Allo scadere del XIX secolo ci fu un’importante esposizione della Sindone. Correva l’anno del 1898 e, grazie alla recente invenzione della fotografia, l’avvocato torinese Secondo Pia, poté fotografare per la prima volta il prezioso lino. Ciò che accade a quest’uomo nell’oscurità della camera di sviluppo delle lastre fotografiche rimarrà nella memoria di tutti quelli che, affascinati dal telo sindonico, ne apprendono la storia. Un tremore soprannaturale avvolse Secondo Pia quando invece del previsto negativo vide emergere dalle lastre un positivo con l’immagine di un crocifisso dal volto maestoso e sereno.
A ben guardare questo fatto è parabola del mistero di croce e risurrezione, è parabola del passaggio dall’opacità della nostra natura fatta di dolore e di lacrime alla luminosa immagine che ci attende nei cieli.
Le foto che scattò Secondo Pia, con tutta probabilità, caddero sotto gli occhi di un pittore di grande originalità e talento Georges Rouault (1871- 1958). Questi rimase talmente affascinato da quel Santo Volto che lo dipingerà per tutta la vita.E’ proprio dal confronto di un quadro di questo autore, l’“Ecce homo” della Pinacoteca Vaticana, con un famoso dipinto di Munch, “Il grido”, che emerge con grande evidenza come solo nell’incontro col Volto di Cristo le nostre inquietudini si plachino e i nostri deserti possano ritrovare vita e fecondità.
l'autore ritrae in primo piano un uomo senza età, né identità. La deformazione del volto ne acuisce l'espressività, l'angoscia e la solitudine
Cristo attende in silenzio, in un silenzio essenziale. Il Cristo di Rouault è un Cristo che interroga ostinato."
Guardiamo anzitutto al dipinto di Munch leggendo attraverso i versi di un poeta famoso, Ungaretti:
Sono un uomo ferito.
E me ne vorrei andare
E finalmente giungere,
Pietà, dove si ascolta
L'uomo che è solo con sé.
Non ho che superbia e bontà.
E mi sento esiliato in mezzo agli uomini.
Ma per essi sto in pena.
G. Ungaretti, La Pietà, in Sentimento del Tempo.
La dolorosa consapevolezza di essere feriti, di essere un impasto di miseria e grandezza, di "superbia e bontà" accompagna ogni uomo. All'umanità ferita Cristo dice: voi siete la luce del mondo.
Il cammino comincia qui. I versi del poeta dicono l'inizio; la rivelazione di Cristo l'approdo. È un viaggio infinito che non è destinato solo ai falliti, agli "esiliati in mezzo agli uomini", soli con se stessi, ma è per tutti. L'uomo non smette mai di cercare (scriveva Giovanni Paolo II qualche anno fa a don Giussani): quando è segnato dal dramma della violenza, della solitudine, della insignificanza, come quando vive nella serenità e nella gioia, egli continua a cercare.” Vive veramente infatti, soltanto l'uomo che cerca e “l'unica risposta che può appagarlo acquietando questa sua ricerca gli viene dall'incontro con Colui che è la sorgente del suo essere e del suo operare”.
Chi smette di cercare si abbandona al relativismo assoluto;
qualunque sia il tenore di vita che conduce, il grado di cultura che possiede o la classe sociale cui appartiene, costui si condanna all'angoscia ed entra in un frustrante anonimato.
Edvard Munch (Loten 1863 - Ekely 1944) nel suo celebre "Il grido" ritrae quest'uomo. In un paesaggio dalle forme fluttuanti, nella pennellata morbida densa di striature, dove le gamme dei colori si richiamano e si compenetrano quasi dissolvendosi, l'autore ritrae in primo piano un uomo senza età, né identità. La deformazione del volto ne acuisce l'espressività, l'angoscia e la solitudine.
Niente nel panorama è veramente definito, tutto sembra precipitare nel caos e nell'anonimato: acqua, cielo e sentiero si smembrano.
