Scuola e metodo
All’inizio del lavoro sul nuovo testo di Scuola di comunità, Il cammino al vero è un’esperienza (Rizzoli, Milano 2006), proponiamo gli appunti da due conversazioni con Luigi Giussani. 1993 e 1997
La Scuola di comunità e la presenza
Sintesi di un raduno di responsabili del Cle con don Giussani. 1993
1. La Scuola di comunità è lo sviluppo di una esperienza che comincia prima della Scuola di comunità, di un avvenimento che è sempre prima della Scuola di comunità: viene prima della prima pagina e viene prima di qualsiasi pagina e viene prima di qualsiasi frase di qualsiasi pagina.
C’è qualcosa che viene prima della Scuola di comunità: se tu vivi questo qualcosa che viene prima, se sei dentro, se sei innestato, se sei immerso in esso, allora la Scuola di comunità vibra e, parlandone, comunichi agli altri una esperienza vivente, comunichi una vita: altrimenti usi parole, rovesci addosso ai ragazzi solo parole tue.
2. Il problema, non ancora sufficientemente chiaro, è la necessità di affondare le radici di tutto il nostro muoverci dentro una coscienza di appartenenza a una realtà totalmente nuova.
Se cercassimo di reperire il fondamento e i criteri delle nostre azioni fuori dall’energia consacrata dalla presenza di Cristo e dalla sua Chiesa, ultimamente diventeremmo come foglie agitate dal vento: allora l’instabilità, il risentimento e una impotenza ultima qualificherebbero il nostro agire.
L’osservazione per un cristiano è totalizzante. Non si può, perciò, parlare di educazione dell’uomo o di creazione dello strumento stabile per l’educazione (la scuola) senza che il fondamento da cui attingere i criteri, gli sviluppi prospettici e il luogo da cui speriamo l’energia sufficiente per attuarli, sia altro che la Chiesa di Dio, così come essa vive - per grazia dello Spirito - in noi e attorno a noi nella compagnia a cui il Signore ci ha consegnati, come ha detto con una frase bellissima il cardinale Ratzinger commentando la Lettera di san Paolo ai Romani (Rm, 6).
«La compagnia cui il Signore ci ha consegnati». Il fondamento di partenza, la sorgente dei criteri, quindi della forza e dei criteri che se ne sviluppano, la stessa modalità costruttiva devono partire di qui. Il principio formale, la forma del fondamento dei criteri deve partire dalla coscienza dell’appartenenza a questa realtà, alla realtà di Cristo, così come ci tocca nella compagnia a cui ci ha consegnati. È un principio da tenere ben presente quando si parla in qualunque modo di cultura, di costruzione della società e di educazione dell’uomo, è un punto di partenza senza possibilità di ritorni e di equivoci.
3. La regola per approfondire l’avvenimento che ci ha colpiti in modo persuasivo è il seguire. Seguire vuol dire impegnare la propria personalità con ciò che ci ha incontrato. Ci sono tanti modi per vivere la vita di Cristo; la storia della Chiesa ne è un esempio. L’incontro con una realtà diversa, più imponentemente persuasiva e più ricca di promessa, è un aiuto particolare che ci è stato dato per amare e testimoniare ciò che è accaduto nel mondo: Dio è diventato uomo.
Come si fa a vivere ciò che è accaduto? Seguendo ciò che si è incontrato, con tutto il proprio io, con tutta la personalità, con l’intelligenza, l’affettività e l’energia decisiva della propria libertà. Si tratta di non confondere la già fragile nostra capacità di resistenza, di non confonderla ulteriormente andando dietro a tanti maestri. Solo seguendo quel maestro che il Signore mi ha fatto incontrare l’obbedienza può dilatarsi come fatto storico. Altrimenti nella Chiesa non ci sarebbe la ricchezza che c’è, morirebbe la singolarità della nostra faccia. È necessario non confondere la nostra fragilità scegliendoci i maestri, come dice san Paolo nella Lettera ai Tessalonicesi: «Scegliendo noi i maestri secondo il prurito del nostro orecchio o il piacere che ci fanno». Ciò in cui ci siamo imbattuti è qualcosa di oggettivo.
4. Fattori fondamentali dell’esperienza
a) Il metodo della testimonianza.
Il metodo della testimonianza è la presenza nell’ambiente come vita di un soggetto umano nuovo: la domanda nasce dalla curiosità che suscita il vedere due o venticinque che vivono in modo diverso.
Nella presenza dentro l’ambiente, l’aiuto più grande viene dall’uso della Scuola di comunità. Ma come si fa a fare Scuola di comunità senza domandare Dio? Senza preghiera? Come si fa a fare Scuola di comunità senza cercare di capire? Senza iniziare a capire la corrispondenza con la nostra esperienza personale? Come si fa a fare Scuola di comunità senza avvertire la logica interna del testo? E come si fa a fare Scuola di comunità senza che venga voglia di dire al proprio compagno: vieni anche tu!
