giovedì 16 agosto 2007

L'IMPORTANZA «ECONOMICA» DELLE SPERIMENTAZIONI SULL'EMBRIONE

Si loda (e si finanzia) come ricerca ma è tratta di esseri umani

AVVENIRE 14 agosto 2007
Luca Marini




A partire dai primi anni Duemila, le potenziali prospettive terapeutiche derivanti dalla ricerca sulle cellule staminali embrionali hanno sensibilmente modificato la percezione pubblica della bioetica, che, da corpo di garanzie etico-giuridiche volte a tutelare l’essere umano dalle più rischiose (o moralmente discutibili) applicazioni della biomedicina, è andata via via trasformandosi, come molti capziosamente sostengono, in ostacolo alla libertà della ricerca scientifica. Tale trasformazione è attestata e sostenuta dall’evoluzione degli strumenti giuridici rilevanti sul piano internazionale, comunitario e nazionale. Se, infatti, fino alla fine degli anni Novanta, le norme del biodiritto erano ispirate alla salvaguardia della dignità e dei diritti fondamentali dell’essere umano (o, almeno, dell’individuo), dette norme tendono oggi a circoscrivere il proprio campo di applicazione alla sola persona. La differenza non è innocuamente semantica, se si tiene conto del fatto che l’espressione essere umano (e individuo) comprende l’uomo in ogni grado di sviluppo (e quindi anche l’embrione), mentre il termine persona si applica soltanto ai soggetti dotati della capacità di agire in funzione di relazioni interpersonali (e quindi non all’embrione). Esempio emblematico nel senso indicato è offerto dal cosiddetto "trattato costituzionale europeo", firmato a Roma nel 2004, che circoscrive alla persona le garanzie di integrità psico-fisica riconosciute all’individuo dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza nel 2000. La ricerca sulle cellule staminali embrionali e le sue più immediate applicazioni tecnologiche (la cosiddetta clonazione terapeutica), unitamente alla rilevanza industriale e commerciale di tali sviluppi tecno-scientifici (tutti coperti da privative brevettuali), hanno così aperto la strada a una vera e propria rivoluzione antropologica, che mette in discussione la definizione stessa – oltre che il ruolo – dell’uomo nella società co ntemporanea. Per avere conferma di ciò, basti confrontare il contenuto della Convenzione sulla biomedicina del Consiglio d’Europa, firmata a Oviedo nel 1997 («l’interesse e il benessere dell’essere umano prevalgono sul solo interesse della scienza»), con quello della Dichiarazione sulla bioetica e i diritti dell’uomo dell’Unesco, adottata a Parigi nel 2005 («l’interesse e il benessere dell’individuo dovrebbero prevalere sul solo interesse della scienza»). L’importanza "economica" della ricerca sull’embrione è stata confermata dalle note vicende relative all’approvazione del VII Programma quadro comunitario di ricerca scientifica e sviluppo tecnologico (valido per il periodo 2007-2013), che, a differenza del precedente VI Programma (2002-2006), ammette il finanziamento comunitario (quindi a carico dei contribuenti europei) delle ricerche che utilizzano embrioni umani, quali, ad esempio, gli embrioni risultati sovrannumerari rispetto agli scopi della fecondazione artificiale. Mediante strumenti (il finanziamento della ricerca) formalmente neutrali e socialmente utili, sono state legittimate sperimentazioni che hanno già aperto la strada a una nuova forma di tratta degli esseri umani: il commercio transfrontaliero di embrioni destinati ai laboratori scientifici, espressamente vietato in Italia fino all’adozione della legge 40 sulla procreazione assistita. È per i motivi suddetti che occorre vigilare e seguire con attenzione rinnovata gli appelli che si succedono in questi giorni in favore della libertà della ricerca scientifica, quando tali appelli mirano esclusivamente ad aumentare il finanziamento della ricerca sulle cellule staminali, una volta limitatamente a quelle embrionali (più immediatamente connesse alle applicazioni tecnologiche), oggi anche a quelle adulte, a mo’ di tardivo (o capzioso) pentimento scientifico. È lecito, infatti, dubitare delle finalità di tali appelli se chi li promuove e li conduce considera l’embrione non lo stadio iniziale della vita um ana, ma fonte di materia prima.
* Vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica


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