di Andrea Tornielli
Tratto da IL GIORNALE del 7 febbraio 2008
Lo accusano di oscurantismo, di incapacità di confrontarsi con le idee altrui, di essere nemico della scienza. Ma la storia di Benedetto XVI prova il contrario.
Perché ha sostenuto la necessità del dialogo tra fede e ragione, ha cercato «contrappesi desunti dal marxismo» e analizzato il principio di indeterminazione di Heisenberg
Gli danno dell’oscurantista, ma fin da giovane ha teorizzato la necessità del dialogo tra fede e ragione. Lo considerano incapace di ascoltare e confrontarsi, ma è sempre stato intellettualmente aperto e ha valorizzato tutto ciò che poteva dalle filosofie contemporanee. Lo descrivono come un nemico della scienza solo perché «osa» porsi delle domande sui limiti della scienza stessa. Il clamore suscitato dalla mancata visita di Benedetto XVI alla Sapienza ha finito per far passare in secondo piano il problema legato all’incapacità dei docenti firmatari della lettera contro Ratzinger di comprendere il pensiero espresso dall’allora cardinale sul caso Galileo citando il filosofo libertario Paul Feyerabend. L’attuale Pontefice ha infatti sempre mostrato una grande libertà e curiosità nel confrontarsi con le idee espresse dai filosofi.
QUELLA LEZIONE DI BONN
È necessario partire da quel 24 giugno 1959, il giorno in cui – come ricorda Gianni Valente in un libro di prossima pubblicazione per i tipi della San Paolo, dedicato proprio all’esperienza accademica del futuro Papa – il trentaduenne professor Ratzinger tenne la lezione d’inizio carriera all’università di Bonn, nel grande spazio d’ingresso della facoltà di Teologia. Professori e studenti affollano la prima lezione, nell’ateneo della capitale tedesca. Il titolo della quale è «Il Dio della fede e il Dio dei filosofi». Quarantacinque anni dopo, nella prefazione scritta per una nuova edizione di quel testo, Ratzinger spiegherà come «le domande poste allora siano rimaste fino ad oggi, per così dire, il filo conduttore del mio pensiero». La questione «urgente» e decisiva con cui fin dall’inizio il brillante professore si misura è la separazione tra fede e ragione, che vede la religione confinata in ambito del tutto estraneo alla ragione, dunque sentimentale, intimistico, soggettivo. Una religione contrapposta alla ricerca razionale che da Kant in poi aveva negato a priori ogni possibilità di conoscere Dio.
OLTRE PASCAL
La separazione tra fede e ragione viene sintetizzata da Blaise Pascal nella contrapposizione tra il Dio che in Gesù si rende «amorevole» e il Dio di Cartesio, un puro concetto. Il professor Ratzinger, che pure non aveva e non ha mai nascosto la sua passione per Platone e Sant’Agostino, più che per Aristotele e San Tommaso d’Aquino, guardava però proprio a quest’ultimo, per affermare che «Dio della religione e Dio dei filosofi coincidono pienamente», anche se il primo «aggiunge qualcosa» al secondo. Per Ratzinger è possibile superare la contrapposizione tra linguaggio della fede e linguaggio della ragione, tra ricerca filosofica e accoglienza della rivelazione cristiana. Il futuro Papa spiega infatti che il Dio d’Israele non è uno «dei consueti dei delle nazioni», né «alcuna delle forze sotterranee della fecondità», ma è, invece, «lo stesso principio assoluto del mondo». Ogni ricerca filosofica razionale che tenti di definire l’Assoluto immagina un Ente superiore che è facilmente compatibile con il Dio venerato da ebrei e cristiani.
«SPIRITO ELLENICO»
In quella prima lezione di Bonn, il professor Ratzinger concludeva dunque che «la sintesi operata dai Padri della Chiesa tra la fede biblica e lo spirito ellenico, in quanto rappresentante in quel momento dello spirito filosofico in genere, fu non solo legittima, ma anche necessaria, per dare espressione alla piena esigenza e a tutta la serietà della fede biblica». I cristiani, insomma, si allearono con gli «illuministi» di allora. È ciò che il Papa voleva dire nel famoso discorso di Ratisbona. È ciò a cui si riferisce anche il discorso che voleva pronunciare alla Sapienza, quando ricorda che i cristiani dei primi secoli hanno compreso la loro fede «come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore». Per questo, l’interrogarsi «della ragione sul Dio più grande» come sulla vera natura dell’essere umano «era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell’essenza del loro modo di essere religiosi». Per questo l’università «poteva, anzi doveva» nascere in ambito cristiano. È curioso notare il paradosso: Benedetto XVI è stato accusato di oscurantismo per un discorso nel quale affermava l’esatto opposto dell’oscurantismo, l’apertura della ragione al reale, le domande dell’uomo.
