In un mondo pieno di ipocrisia ,dove solo il dio denaro muove le persone ,non si accetta nemmeno che si possa donare la vita con gratuita'
Fortunatamente il messaggio cristiano supera ogni limite umano.
Don Gelmini accetta e offre non desidera nemmeno che gli uomini gli diano ragione o no.
La sua vita l'ha donata a Cristo.
La sua vita l'ha dedicata agli ultimi ed ora anche lui fa parte integrale con loro.
Anche Cristo era stato desiro e abbandonato ma la sua chiesa continua la Sua opera.
Libero 12 agosto 2007
di RENATO FARINA
ZERBÒ Un uomo vecchio è seduto sotto il faggio. Intorno ci sono il sindaco di Reggio Calabria, la moglie e altri amici. Hanno portato dolci. Don Pierino Gelmini mi rimprovera per il ritardo e ringrazia per quanto ha scritto Libero. Dice: «Un amico porta il peso degli altri amici. Vorrei portare il vostro». L'accordo è di passare un paio di giorni nella sua comunità (si chiama "Incontro"), lui risponderà a tutto e i suoi ragazzi pure. Le ortensie sono di un azzurro mai visto, tutto è pulizia dove cento metri più in là è polvere. Tre chilometri più a valle qualcuno ha cercato di appiccare un incendio. Mi viene servito da mangiare. Un gruppo è sceso al mare, sulle spiagge di Locri, chi è rimasto prende l'incarico dei vari lavori in questo ex-sanatorio dove fu tagliato un orecchio a Paul Getty jr. Hanno i tatuaggi sulle braccia, sono arrossati dal sole, impugnano le carriole come fucili, mi salutano insieme: «Buongiorno!». Il sindaco se ne va. Gli occhi di don Pierino sono lucenti. Una pupilla è cieca. «Comunque vada questa vicenda sono condannato. Sono innocente. Ma se mi prosciolgono diranno: ha amici potenti. Se mi danno una pena diranno che è stata troppo lieve». Fuori dal cancello ci sono alcuni giornalisti, premono per entrare. Don Pierino dice: «Domandano a tutti se stanotte ho pianto. Non ho pianto. Non posso piangere. A Cristo andò peggio. I ragazzi devono avere davanti un esempio forte. Mi aspettavo tutto, ogni accusa. Ci sono cascato coi giornalisti: li ho fatti sedere con me, i miei ragazzi hanno raccontato come hanno ripreso il gusto della vita. Loro hanno riferite tre frasi sulle lobby massonica, ebraica, omosessuale da me pronunciate in un momento di furore. Io sono un uomo, sono pieno di difetti, e tra essi l'ira è il più grave. La lussuria no. E se ce l'avessi sarebbe il meno grave».
La cristoterapia
Un ex tenente dei vigili urbani di Palermo ora fa il volontario qui. Si chiama Gianni. Non si capacita. Don Pierino illustra questa opera: «Ce l'abbiamo per 99 anni. Dieci anni fa era un rudere. Guarda le fotografie». Guardo don Pierino. Cribbio. Questo qui da 44 anni si sbatte in giro per il mondo, ha aperto 250 centri. Ora deve mostrare a un pirla par mio come ha rimesso a posto un letamaio. Anzi, letamai erano decine di migliaia di ragazzi. Non li avvicinava nessuno. Li ha accolti. Lui dice che ha applicato la cristoterapia. Di certo non buttano neanche le cicche delle sigarette per terra. «Lealtà e onestà» è la prima regola. Ma non è una regola. È qualcosa d'altro. «Abbiamo incontrato un uomo che ama», dice Antimo. Don Pierino dice: «Io amo, perché ho ricevuto questo amore. Io do il minimo. Gesù è morto per gli amici. Io no». Si corregge: «Io non ancora». Ha detto: amore. Pensa che potranno arrestarlo, ma non lo dice. Sono troppo vigliacco per chiederglielo. Ma dica la verità, don Pierino. Non è che ha esagerato in amore con qualcuno di loro? «A che cosa serve dirti che sono innocente? Le testimonianze recitano tutte la stessa parte. Ma devo stare calmo sui sospetti che ho, sulla strategia contro la Chiesa. I magistrati si arrabbiano». Don Pierino, dinanzi a queste accuse, cosa si deve fare? «Posso solo dire: venite a vedere. Ma io dico: grazie. Mi mancava questa prova. Avevo ricevuto troppi onori. Non ho il diritto di dire: passi da me