Claudio Risé, da “Il Mattino di Napoli” del lunedì, 13 agosto 2007
Estate di fuoco per i famosi. Nelle ultime settimane sono finiti nel frullatore degli scandali: deputati cocainomani (pessimi ma forse non così importanti da meritare i titoli di testa dei media), anziani sacerdoti dediti alla pericolosa categoria dei tossicodipendenti a corto di denaro, e infine i più amati campioni di motociclismo, a cominciare da quell’icona dello sport e della giovinezza che è Valentino Rossi. Ad additare questi ultimi al pubblico ludibrio è il governo italiano.
Per esseri più precisi il fisco, che li accusa di massicce evasioni fiscali. Il match è tra Stato italiano e uno dei più noti e amati simboli dell’italianità: Valentino Rossi, campione mondiale di motociclismo in quattro differenti categorie.
Il fattaccio ha inizio quando Valentino, nel 2000, comincia a correre per la multinazionale Honda, lasciando l’italiana Aprilia, cui erano legati i suoi primi successi, e sposta la sua residenza fiscale e legale a Londra, in Inghilterra. Che gli consente di pagare le tasse solo su ciò che guadagna lì.
Da allora Valentino Rossi, è una star globale, che riceve stipendi e percentuali da aziende e sponsor di tutto il mondo, e risiede a Londra. Poi, certo, viene in Italia a trovare la mamma e gli amici, cui probabilmente fa molti regali. Basta per dover pagare 25 milioni di tasse, moltiplicate magari per quattro per via della multa, non versate al fisco italiano? Neppure il viceministro del Ministero delle Finanze ne è davvero certo. Tanto che ha dichiarato che «in base alle leggi britanniche, una più o meno fittizia residenza a Londra permette di non versare tasse nel proprio Paese».
Ma allora, se leggi inglesi, Paese da noi riconosciuto, lo consentono, di cosa è colpevole Rossi? Di aver utilizzato una legge di un paese dell’Unione Europea per non pagare all’Italia tasse su un reddito che non gli viene dall’Italia?
Non è difficile poi vedere nello scandalo dei campioni evasori (oltre a Rossi, Capirossi, che risiede invece a Montecarlo), oltre alla caratteristica avidità del fisco italiano, all’origine di tante fughe di italiani di successo, un altro fenomeno caratteristico del nostro paese e comune ad altre nazioni, approdate di recente ad uno status di ricchezza, ma segnate (come l’Italia) da una storia di lunga e diffusa povertà. Si tratta dell’invidia sociale.
Dei grandi del nostro motociclismo le firme del giornalismo italiano hanno additato a vergogna finanche: «la luce, accesa in ogni stanza persino di giorno», abitudine ahimé diffusa nella gran parte degli adolescenti del nostro Paese, anche quando il reddito da loro prodotto è uguale a zero, o negativo. Oppure gli “zainetti pieni di videogiochi”: anche in questo, i campioni non sono certo gli unici.
Siamo, è vero, un paese di viziati, e di bambini viziati. Quello che Valentino e gli altri hanno di speciale, rispetto agli altri italiani, è che sono, come si dice, delle “eccellenze” dello sport, e della gioventù mondiale.
Per esempio, non si drogano, altrimenti non potrebbero correre, e soprattutto vincere. Hanno, a loro modo, nervi saldissimi, in un Paese dove le massime autorità politiche regalano al pubblico crisi isteriche con frequenza preoccupante. Hanno fegato: tanto da rischiare la vita con dignità, forza, senza smancerie. Tutti atteggiamenti socialmente positivi, ma rari nelle nostre maggiori autorità politiche, civili, ed anche culturali.
C’è allora da chiedersi se, con la grande penuria di eccellenze, in particolare giovani, che affligge l’Italia, l’assalto politico-mediatico a Rossi & C. sia un atto di saggezza. O di malcelata invidia.
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