Bioetica, il Vaticano ribadisce: “Rifiutare l'accanimento terapeutico non significa accettare l'eutanasia”
Eutanasia - ven 22 feb
CITTA’ DEL VATICANO - Il paziente terminale ''non solo ha il diritto di rifiutare l'accanimento terapeutico'', ma in certi casi questo rifiuto ''e' doveroso'': in ogni caso, rinunciare all'eccesso terapeutico ''non costituisce di per se' una forma di eutanasia''.
La Pontificia Accademia per la Vita, che sugli orientamenti etici per il trattamento del malato inguaribile e del morente terra' lunedi' e martedi' prossimi un congresso internazionale in Vaticano, chiarisce il punto di vista cattolico sulle questioni controverse riguardanti l'intervento medico al confine tra la vita e la morte. ''L'accanimento terapeutico - ha detto in una conferenza stampa Monsignor Maurizio Calipari, teologo moralista della Pontificia Accademia pro-Vita, professore di Bioetica presso l'Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia -
si definisce come un intervento che non e' adeguato al raggiungimento di determinati obiettivi in merito alla conservazione della salute del paziente e al prolungamento della vita. Parliamo di eccesso terapeutico per indicare delle manovre che di fatto o non portano alcun beneficio al paziente, o con benefici talmente lievi da non compensare gli effetti collaterali delle cure, o che portano addirittura dei danni''. ''
Di fronte a questa tipologia di intervento - ha aggiunto - c'e' il dovere dei medici di evitare queste procedure e anche il diritto da parte del paziente di sottrarsi a tale accanimento''. Secondo Calipari, tuttavia
''l'accanimento terapeutico non puo' essere individuato a partire dalle sensazioni del paziente, ma solo in base un giudizio medico. A volte - ha spiegato - ci puo' essere la proposta di un intervento medico che non e' accanimento ma che che puo' essere vissuto dal paziente come mezzo straordinario per lui o addirittura insopportabile''. Per la Pontificia Accademia pro-Vita, ''non si deve mettere tutto nello stesso calderone, considerare ogni cosa come accanimento terapeutico, per poi giustificare la rinuncia a certi metodi che invece sono dovuti. Il vero accanimento e' quando il metodo e' inadeguato al raggiungimento di certi obiettivi che ci si e' prefissi''. L'eventuale rinuncia, comunque, non e' mai una forma indiretta di eutanasia.
''Perche' ci sia eutanasia - ha spiegato ancora Monsignor Calipari - occorre l'intenzione di usare mezzi adeguati per procurare anticipatamente la morte di qualcuno. Se non c'e' volonta' di accelerare la morte, non bisogna confondere con eutanasia quello che puo' avvenire come risultato indiretto e non intenzionale del rifiuto dell'eccesso terapeutico''. ''Mentre in campo internazionale - ha detto dal canto suo il presidente della Pontificia Accademia, Monsignor Elio Sgreccia, presentando il congresso nella sala stampa vaticana -
c'e' una forte pressione politica e mediatica per spingere verso il principio di autodeterminazione del paziente, noi puntiamo l'attenzione, guardando al malato grave e al morente, a un momento estremamente fragile della vita, aggravato spesso dalla solitudine, e piu' di frequente dalle sofferenze''. ''Un momento - ha aggiunto Sgreccia - che pero' per la visione cristiana e' anche prezioso, perche' quando si conclude la biografia fisica del soggetto si apre quella che la speranza cristiana illumina come la pienezza della vita che chiamiamo eterna. E' questo momento di confine l'oggetto specifico del nostro incontro''. Secondo Sgreccia, ''di fronte a questo momento si pone il problema di definire ulteriormente i termini del lecito e del non lecito nel percorso terapeutico.
A seguito dei dubbi e delle discussioni persistenti nell'ambito dell'assistenza medica, il programma del convegno prevede molti argomenti di carattere etico destinati a chiarire con equilibrio e precisione i limiti della terapia e del sostegno al malato grave e al morente''.
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