.....Forse la concretezza di questa speranza è stata meglio articolata da Wadi Adamés, di Portorico, durante l’assemblea: «La cosa che mi ha colpito di più è che non c’è più disperazione. Sono stato triste tante volte al punto di dire “al diavolo tutto”, sono stato tentato di farlo; ma è accaduto qualcosa che non potevo non vedere. è come se fossi stato forzato a vedere un fatto. Qualcosa è accaduto. È qui. Qualcosa è cambiato».
Tracce n. 2, febbraio 2008
Diaconia
A metà gennaio a Jersey City si è svolto l’annuale raduno dei responsabili del movimento degli Stati Uniti, Canada e Portorico. Incalzati dalla domanda posta da don Julián Carrón all’inizio della tre giorni, i quattrocento partecipanti si sono scoperti testimoni oculari di un fatto che cambia la vita
di Santiago Ramos
Si sarebbe tentati di dire che la Diaconia nazionale non è niente di più e niente di meno che un incontro fra amici. Un grandissimo incontro. L’idea è presa dal tema di quest’anno: “Amici, cioè testimoni”.
Ma il tipo di amicizia è definito dalla seconda parola: “testimoni”. Testimoni di qualcosa, qualcosa che risponde alla domanda ultima di cosa significa essere una persona umana. Comprendere esattamente la domanda è condizione necessaria per testimoniare la risposta, ed è per questo che don Julián Carrón ha iniziato la Diaconia la prima sera ponendo ripetutamente la domanda: «Voi cosa state cercando?». Queste sono le parole, ha detto don Carrón, che Cristo rivolge a ciascuno di noi. E noi - continua - dobbiamo rispondere a questa domanda al più presto.
Convenute da 30 diversi Stati, erano rappresentate le comunità provenienti da tutte le principali regioni degli Stati Uniti: la costa orientale, con gruppi di Washington DC e New York, tra gli altri; il Midwest, con comunità del Kansas, Minnesota, Indiana e Illinois; il Nordovest sul Pacifico, con la comunità di Seattle; la costa occidentale con molti californiani che hanno attraversato il Paese per arrivare qui. Sono venuti a New York anche alcuni membri della comunità di Portorico. La vicinanza di New York al Canada ha condotto qui anche molti amici canadesi da Montreal, come pure alcuni dal New Brunswick e dalla British Columbia.
Tra mezze verità e testimonianze
New York ha fornito uno scenario particolarmente stimolante per questo incontro fra amici. Nel suo romanzo Furia, pubblicato pochi anni fa, Salman Rushdie definisce New York «una città di mezze verità ed echi che in qualche modo domina la terra». Si può odiare questo dominio oppure si può celebrarlo, o ancora rassegnarvisi, ma resta un fatto: New York è il plesso culturale della realtà americana, con tutto il suo eclettismo, la sua emotività, la decadenza, l’intelligenza e il potere. Non c’è un luogo migliore per chiedere: «Voi cosa state cercando?». La Diaconia si è svolta a Jersey City, in un albergo appena oltre il fiume Hudson, nella zona più settentrionale del New Jersey. Dalle finestre sul retro dell’albergo si vedevano le luci della città, e in un certo senso si poteva dire che gli amici e testimoni erano a New York ma non ne facevano parte.
Le mezze verità non sono sufficienti, ovviamente, e forse Salman Rushdie concorderebbe con la recente affermazione di papa Benedetto che «Il pericolo del mondo occidentale… è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità». È una citazione tratta dal controverso discorso agli studenti dell’Università La Sapienza di Roma, che il Papa non ha potuto tenere in seguito alle proteste di un piccolo gruppo di esponenti di una facoltà. Carrón ha citato ripetutamente questa frase durante la Diaconia. Amici, cioè testimoni; testimoni di qualcosa di vero.
Due tranelli e una risposta
Ci sono due tranelli che al fondo ci trattengono dal chiederci «Cosa sto cercando?»
o ci impediscono anche solo di avvicinarci alla risposta, seppure ci siamo fatti la domanda.
Durante un dibattito per la presentazione della traduzione inglese del volume di don Giussani Si può vivere così? (da quest’anno la Diaconia ha introdotto la novità di far coincidere la presentazione culturale e la lezione principale che in questo modo diventa pubblica), don Carrón ha esordito formulando due diagnosi:
la prima, che il mondo moderno ha ridotto la religione a sentimento e a etica;
la seconda, che il mondo moderno ha rinunciato alla possibilità di conoscere la verità. La religione è associata a un vago sentimento in rapporto col divino; per consolidare quest’ultimo punto, Carrón ha citato nuovamente il discorso del Papa alla Sapienza.