questo calice. Io penso che Dio quando guarda le sue mani, vede me e i miei figli. E ha tenerezza. C'è chi vorrebbe prendere la mano di Cristo per fargli disegnare il destino come vorrebbe lui. Dio è buono, la legna storta getta fiamme diritte. So che tutto consente e guida per la felicità dei miei. Io speri- mento insieme l'inferno qui, il purgatorio, chiamalo come vuoi, ma soprattutto il paradiso, che è la limpidezza della coscienza rischiarata dalla Sua misericordia. Ora pago per altre mie colpe, va bene così. Il paradiso che mi porterò nell'aldilà lo vivo adesso anche se sto in croce». I ragazzi arrivano. Sono felici. Sanno tutto, ma sono felici. Mettono un sasso in mano a don Pierino. Gli dicono: papà! E poi lo baciano e lo abbracciano con effusione. Fa impressione vedere questi giovanotti muscolosi stringere un ometto vestito di nero. Ma come? L'accusa è di aver toccato e baciato, e lei si espone. «Io sono don Pierino. Io sono così. Questi erano rifiuti. Abbracciandoli ho mostrato che avevo stima di loro. Li conosco per nome e per cognome, il loro odore è buono. Pensino gli altri ciò che vogliono. Io non cambio adesso. Giuda ha baciato Gesù, Gesù ha baciato Giuda e gli ha detto: amico! Stringeva i bambini, si faceva posare la testa sulle spalle da Giovanni. Chi sono io per fare diverso?».
I chiodi
I ragazzi vanno a fare la doccia. Mi baciano. Baciano me! Mi dicono: «Non sarai anche tu che ci tradisci? Conoscevamo bene il primo accusatore di don Pierino». Efraim viene dalla Bolivia: «Era in camera con me. Di notte hanno messo il cappuccio, con altri è andato a rubare da Giovanna, la segretaria. Don Pierino li ha cacciati. Potevano bussare ancora alla porta. Invece si sono vendicati». C'è Ivo dalla Bulgaria. «Abbiamo imparato che se eravamo drogati non era colpa della società. Io cosa facevo per il mio popolo? Mi bucavo! Un altro che abitava nel mio palazzo, vicino a Sofia mi ha detto: perché non provi a vivere diverso? Mi vergognavo. Non volevo raccontare i fatti miei. Il "don" mi ha detto soltanto: "Ci stai?"». Diventa rosso: «Non in quel senso. Com'è possibile accusarlo così». Gli viene una rabbia, poi una tristezza. Si capisce che don Pierino non vuole difendere se stesso, ma la sua comunità, questa esperienza pazzesca per cui dei rottami che non camminavano oggi giocano in spiaggia, curano il bestiame, picchiano con il martello. Vivono, banalmente vivono, si mantengono. Pierino passeggia con me nei prati fioriti. Ha dato indicazione di come si concima. Lavora anch'egli. «La Chiesa non mi ha difeso? Non è vero. Comunque impara questo. A sopportare i chiodi. Don Orione è il mio esempio di santo. In Sicilia due canonici di Messina (era andato lì per aiutare dopo il terremoto del 1908) pagarono il barbiere della Curia per inoculargli la sifilide. Don Orione fu calunniato. Non si difese mai. Accettò che si sparlasse. Poi la verità emerse. Mi accusano di paragonarmi al crocefisso: e a chi devo paragonar mi, al diavolo? Era nelle cose questa accusa. Chi non conosce i tossicodipendenti lo sa. Chi perde scarica il suo fallimento sugli altri». Ma i preti. «Il cardinal Francesco Marchisano non l'ho mai visto, mai ha messo piede in una comunità, e mi chiede di fare un passo indietro? Lo faccia lui in avanti, in un burrone!». Oddio, l'ira di don Pierino. «Se devo mandare qualcuno affanculo lo faccio, in latino: "i in cubiculum tuum"! Io non mi dimetto dalla mia comunità. Non dipende dalla Chiesa. Venne da me il cardinal Vincenzo Fagiolo, insigne giurista, per conto di papa Wojtyla, e mi chiese se volevo trasformarla in congregazione. Risposi: non posso coinvolgere la Chiesa in esperimenti di avanguardia. Per il bene della Chiesa, se il Papa ritenesse, posso rinunciare all'esercizio del sacerdozio, ma la mia comunità non la lascio. Strisciando ma resto qui». Spretato ma fedele.