Di preciso, di fisso, c'è solo il punto focale della strada che l'uomo ha percorso, forse correndo disperatamente, neppure quel punto è però un riferimento: due uomini rigidi e compassati ne precludono la vista.
Colui che cessa di cercare non ha cammini, ma fughe, fughe da se stesso, dalle sue paure, dai rapporti umani, da Dio. All'uomo così, assetato di senso, la Chiesa offre la contemplazione di un volto: il volto dolente e glorioso del Cristo.
In un opera di Georges Rouault gli stessi colori usati da Munch si addensano, si ricompongono, aumentano di spessore e vigore, rivelando il volto di Cristo.
"Ti guardiamo. E al nostro sguardo il tuo volto appare posato e divino, acre, carezzevole, corporeo, mite, imperiale. Divino e umano. […] Ecce Homo dei Musei Vaticani, questa immagine primordiale, brutalmente immediata, ma d'improvvisa profondità. Segni neri, quasi preistorici, grumi di colore in sottili variazioni leggere e celesti. Spirito incarnato. Cristo attende in silenzio, in un silenzio essenziale. Il Cristo di Rouault è un Cristo che interroga ostinato." (Michele Dolz, Lo Splendore delle cose. Appunti di arte e di spirito. Àncora, p. 25) Dove sei, uomo?
Nel volto del Cristo di Rouault si raccoglie ogni grido: c'è il respiro immenso della creazione, c'è la terra bagnata dal sangue, il bagliore della speranza e la ferma certezza di essere comunque, nell'amore del Padre.
Tra l'anonimo volto urlante di Munch e il volto pacificato del Cristo di Rouault c'è la Chiesa, umile via alla bellezza che salva. Ci siamo noi, credenti che, sfuggiti all'incombere del caos siamo stati chiamati per nome. Noi che un tempo disorientati ci siamo volti verso Oriente, verso quel sole incandescente e vitale che è Cristo. Dentro a questo sole noi, polvere e cenere, abbiamo acquistato la fragranza dell'incenso e delle resine odorose.
Egli rinnova la nostra vita: da deserto a giardino, dal deserto del Sinai alla sovrabbondanza della terra promessa; dal deserto di Giuda, dove Gesù patisce le tentazioni, al giardino della risurrezione.
Deserto e giardino sono, in fondo, le immagini a noi offerte da Munch e Rouault: nel primo dipinto tutto è mobile e inafferrabile, come in un deserto, nel secondo è l'esplosione delle forme, primordiali e intense: colline verdeggianti e terra dalle zolle smosse, sotto un sole pulsante di vita. Nel volto di Cristo si ridisegna la creazione e il deserto della nostra umanità si trasforma in giardino. L’uomo di Munch si tura gli orecchi e grida, ha gli occhi spalancati , ma nulla vede,a accecato com’è dal suo dolore, l’Uomo di Rouault ha gli occhi chiusi e tace, eppure tesse un dialogo silenzioso con chiunque lo guardi. Non sono però questi due volti in contrapposizione, ma è sempre la medesima Imago Dei, nel primo sofferente e condannata alla solitudine, nel secondo pienamente persona, viva nell’Amore benché condannata alla morte più infame.
La Sindone, come i due dipinti qui raffrontati, ci insegnano allora a superare i nostri silenzi, le nostre inquietudini, le nostre sofferenze andando incontro all’altro, andando incontro alla vita, abbracciando l’altro, facendo una scelta radicale nei confronti dell’Amore, amando per amare, senza calcolo né pretese ricompense.
Il “passaggio” allora da deserto a giardino, dal negativo del telo Sindonico al positivo del Crocifisso Risorto, si compie nella Luce dell’Amore:
Andiamo dunque al monte di luce,
liberi andiamo da ogni possesso;
solo dal monte possiamo diffondere
luce e speranza per ogni fratello.
(David Maria Turoldo)
Relatrice: Suor Maria Gloria - Adoratrice Perpetua del Santissimo Sacramento
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