La risposta, ha detto Carrón, sta nel trattare il problema della fede come un problema di metodo. La fede è conoscenza, non è un’entità separata oltre la portata della ragione.
La fede allarga la ragione perché allarga l’orizzonte del conoscibile. Il cuore intuisce già che l’orizzonte è più ampio di quanto il mondo oggi affermi; la nostra capacità di indagare le cose con la ragione deve essere ispirata dal presentimento del cuore che esiste qualcosa di più grande.
La fede e i fatti
La fede deve essere messa in rapporto con la verità e la realtà, se vuole avere qualcosa a che fare con la nostra vita. Altrimenti la fede diventa qualcosa di facoltativo, qualcosa di cui possiamo fare a meno finché qualche avvenimento nella nostra vita non ci costringe a cercare un Dio che ci aiuti, oppure si verifica un lieto evento e noi sentiamo il bisogno di ringraziare un potere superiore.
Il cristianesimo, tuttavia, non può essere diviso in compartimenti. Perciò è indispensabile che la fede sia connessa alla conoscenza e alla vita reale. Joey Orrino, un ragazzo del Clu del Benedictine College in Kansas, racconta del modo in cui la fede come conoscenza è diventata parte della sua vita dalla Diaconia: «L’educazione che ho da sempre ricevuto in un istituto cattolico aveva già parlato della fede come una forma di conoscenza complementare alla ragione. Questo modo di concepire la fede, tuttavia, non aveva mai varcato i limiti della mia vita universitaria, la vita di tutti i giorni e il mio sguardo sulla realtà. Mi sono imbattuto in situazioni, anche durante la Diaconia, in cui la realtà staccata dalla fede sarebbe insopportabile, invivibile; invece ho cominciato a essere capace di guardare a quello che ho davanti e dire, come dice don Carrón, che non posso impedire al sole di splendere domani. Che Cristo sia un fatto è diventato motivo di gioia e fonte di pace».
Autorità dei testimoni
Come facciamo a sapere se il cristianesimo è vero?
Don Carrón parla di un metodo: la fede come forma indiretta di conoscenza. La conoscenza della fede si basa sull’autorità dei testimoni. I testimoni della vita di Cristo, testimoni della Sua verità e della Sua potenza. Ma potenza e verità per l’oggi, per il presente, come ha detto Carrón: «L’unico metodo che ci consente di conoscere Cristo è attraverso una saggezza che lo rende presente ora… È la contemporaneità di Cristo, la sua presenza in noi oggi, che ci permette di verificare la verità della pretesa cristiana.
La sua presenza oggi nella Chiesa è ciò che rende il cristianesimo rilevante per tutti gli aspetti della vita».
Prove del messaggio cristiano
È questo metodo che rende tanto importante un avvenimento come la Diaconia. Noi siamo l’uno per l’altro autorità per conoscere Cristo: e questo è la Chiesa. La misura attraverso cui Cristo cambia quelli che ci circondano, ed è protagonista nella vita di ognuno di noi, queste sono le prove che il messaggio cristiano è vero, vero per ogni parte della vita.
E nella Diaconia era implicata ogni parte della vita - c’è stata una presentazione sulla natura del cosmo tenuta da Maria Elena Monzani, un’astronoma che attualmente lavora a Stanford.
Ci sono stati incontri su come organizzare attività culturali, e incontri per tutti gli educatori. Si è svolto un dibattito di presentazione del nuovo libro e un concerto di blues con la David Horowitz and Friends Band.
Il contenuto eclettico della Diaconia rifletteva i diversi luoghi di provenienza di ciascuno. E, pure in questa diversità, ognuno è arrivato lì con la stessa fede e con la stessa speranza.
Forse la concretezza di questa speranza è stata meglio articolata da Wadi Adamés, di Portorico, durante l’assemblea: «La cosa che mi ha colpito di più è che non c’è più disperazione. Sono stato triste tante volte al punto di dire “al diavolo tutto”, sono stato tentato di farlo; ma è accaduto qualcosa che non potevo non vedere. è come se fossi stato forzato a vedere un fatto. Qualcosa è accaduto. È qui. Qualcosa è cambiato».
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