Buono come Dio
C'è il rosario. I ragazzi sono lindi e freschi. Nessuno è obbligato. «Don Antonio Mazzi dice che ho alzato le mura, che è una comunità chiusa. Ma dove? Libertà e responsabilità». Si ricorda il nome di tutti. Appare al cancello Leonardo da Andria. Pierino lo chiama per nome. Lo bacia. «Ah, mi baci ancora papà! Meno male», dice questo mar- cantonio: «Ero un disperato, ora ho moglie e due figlie. Guai a chi mi tocca don Pierino». Gliel'hanno toccato. Ave-maria-piena-di-grazia... la recita è scandita come una marcia di guerra. «Vita hominis militia est super terram», dice, sotto il faggio di Giobbe (lo ha chiamato così), il prete citando il libro di Giobbe, capitolo 7 versetto 1. La vita dell'uomo sulla terra è una guerra. E dopo? Chiedo: e la morte? Ci pensa? «Ci penso. Ho già scelto il successore, è un frate minore dello Sri Lanka, padre Bernard. A lui solo ho raccontato di essere stato chiamato dai magistrati. Toccherà a lui prendere il mio posto. Questo forse è l'ultimo anno». E com'è l'aldilà? «C'è un grande turbamento in me. È un salto nel buio. Ma io mi fido di Dio. Di paradiso, inferno e purgatorio riferiti al dopo, non so. Non riesco a credere alla resurrezione della carne. Ma mi abbandono a Dio, credo in Lui, so che è luce amore e vita. Il mio "io" sarà purificato, durerà, ma il modo non so. Mi auguro di morire in fretta, di non essere di peso. Anche se non faccio in tempo a prepararmi a morire, Dio non userà il computer per calcolare i peccati. Ti scandalizzo? Ho confidato queste cose a don Giussani, gli tremava il corpo per il Parkinson e gli dissi: questo è il tuo purgatorio». Ho un ritaglio. Don Giussani dice di questo prete lodigiano: «Don Gelmini è buono come Dio. Se penso a un esempio vivente di Cristo vedo lui, un vero capo senza cui la comunità si disfa». Come ha fatto don Pierino a realizzare 250 centri? «Io non lo so. Vedo i miei limiti. Eppure. C'è il dito di Dio». Le grane del rosario scorrono. Le domande di preghiera sono pronunciate da Gelmini. All'ultima decina, il mistero dell'incoronazione di Maria Vergine, dice: «Secondo le mie intenzioni e per il bene della comunità». Davanti alla minestra gli domando quali sono quei desideri: «Non quello che tu pensi, e cioè che si dimostri la mia innocenza. Ma che io nella prova mantenga la serenità del cuore, mostri a questi miei figli che l'amore è più forte e si può dare la vita per gli amici».
