopo avrei avuto tutte le "carte in regola" per
essere abortita. Ma era il 1976 e io, "feto malformato", sono nata e anche
se la mia "prima madre" non se l'è sentita di tenermi io la ringrazio di
avermi messo al mondo». Che scandalo, per un certo milieu che Ferrara ben
conosce. Che scandalo dar voce perfino a chi ricorda quel che non si
vorrebbe ricordare, e cioè che c'è perfino la possibilità - per la donna in
difficoltà - di partorire un figlio e poi di affidarlo ad altri, perché c'è
sempre un popolo pronto ad accogliere la vita. È il popolo che ora, forse
con sorpresa dello stesso Ferrara, è diventato il popolo de Il Foglio. Gli
esperti di mass media, che come gran parte degli esperti vivono ben distanti
dalla realtà, si stupiscono.
Ma la realtà gioca brutti scherzi, e il grande successo dell'iniziativa di
Ferrara dimostra che c'è anche un popolo (forse non maggioritario, ma
comunque un popolo) che ha idee ben differenti da quelle della cultura
dominante, da quelle dei filosofi à la page, dei
direttori-predicatori-della-domenica con la barba bianca. La proposta di una
moratoria sull'aborto ha reso finalmente visibile, dalle colonne de Il
Foglio, un popolo mai rappresentato dai grandi giornaloni, e nemmeno da una
stampa cattolica resa prudente dal timore di venir tagliata fuori dal mondo.
Perché diciamo la verità: neanche Avvenire e Famiglia Cristiana parlano così
forte e chiaro come parla oggi Giuliano Ferrara. Là si legge pure che la 194
è «una buona legge», da «non toccare» ma semmai «da applicare
meglio». (Che strano. Ventisette anni fa, quegli stessi giornali diedero
battaglia per abrogarla, questa legge varata con l'ipocrita nome di «tutela
della maternità»: è forse cambiato qualcosa da allora?).
Qua, voglio dire sul Foglio, Ferrara scrive invece che «l'aborto è un
omicidio». Ecco perché questo popolo ha trovato solo ora una casa. Dicevamo
che è uno scherzo del destino, perché Il Foglio è nato come giornale laico e
per dea esibiva la Ragione. Ma in fondo: non è forse anche laica una
battaglia per la difesa della vita? E c'è forse qualcosa di più ragionevole
che interrogarsi sulla nostra origine e sul nostro destino, magari con
quegli «Appunti per il dopo» che sono un'altra straordinaria iniziativa del
Foglio? Ferrara scherza, Ferrara ci gioca, Ferrara ci marcia e fa solo
politica, dicono per screditare non tanto lui, ma quello che scrive.
Qualcuno addirittura sostiene che il fine ultimo è l'aumento della
diffusione del giornale. Che fesserie. Chi conosce Ferrara sa bene che di
aumentare le vendite non gliene frega niente.
Chi lo conosce bene sa anche che sono altri i momenti in cui Ferrara gode
nel creare un caso, o un personaggio, in cui egli stesso non crede. Quando
lancia qualche bizzarria politica per sparigliare le carte, ad esempio. Ma
non adesso, non sulla vita, non sulle grandi domande dell'uomo. Bleffa?
E
perché mai. Non dice di essersi convertito, anzi si lamenta perché vorrebbe
crederci, ma non ci crede. Il paradosso de Il Foglio è un paradosso solo
fino a un certo punto. Ferrara continua ad appoggiarsi sulle due risorse cui
ha sempre fatto affidamento: l'intelligenza e la ragione. Sono l'intelligenza
e la ragione a fargli prendere atto che né la politica né l'economia, né la
sociologia né la scienza possono rispondere ai bisogni più profondi dell'uomo.
Come diceva Pascal: «L'ultimo passo della ragione è riconoscere che c'è.
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