Aborto &C - mar 28 ago
L'uso perverso della legge 194
di Lucetta Scaraffia
Tratto da avvenire del 28 agosto 2007
Il caso dell'aborto delle due gemelline di Milano non può essere derubricato a semplice errore medico, come si è cercato di fare anche per la morte, per molti versi analoga, del bimbo di Careggi: è invece un esempio significativo dello stravolgimento culturale che sta prevalendo nel nostro Paese.
A questo si aggiunge la prova evidente - ultima dopo tante altre - dell'uso distorto che in molti ospedali si fa della legge 194, certo non finalizzata alla selezione eugenetica dei feti. Come mai una legge dalle motivazioni ben diverse è divenuta di fatto strumento di eliminazione per feti "anormali" o malati? Questa la domanda da porsi, e che sembra si stia ponendo, se pure con prudenza, il ministro Livia Turco.
Bisogna chiarire che per giustificare questi aborti la legge viene disinvoltamente manipolata - con la clausola che dà la possibilità di abortire se lo stato di salute fisico e psichico della madre è in pericolo - e che essa non prevede la selezione eugenetica attraverso l'aborto. Ed è bene ricordarlo perché periodicamente si alzano voci - l'ultima, ieri, di Silvio Viale - che considerano la possibilità di abortire un feto anormale una acquisizione della legge 194, e quindi denunciano una contraddizione con la legge 40, che non permette la selezione eugenetica degli embrioni. Invece contraddizione non c'è, perché in Italia l'eugenetica non è prevista dalle leggi, almeno per ora.
Dobbiamo domandarci, piuttosto, come mai tante madri si sentano incapaci di affrontare la nascita di un figlio anormale o malato, giungendo al punto di preferire l'aborto. Anche se non c'è la sicurezza dell'anormalità del feto (come nel caso di Careggi) né della riuscita dell'aborto (nel caso delle gemelline). La risposta è su due piani, sociale ed etico. Se l'aiuto pubblico a chi ha figli handicappati è scarso e l'opinione pubblica emargina i "diversi", la decisione di accettare un bambino "imperfetto" è difficile e a molti può sembrare quasi una stranezza eroica. I bambini di versi invece non sono solo un peso per i genitori, ma anche una gioia profonda, forse maggiore e più intensa di quella che danno i figli normali, ma con la loro presenza ricordano al gruppo sociale in cui vivono che esistono la diversità, la malattia e il dolore. Tutte cose che si vorrebbe dimenticare.
Come vorrebbe fare Viale, ritenendo un successo il fatto che in Italia - alla faccia dell'uguaglianza dei diritti - non nascano quasi più bambini handicappati. Non risulta che così siamo più felici, naturalmente, né che abbiamo capito di più il senso della vita, ma non importa. Bisogna affermare invece, e a voce alta, che la scomparsa degli handicappati è un segno di barbarie crescente, di egoismo e di insensibilità: lo sanno bene gli svedesi - certo non succubi del Vaticano - che hanno messo a punto un'eccellente assistenza per i bambini down, che in Svezia non vengono scartati, ma fanno parte della società.
Ma la ragione più profonda e più grave che spiega questo uso perverso della legge 194 è l'atrofizzazione del senso morale verificatasi nel trentennio successivo all'approvazione della legge: esempio clamoroso di quel piano inclinato che scivola verso il peggio negato dai sostenitori di un'etica liberale. Se rileggiamo i dibattiti sull'aborto al tempo del referendum troviamo abortisti - come per esempio Natalia Ginzburg - convinti che si tratti comunque di omicidio, da legalizzare come male minore, per evitare cioè che le donne muoiano per aborto clandestino: tutti convinti della gravità del fatto e sicuri che la legalizzazione non lo avrebbe banalizzato. Nessuno pensava che sarebbe diventato uno strumento di selezione per il figlio perfetto. Anche se, con la pretesa di cancellare un dolore, se ne può causare uno molto più grande.
Nessun commento:
Posta un commento