Il tradimento
A tavola lui si siede davanti al camino, anche d'agosto c'è sempre il fuoco. Come nei film di Harry Potter addossata alla parete c'è la tavolata dei professori e a perpendicolo altre cinque file di tovaglie con i ragazzi composti. Prima un po' di silenzio. Alla fine, don Pierino spiega il Padre nostro. «Dacci oggi il nostro pane. Oggi, non quello di domani. Ci basti quest'alba e questo tramonto». Gli occhi verdi gli si bagnano quando dice: «Dobbiamo perdonare tutti. Noi siamo perdonati se perdoniamo tutti. Domani chi vuole si confessa». Non da lui, non riceve confessioni dai ragazzi. Ad essi insegna: «Non dovete fare come i bigotti. A Gesù non importa quante pippe vi siete fatte, ma del dolore bestiale inferto alla vostra mamma. Raccontategli con le lacrime lo scandalo dato ai vostri figli, lo stupore di vostro padre quando avete alzato le mani su di lui. La calunnia, il tradimento. L'usura. Il sesso è la cosa meno grave, sappiatelo. L'ho sempre detto, anche se adesso questo signore qui ora lo scriverà e penseranno male di me». I ragazzi: «No, no, no-o!». La pizza è buona, l'hanno impastata e condita loro, guidati da uno di Avellino. La sera si recano alla Madonnina del Sorriso, che sta in mezzo a una fontana e sembra nascere con il Bambino in braccio tra acque cristalline. Silenzio. Lo scroscio delle acque è lieve. Sopra il buio ecco le stelle. Questa compagnia di spiantati, che si aggiravano nelle periferie di Napoli Venezia Milano, ora guardano il volto femminile e sono belli. Erano un branco, ora sono amici con un padre. La musica è di Schubert, poi di Verdi. Silenzio. Centoventi giovanotti nerboruti, qualcuno senza denti, qualcu no ha qua rant'anni buttati via, seguono un prete che cammina traballando. Alcuni scoppiano a piangere. Poi ci si fuma una sigaretta. Don Pierino riceve nella stanzetta. I ragazzi ad uno ad uno vengono a rispondere alle mie domande. La cocaina, l'eroina, l'alcol. E poi quest'uomo che li guarda. Tanti ce la fanno. Qualcuno fa fiasco. E ora si rivolta contro quest'uomo dalla faccia rossa, là in fondo, con l'abatjour che lo inquadra a leggere le lettere. E poi entrano questi tipi.
Le lettere
Dal carcere di Velletri c'è una lettera di Alessio Basmani, con sul groppo anni di carcere. «Ciao Papà! Sono tuo figlio Alessio, in questo brutto momento voglio che tu continui ad essere sereno perché tutto il mondo sa chi è Papà Pierino, e tutto il mondo sa chi è il tossicodipendente. Tu hai capito che non ci sono tossici buoni, curabili, o viceversa. Sono sempre i buoni a ricevere del male, Papà! Tu ci hai capito. Ma a te chi ti capisce?». Ricorda: «Sei venuto nel carcere di Rebibbia a trovarmi perché soffrivo come un cane, da tre mesi in isolamento, mi tagliavo. Le guardie avevano paura, ma io e te ci siamo abbracciati e accarezzati fortissimo». Alessio racconta. Combinava guai. Pierino lo cacciava. Lui chiedeva un'altra occasione e trovava le porte aperte. «Ti mando un grande bacio. A te ti ha mandato Dio. Stavolta sono io a pregare per te». Si spegne la luce delle camere. Fa freddo. Don Pierino mi dice: «Prego sempre mia mamma e mio padre, prima di Dio». Questa notte di più. Le foglie stormiscono, ci sono i rumori del bosco e quelli delle anime. Le faine prima dell'aurora mangeranno quindici galline. Invano le hanno inseguite due pastori maremmani. Alle sei e mezza i ragazzi sono al lavoro. Alle 9 e 45 lezione di don Pierino. Il cuore è forte, ma gli brucia la pelle. Fa ballonzolare le ginocchia sotto il tavolo. Dice: «Un giorno ero disperato. Non vedevo nulla salvo il buio. Dicevo: Dio sei ingiusto! Perché hai creato tanto dolore? Un ragazzo con il secchio passava con il cibo per gli animali. Mi ha visto confuso: "Che hai don? Sei triste?". Lo sapete che io dico sempre la verità. Gli ho risposto: "Sì. Ho chiesto a Gesù di apparirmi, di darmi una carezza. Niente". Allora il ragazzo ha lasciato giù il secchio: "Ehi, Don. Ti accarezzo io, non sono Cristo ma sono un tuo poverocristo"». Lo bacio anch'io. È profumato di acqua di colonia.
