Due uomini diversi, ma entrambi profondamente cristiani e nello stesso periodo storico. Ansiosi di fare ritrovare la speranza originaria. Quella di cui il poeta Jiménez scrisse: «Ora è vero. /Ma è stato così falso/ che ancora oggi sembra impossibile». Versi che Giussani in chiusura di quel libro commentava: «Quando uno intuisce il fatto cristiano come vero, gli occorre ancora il coraggio di risentirlo possibile».
Comunione e Liberazione • Il leader di Cl ricorda la sua ansia radicale per un cristianesimo vivo «qui e ora» • «La speranza cristiana? Nasce dallo sperimentare un cambiamento che è già iniziato» • «Occorrono uomini che, come ha detto il Papa, rendano Dio credibile» • «Ha combattuto per la piena incidenza della fede nella realtà. Senza la quale il cristianesimo sarebbe un sogno»di Marina Corradi
Tratto da avvenire del 22 febbraio 2008
Tre anni oggi dalla morte di don Giussani. Chi ne conosce i libri, nella Spe salvi avverte, nella pretesa di Benedetto XVI di un cristianesimo operante nella realtà, un’eco dell’ansia radicale del sacerdote lombardo per un cristianesimo vivo «qui e ora».
In una prefazione per un libro di Giussani del 1994 –- Il senso di Dio e l’uomo moderno, (Bur) l’allora cardinale Ratzinger scriveva: «È inquietante che la voce della Chiesa appaia incapace di raggiungere le orecchie e i cuori degli uomini... ».
Con Giancarlo Cesana, storico leader di Cl, parliamo della attualità di quest’ ansia di ritrovare il cristianesimo delle origini, comune a due uomini per formazione e temperamento diversi.
Cesana: «Giussani raccontava di un suo alunno al Berchet, studiosissimo, e che portava il distintivo di una organizzazione cattolica. E a cui lui però rimproverava di 'rendere testimonianza solo a se stesso'. Il punto era quello, già negli anni ’50: la novità di Cristo si deve vedere.
È, se opera, è il titolo di un libro di Giussani. Se 'è vero', deve agire sulla realtà. Dalla certezza di un evento nasce la speranza cristiana: noi speriamo, perchè vediamo in noi un cambiamento già iniziato.
L’altra sera parlavo in una città dove si era appena celebrato il funerale di due ragazzi di Gs. Le loro famiglie non erano distrutte perchè vivono dentro una esperienza che è più forte dell’assurdo, di un dolore indicibile».
È dunque la speranza che il Papa dice già 'sostanza', già germe di ciò che si spera.
Essere cristiani è fare esperienza di un amore a sè che viene da qualcosa di molto più grande di noi. Che uno possa sperare nel dolore, è indice della presenza nella sua vita di qualcosa di più grande della morte. Giussani ha combattuto per questa piena incidenza della fede nella realtà; senza la quale il cristianesimo sarebbe allucinazione, o sogno. Il germe di vita vera è possibile dentro la comunione dei cristiani, in una appartenenza che è un continuo riprendersi, correggersi – soprattutto perdonarsi.
Nel momento più inaspettato, trovi uno che ti abbraccia – «amatevi, come io ho amato voi»–. Per questo occorrono le facce dei fratelli, occorre, come ha detto il Papa recentemente, «uomini che rendano Dio credibile».
C’è un punto, in quel libro di Giussani, in cui l’analisi di ciò che è accaduto alla speranza cristiana nella storia scorre parallelamente a quella della «Spe salvi».
È la sottolineatura dell’Umanesimo come il farsi avanti di un uomo che si percepisce come autosufficiente, e la conseguente ribellione al Dio cristiano.
È l’affacciarsi alla storia di un uomo autosufficiente e quindi disperato - giacchè, poichè moriamo, la nostra è una «autosufficienza » a termine.
E quest’uomo è ostile alla Chiesa, perchè la Chiesa continua a affermare il suo bisogno di essere salvato –
la Chiesa come argine alla prepotenza dell’uomo. Un punto che il Papa sottolinea con preoccupazione: un pericolo per l’uomo che venga da questa pretesa di autosufficienza. Come disse De Maistre, l’uomo senza Dio non costruisce un mondo contro Dio, ma contro l’uomo.
La critica del Papa però tocca anche il cristianesimo moderno, perchè ha 'ridotto la speranza' originaria.
Giussani si chiese, riecheggiando Eliot, se la Chiesa non aveva «abbandonato l’umanità». In quello stesso senso di una riduzione della speranza originaria a consiglio morale.
Di valori proposti dimenticando l’evento di Cristo, su cui quei valori si fondano. Quante volte dal pulpito ci siamo sentiti invitare a «essere buoni», ma senza capire in nome di che, giacchè il fatto di Cristo, che fonda la bontà, passa in secondo piano, è scontato.
Il Papa scrive: «Se ci fossero strutture che fissassero in modo irrevocabile una determinata buona - condizione del mondo, sarebbe negata la libertà dell’uomo, e per questo motivo non sarebbero per nulla strutture buone».
Il tema della libertà era molto caro a Giussani. Ci diceva della passione di Dio per la libertà dell’uomo: di come avesse voluto che la sua creatura lo amasse, ma liberamente. Ammettendo con ciò la possibilità del rifiuto e del male. Contro il sogno ideologico – ed è ancora Eliot – di «sistemi talmente perfetti che nessuno avrebbe più bisogno di essere buono ».
La vita eterna, cioè il motivo della speranza, per il Papa è «relazione con Cristo».
Con Cristo, cioè con il Senso di tutto (il significato delle cose è il rapporto tra loro e con tutto) entrato nella storia.
Era costante anche in Giussani lo sforzo di mostrare come le parole fondamentali della esperienza cristiana – fede, speranza, carità, quelle parole che il mondo svuota – sono attese originarie in ogni uomo. Chi, anche non credente, vuole sperare che la sua vita possa cambiare, deve avere fiducia nel mondo, e deve legarsi a dei rapporti. La speranza dunque è ontologicamente fondata sulla relazione.
Non nasciamo monadi, fin dal primo istante non esistiamo soli.
Sembra di scorgere un’ansia comune alla radice, fra questi due uomini quasi coetanei.
Due uomini diversi, ma entrambi profondamente cristiani e nello stesso periodo storico. Ansiosi di fare ritrovare la speranza originaria. Quella di cui il poeta Jiménez scrisse: «Ora è vero. /Ma è stato così falso/ che ancora oggi sembra impossibile». Versi che Giussani in chiusura di quel libro commentava: «Quando uno intuisce il fatto cristiano come vero, gli occorre ancora il coraggio di risentirlo possibile».
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