La lingua dei Maya è pura evocazione. Il vecchio saggio che parla alla tribù: «Il buco dell’uomo, la sua ferita, è non smettere mai di desiderare».
Proiettate Apocalypto a scuola
GIANCARLO DOTTO
LA STAMPA 11 GENNAIO 2007
Andate a vederlo con tutti i pregiudizi del caso e anche un po’ di rancore quel sadico sanguinario di Mel Gibson, ma andateci, vi prego, e appena si fa buio in sala, profittatene. Mollate. Abbandonatevi. Lasciatevi traviare, stuprare, non fate resistenza, sono vostri quei fiati mozzati, quelle teste recise, i cuori spiantati. E per chi si contenta e gode, minimo garantito comunque, una formidabile esperienza sensoriale, due ore e più sull’ottovolante, i cinque euro meglio spesi della vita. Ma c’è dell’altro, molto altro, non solo grande cinema, nell’insostenibile foresta di Mel Gibson.
Sbirri del Codacons, ministro Rutelli, presunti psicologi di una presunta infanzia, gnomi e gnomesse di certo snobismo liquidatorio, più laido che laico, barbosi filologi della verità storica, avete preso un granchio colossale. Determinati nell’afferrare per il bavero i dormienti signori della censura, quando per una volta, grazie al loro sonno, eravamo stati il Paese più civile del mondo. Apocalypto è un film che andrebbe eventualmente vietato, e solo agli adulti, ma per la sua scandalosa bellezza, per la violenza, questa sì efferata, degli sguardi e delle parole. Uno spartito di un lirismo selvaggio, che non dà scampo dall’inizio alla fine. Tutti gli sguardi e tutte le parole di cui non siamo più capaci. La paura e il dolore.
Splatter? Tutto meno che splatter. Non c’è un’immagine superflua. Non c’è una parola che non valga la pena d’essere ascoltata. La lingua dei Maya è pura evocazione. Il vecchio saggio che parla alla tribù: «Il buco dell’uomo, la sua ferita, è non smettere mai di desiderare». Millenni prima di Jacques Lacan. Mel Gibson un sadico? Non c’è sadismo dove c’è compassione. Sono gli sguardi compassionevoli di cui non siamo più capaci. «Torna da me», supplica lei bambina incinta dal fondo del pozzo al suo uomo disperso nella foresta. Un film che è tutta un’invocazione, a noi che non sappiamo più invocare. «Dormi adesso figlio mio. Non ci sarà più dolore», dice il guerriero più feroce al figlio morente. Mel Gibson uno psicopatico? Non più di chi se ne sta la sera a casa a spolpare che importa se un fegato d’oca o un cuore di tapiro, mentre un tale a Baghdad lo impiccano a vista tra una notizia sul ritorno dalle vacanze di Giorgino e uno sculettamento a caso delle veline. Non è questa apatia indifferenziata, l’essenza del sadismo?
Cinema primordiale forse, ma non rozzo e nemmeno elementare. Ossessionato a mostrare l’orrore e la fragilità della carne, ma ancora di più ossessionato a mostrare lo struggente delirio simbolico con cui gli uomini ci provano da sempre a nobilitare la loro orrenda e fragile storia priva di senso. Almeno per questo Apocalypto dovrebbe essere proiettato nelle case, nelle famiglie e nelle scuole, dove gli insegnanti avrebbero finalmente qualcosa da insegnare
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