giovedì 23 agosto 2007

CI MANCHERAI HAI APERTO SQUARCI DI LUCE VERA NELLA NOSTRA VITA

Il canto d'addio di Claudio Chieffo
Il Meeting in lutto. «Ci mancherai, hai aperto squarci di luce vera nella nostra vita»
Di Luca Doninelli
AVVENIRE 21 AGOSTO 2007



Claudio Chieffo, cantautore cattolico fra i più noti ed amati, è morto nella notte fra sabato e domenica. Aveva 62 anni, era ammalato dal 2005. Autore di 113 canzoni, lungo oltre 40 anni di carriera, da "I cieli" a "Reina del paz", l’ultima, scritta dopo l’attentato a Madrid. Nelle ultime ore, insieme ai suoi cari, nell’Hospice di Forlimpopoli gli sono rimasti al fianco anche Flavio Pioppelli, il giovane e inseparabile pianista, e l’artista americano David Horowitz, che ieri sera lo ha ricordato in concerto a Rimini. Oggi alle 9 i funerali, nel Duomo di Forlì.

Caro Claudio, vorrei dirti innanzitutto che mi dispiace enormemente che tu te ne sia partito da noi. Da almeno due anni ci avevi detto «preparatevi», però sai bene che alle cose importanti non ci si prepara mai: devono succedere e basta. E a quel punto si verifica di che pasta era fatta la tua preparazione - se era una preparazione fatta di discorsi oppure di carne e sangue.
Ci avevi sempre detto che Dio ci prepara, con pazienza, all'abbandono totale e definitivo a Lui, e che questo passa anche attraverso il dolore e la morte, però va bene lo stesso, perché noi siamo al mondo per quell'abbandono, e per nient'altro. Ce l'hai sempre detto, dentro e fuori le tue grandi canzoni. Ce l'hai detto e ripetuto, capisco che devo ancora capire tante cose: non con la testa, che è già certa, ma con tutto il cuore e con tutto il coraggio che c'è dentro.
Tu hai avuto bisogno di molto coraggio: non solo per affrontare la malattia (che non vuol dire soltanto dolore fisico, distruzione del corpo, decadenza delle capacità mentali, ma anche moglie, figli, lavoro: una responsabilità sempre più acuta verso la vita), non solo per quello, dicevo, ma per poter gettare una manciata di luce vera - quindi non tua - dentro fatti, storie e pensieri e sentimenti che di luce non ne volevano.
Qui sta la tua grandezza, il tuo distintivo, ciò per cui sappiamo già che non ci sarà mai più nessun altro Claudio Chieffo. Qualcun o dice che tu sei stato il più grande cantautore cattolico dell'ultimo secolo. Be' sai quanto me ne importa. E a te, poi? È per questo che si fatica? È per questo che un artista cerca di donare se stesso fino all'ultima goccia di sangue? A parte il fatto che essere il più grande cantautore cattolico non è granché, di questi tempi in cui "cattolico" è un po' meno che "idiota". Ma lasciamo perdere.
Mi tornano in mente tante tue canzoni, frammenti di tuoi versi ("Il Signore ha messo un seme", "Ho un amico grande grande", "Io suonavo il violino ad Auschwitz", le mie preferite), la tua incessante esortazione al coraggio ("In fondo ha preso Lui l'iniziativa, e allora che paura abbiamo?", "Ma non avere paura, non ti fermare mai", fino a "Ora ti voglio con Me, non devi avere paura, devi lasciarti andare, tutto si compie ora").
Mi tornano alla mente anche i nostri numerosi incontri. Il primo. Avevo diciassette anni e pensavo di essere un grande cantautore (non avevo ancora virato definitivamente verso la narrativa). Lo pensavano anche tanti altri. Durante l'esibizione di un altro ragazzo (io mi ero già esibito) sei venuto da me, che non stavo ascoltando, e mi hai detto: «Lo sai perché non ascoltavi? Perché sei complicato, e lo si vede dalla tua canzone. Sapessi quello che dicevano mentre cantavi tu…». Be', tu non lo sai, ma quella volta hai definito per sempre la mia vocazione artistica.
L'ultimo incontro è stato lo scorso anno al Meeting di Rimini. Non potendo assistere al tuo spettacolo, io e Emanuele siamo venuti a cercarti dietro le quinte. Ci hai detto: «Pensate un po': dovrei essere già morto, invece ho ricominciato a guidare la macchina».
A me sembra che tu, nella parte di vita che ti è toccata sulla Terra, abbia incarnato bene l'idea dell'artista che don Giussani ci aveva comunicato leggendoci Leopardi, Dante e Péguy. La differenza tra l'artista e il santo sta nella croce. L'artista la intuisce, ma non la attraversa. Solo la santità la attraversa. Ma nell'intui zione, l'arte realizza il suo compito: essa simboleggia quella grande preparazione all'incontro definitivo con Dio che ha già cominciato a realizzarsi nell'incontro con Cristo. E aiuta a portare la croce, poiché sa vedere lontano.
La vita cristiana, nella sua umiltà, realizza questo ideale con la stessa potenza del più grande degli artisti. Il più umile dei cristiani può essere, nel suo ambito, come Dante o Leopardi. Tu questo l'hai realizzato. Le tue canzoni sono state, sono e saranno cantate da centinaia di migliaia, da milioni di persone semplici, non importa se colte o ignoranti, furbe o sempliciotte, ma comunque ultimamente semplici, che nell'opera della tua genialità riconoscono, senza troppi inutili ragionamenti, quello che di più bello e prezioso esiste in loro.
Un artista serio sa di dire cose che lui stesso non merita. Tu non hai mai pensato di meritare le cose che hai scritto, hai sempre pensato che ti fossero state donate (anche se bisogna lavorare per poter cogliere il dono, altrimenti scappa via) così come chi ti ascoltava e continua a cantare le tue canzoni sa bene di non averle capite del tutto, non perché siano oscure ma perché certe cose è necessario pagarle fino all'ultimo centesimo per poterle capire fino in fondo.
È come il mare. Perché staremmo ore e ore a guardarlo? Perché non potremo mai dire: ecco, è tutto qui. Ogni onda aggiunge qualcosa di nuovo, il mare non si chiude mai nei suoi margini. E così è di noi. Nemmeno la morte è un margine, è solo un oscuro passaggio. Perché la vita è troppo simile a Chi l'ha fatta.
Un abbraccio, ci v vediamo.


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