Eppure, chiaro, non tutti sono bulli. E alcuni episodi hanno precise radici in disagi personali, o addirittura disturbi, che meritano attenzioni particolari. Ed è anche vero che si è fatta largo tra commentatori e politici l’espressione «emergenza educativa»
Aiutiamo i nostri figli a non ghettizzare alcuno nella scuola
di Davide Rondoni
Tratto da AVVENIRE del 1 marzo 2008
Li chiamano bulli. Li chiamano ragazzini difficili. Li hanno messi sulle pagine dei giornali.
Prima molto spesso, poi di meno. Ogni tanto, un episodio, un fattaccio. Da archiviare ormai facilmente sotto la schedatura 'fatti di bullismo'.
Comoda, già anestetizzata nel diventare una schedatura, una classificazione. E invece, come scriviamo da molto tempo qui, e ben da prima che la valanga di fatti più o meno gravi, ci costringesse a voltarci tutti, almeno un attimo, dalla parte dei nostri ragazzini, ecco da molto prima scrivevamo qui, quasi supplicando i potenti, quelli che hanno voce in capitolo, che hanno mezzi, e dovrebbero avere conseguente responsabilità: guardateli, i nostri ragazzini d’Italia, sono loro la bomba sui cui siamo seduti. Nel senso che mentre tutti parlano di fisco, di tariffe e di altri problemi certo rilevanti, rischiamo di non vedere che nei nostri ragazzini sta succedendo qualcosa.
Certo, non tutti sono bulli. Non tutti, com’è accaduto a Torino, picchiano di brutto un compagno di scuola tanto bravo a danzare da poter sognare di emulare Nureyev. Ma non tutti capiscono che non esistono i diversi, e che ogni ragazzo – che balli o giochi a pallone – è un pregio (ecco perché, oggi, su Popotus ci si torna a scrivere e ragionare su).
Eppure, chiaro, non tutti sono bulli. E alcuni episodi hanno precise radici in disagi personali, o addirittura disturbi, che meritano attenzioni particolari. Ed è anche vero che si è fatta largo tra commentatori e politici l’espressione «emergenza educativa» che anche da queste pagine ha preso le mosse. Però la bomba non è disinnescata solo perché se ne parla. La bomba intesa non come deflagrazione, come chissà che evento visibile e catastrofico. Un poeta ha scritto che il mondo non finirà con uno schianto ma con un lamento. Ecco, qualcosa del genere. Sembra quasi che i nostri ragazzini, cioè il nostro futuro, esprimano – a volte anche con atteggiamenti violenti – una specie di lamento, di disagio nella relazione con il reale. Una specie di sofferenza, pronta in certi casi a mutarsi in ira, sorda o esclamante, contro se stessi o contro gli altri. È un’età delicata, dove si formano le cavità della persona, dove si fanno le prime esperienze di percezione esaltante di sé e si avvertono i primi abissi.
Cosa stiamo offrendo alle loro vite in formazione ? Adulti spesso paurosi, specialisti di tante magnifiche scienze, abilissimi in nuove tecnologie di cui riempiamo pure loro, e però sperduti e incerti dinanzi alle cose fondamentali dell’esistenza. Offriamo scuole spesso ridotte a recinti della depressione burocratica ed esistenziale, e poi montagne di detriti televisivi, banalità a go-go, voci di speaker di continuo da radio chiacchierone, siti web che ciarlano in modo vacuo di tutto… Per poi stupirci che la accesa energia vitale di un ragazzino, da protagonista, o da spettatore non innocente, si vada esprimendo con raptus, con ire incontrollate, con amputazioni e defaillance nella normalità delle relazioni? Ma che normalità si può chiedere a ragazzini immersi troppo spesso in lunghe solitudini, o in contenitori passatempo, in relazioni distorte tra adulti, sospinti a percepire la vita con un’ansia febbrile con sorrisi finti, stampati sul viso a uso dei flashes?
Ora in tanti, forse in troppi e a vanvera, parlano di emergenza educativa. Va quasi di moda, se non fosse una moda cinica. Poi ci sono alcuni, sempre pochi, che si rimboccano le maniche, e prestano tempo e attenzione a loro.
Fanno con i ragazzi il loro dovere, e anche più del loro dovere. Come è giusto quando c’è una emergenza. Come è giusto quando si ama.
Di costoro non si occupano quasi mai i giornali. Io vorrei scrivere qui alcuni dei loro nomi. Come una notizia controcorrente, perché la speranza dell’Italia più che dai prossimi candidati passa da gente come loro: Eugenio, Elena, Franco, Gianfranco, Francesco, Andrea, Daniela, Barbara, Sabina, Nicola…
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