LE «INCURSIONI» DEL TEOLOGO
Ratzinger non ha fondato la sua teologia su una particolare concezione filosofica, per interpretare grazie a essa, con coerenza sistematica, la realtà della fede. Il suo personale percorso va da Platone (citato anche nell’ultima enciclica, Spe salvi) ad Agostino a Bonaventura. Passa per una presa di distanza da un certo tomismo e soprattutto dalle rigidezze della neoscolastica (in auge negli anni giovanili di Ratzinger come antidoto al modernismo). Ma questa sua personale traiettoria non comporta una separazione fra sapere teologico e sapere filosofico, quanto piuttosto un approccio aperto, non sistematico, che tende a valorizzare tutto ciò che c’è di valorizzabile, dovunque si trovi.
Anche nel marxismo: «Nel mio corso di cristologia avevo cercato di reagire alla riduzione esistenzialistica e \ avevo persino cercato di porre a essa dei contrappesi desunti dal pensiero marxista, che, proprio per le sue origini giudaico-messianiche – scrive Ratzinger nella sua autobiografia – conservava ancora degli elementi cristiani». Questo approccio aperto e dialogante ha indotto Ratzinger a far fare ai suoi studenti tesi su Marx, Nietzsche e Camus, oltre che su Newman, il convertito inglese – poi cardinale – grande cantore della coscienza.
LA SCUOLA DI FRANCOFORTE
Il marxismo, però, ha tragicamente fallito. «Infatti - scriverà Ratzinger - proprio nell’ambito del materialismo, nel campo della sua applicazione prima, si è rivelato incapace di dare risposte». È necessario allora, sosteneva all’indomani della caduta del Muro, riproporre la vera «razionalità», cioè la ricerca della verità in senso forte. Una riflessione che lo ha portato, da Papa, a citare, nella Spe salvi, «i grandi pensatori della Scuola di Francoforte, Max Horkheimer e Theodor W. Adorno», nei quali egli riconosce la «nostalgia del totalmente Altro» che «rimane inaccessibile».
Con uno dei rappresentanti della seconda generazione della Scuola di Francoforte, Jürgen Habermas, che si definisce «ateo metodico», Ratzinger ha dialogato pubblicamente. Habermas ritiene che sia il cristianesimo il fondamento ultimo di libertà, coscienza, diritti dell’uomo e democrazia, i capisaldi della civiltà occidentale. «A tutt’oggi - ha scritto il filosofo - non disponiamo di opzioni alternative. Continuiamo ad alimentarci a questa sorgente. Tutto il resto sono chiacchiere postmoderne».
LA PASSIONE PER LA SCIENZA
Il recupero dell’elemento razionale della fede, contro le derive magiche e irrazionali così tipiche anche dell’epoca contemporanea, ha portato Ratzinger a guardare con grande attenzione ai progressi della scienza e al modo in cui la scienza riflette su se stessa. Dalla teoria della relatività di Einstein al principio di indeterminazione di Planck e Heisenberg. Proprio alla riflessione sui limiti della scienza erano riferite le citazioni nella famosa conferenza del futuro Papa, nella quale si citava il caso Galileo, che sono all’origine della polemica contro la prevista visita alla Sapienza. Ratzinger, in quel testo, citava Ernst Bloch (filosofo marxista, da lui incrociato a Tubinga negli anni burrascosi del ’68) e arrivava a Feyerabend. Quest’ultimo (agnostico e libertario), aveva affermato che «la Chiesa dell’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo», in quanto all’epoca la teoria copernicana non era ancora scientificamente provata.
Ma Ratzinger non faceva proprie le tesi del filosofo della scienza, teorizzatore dell’«irrazionalità» di certi passi avanti del sapere scientifico. «Sarebbe assurdo – affermava il futuro Papa – costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità, ma dalla sua fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in una ragionevolezza più grande \. Qui ho voluto ricordare un caso sintomatico che evidenzia fino a che punto il dubbio della modernità su se stessa abbia attinto oggi la scienza e la tecnica».
IL DISEGNO INTELLIGENTE
Curiosità, apertura, dialogo con mondi diversi e lontani, perché «la fede non elimina le domande», ha detto Ratzinger nel libro-intervista Il sale della terra. Rientrano in questa attitudine gli annuali incontri dell’ex professore con il gruppo di ex allievi (Schülerkreis). Ha fatto discutere quello dedicato al tema «Creazione ed evoluzione», che si è tenuto a Castelgandolfo nel settembre 2006, al quale hanno partecipato anche il professor Peter Schuster, dell’istituto di Chimica teorica dell’università di Vienna, e il filosofo tedesco Robert Spaemann. Gli atti sulla discussione sono stati pubblicati di recente dalla Edb.
«In ultima analisi – aveva osservato Benedetto XVI – si va a finire nell’alternativa su che cosa stia in principio: la ragione creatrice, lo Spirito creatore, che opera e lascia svilupparsi ogni cosa, o l’irrazionale, che in modo irragionevole produce stranamente un cosmo matematicamente ordinato e anche l’uomo e la sua ragione. Ma quest’ultima allora, sarebbe solo un caso dell’evoluzione e quindi, alla fin fine, un qualcosa di irrazionale. Noi cristiani diciamo: io credo in Dio, creatore del cielo e della terra – nello Spirito creatore. Noi crediamo che all’inizio stia la Parola eterna, la ragione e non l’irrazionale».
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