LA COMUNITÀ
L'INCONTRO L'incontro tra un ragazzo di strada, Alfredo Nunzi, e un monsignore del Vaticano, Don Pierino Gelmini, segna - il 13 febbraio del 1963 - l'inizio della Comunità Incontro LE SEDI La Comunità Incontro è presente in diversi Paesi. Con quasi 200 sedi in Italia integrati da gruppi d'appoggio e di ascolto, è il punto di riferimento per le persone, e le loro famiglie, che vivono il disagio dell'emarginazione, il dramma della tossicodipendenza, dell'alcolismo, di stili di vita distruttivi LA FILOSOFIA I Centri non sono divisi per classi, età, patologie, ma mettono insieme persone che accettano di essere aiutate e danno esse stesse un contributo per arricchire questa reciproca scuola di vita TRECENTOMILA PERSONE Con un turnover residenziale annuale nei centri italiani di 12mila persone (ingressi in comunità dal '90 al 2002: 126.624 - movimento annuale in Italia e all'estero: 15mila/20mila), in oltre 40 anni d'attività sono passate nei suoi Centri 300mila persone
IL "PAPÀ" Don Pierino Gelmini, o più semplicemente "il Don", o "Papà", come affettuosamente lo chiamano migliaia di ragazzi e bambini, ama dire: «Per caso la Comunità è stata fondata da un prete, ma io non sono un prete per caso» (Contrasto) .DON GELMINI
p Comunque vada questa vicenda sono condannato. Sono innocente. Ma se mi prosciolgono diranno: ha amici potenti. Se mi danno una pena diranno che è stata troppo lieve... Domandano a tutti se stanotte ho pianto. Non ho pianto. Non posso piangere. A Cristo andò peggio. I ragazzi devono avere davanti un esempio forte
IL PRETE ALLA GOGNA "p Alla morte ci penso. Ho già scelto il successore, è un frate minore dello Sri Lanka, padre Bernard. A lui solo ho raccontato di essere stato chiamato dai magistrati. Toccherà a lui prendere il mio posto. Questo forse è l'ultimo anno. L'aldilà? C'è un grande turbamento in me. È un salto nel buio. Ma io mi fido di Dio. Di paradiso, inferno e purgatorio riferiti al dopo, non so. Non riesco a credere alla resurrezione della carne. Ma mi abbandono a Dio, credo in Lui, so che è luce amore e vita. Il mio "io" sarà purificato, durerà, ma il modo non so SULLA MORTE E L'ALDILÀ p La Chiesa non mi ha difeso? Non è vero. Comunque impara questo. A sopportare i chiodi. Don Orione è il mio esempio di santo. In Sicilia due canonici di Messina (era andato lì per aiutare dopo il terremoto del 1908) pagarono il barbiere della Curia per inoculargli la sifilide. Don Orione fu calunniato. Non si difese mai. Accettò che si sparlasse. Poi la verità emerse. Mi accusano di paragonarmi al crocefisso: e a chi devo paragonarmi, al diavolo? Era nelle cose questa accusa. Chi non conosce i tossicodipendenti lo sa. Chi perde scarica il suo fallimento sugli altri L'ESEMPIO DI DON ORIONE
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