Perciò, la preghiera, la comprensione che arrivi a toccare fino all’affettività del cuore e la passione di comunicazione sono parti integranti di una Scuola di comunità. Non è Scuola di comunità se mancano questi fattori.
b) La verifica.
La verifica è una parola che non si deve usare invano perché è piena di peso, «pesante», come è «pesante» la ragione; è il metro con cui la ragione cammina verso le sue certezze, fa la sua strada. La verifica è un lavoro, è il paragone della proposta con le esigenze costitutive del cuore.
In che modo avviene questo paragone?
È un soggetto che genera un rapporto, che genera, quindi, un fenomeno nuovo in cui il ragazzo si sente preso dentro e da cui il ragazzo si sente investito. Per questo il primo fattore di risposta è che ciò che proponi sia vita per te, è che tu sia responsabile di quel che dici, consapevole del perché lo dici, che ti sia ben chiaro che la verità è adequatio rei intellectus, vale a dire che è vero ciò che corrisponde alle esigenze fondamentali del cuore e alla coscienza di sé.
Tu devi aver fatto esperienza di questo, devi cercare di fare esperienza di questo e devi chiedere allo Spirito la capacità di comunicarlo ai ragazzi perché c’è una sproporzione tra quel che senti, quel che vedi e quello a cui aderisci e il mistero della libertà e dell’anima del ragazzo. C’è una sproporzione tra te e questo mistero che ti fa venire tremore, che ti fa sentire la tua incapacità. Perciò tu devi pregare. Se fai questo, allora la risposta alla esperienza che proponi emerge, come Dio vuole, secondo la disponibilità della libertà dell’allievo e secondo anche la capacità mentale dell’allievo.
Tu proponi qualcosa come chiara espressione di un tuo contenuto di vita e chiedi al ragazzo di riflettere, di pensare, di paragonarsi bene con quello che tu dici e di vedere se corrisponde con ciò cui il suo cuore è destinato. È lui che deve percepire questa adeguatezza, questa corrispondenza della proposta alla vita; deve percepirla, cioè riconoscerla lui. Per fargliela riconoscere è molto importante suggerire che faccia il paragone anche col contrario; cioè, fuori da questa proposta come può risolvere gli impeti del suo cuore? A questa natura sua come può dar risposta? Deve essere il ragazzo a percepire che fuori da questa proposta trova solo cenere, solo il nulla. Deve essere lui a capire che fuori di qui non trova risposta, ma il tentativo di sfruttarlo, di possederlo, di usarlo, sentimentalmente e politicamente.
La responsabilità è la risposta che il ragazzo dà. Una dialettica nel rapporto, una continua sollecitazione a chiarire il significato e le ragioni della proposta sono importanti in quanto aiutano la responsabilità ad essere cosciente.
Tutto questo movimento nel rapporto è essenziale perché il ragazzo possa dire di sì, dire di no, o restare nel dubbio senza colpa.
Perciò non è detto che la calorosità o la chiarezza della proposta trovino una risposta positiva. Abbiamo sempre chiamato l’educazione «rischio educativo» perché è il confronto con una libertà che deve muovere la ragione e deve muovere l’affettività.
c) Una compagnia educativa.
Ci sono tante compagnie; non dico: «scegliete» ma aderite alla compagnia in cui Cristo vi ha messo, che Cristo vi ha fatto incontrare, a quella che per prima vi ha colpito con persuasività.
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Una presenza che muove
I fattori costitutivi della Scuola di comunità
Appunti sintetici da una conversazione con don Giussani. 1997
L’inizio dell’esperienza è l’incontro con una realtà umana diversa. Una Scuola di comunità che ne prescindesse sarebbe ideologia o astrazione.
Nella Scuola di comunità si deve certo parlare della vita, ma alla luce dell’esperienza nuova incontrata. Altrimenti si parla della vita così come la si pensa, la si sente, così come essa fa reagire in termini naturali, comunque secondo un criterio diverso dall’appartenenza.
La Scuola di comunità è lo strumento principale della vita nuova, del modo nuovo di perseguire lo scopo dell’io nuovo.
Chi guida
Tutto dipende da chi guida la Scuola di comunità. Se chi la guida è una presenza, allora l’intelligenza e l’affettività vengono mosse in modo diverso. La novità guida. Se invece fa una lezione, non è una presenza, non muove. Tutt’al più muove una dialettica, una discussione, un succedersi di pensieri. E l’indomani, alzandosi al mattino, tutto quel moto di pensieri non c’entra più con l’esistenza.
A. Il sintomo che la Scuola di comunità è guidata è che uno esce diverso da come è entrato.
B. La Scuola di comunità deve rappresentare uno sviluppo dell’incontro fatto: in essa continuamente viene riassunta e superata tutta la vita del movimento.
C. Senza esistenzialità (nesso tra la parola e il reale) non si può fare Scuola di comunità: solo così è espressione di un’esperienza. Se non porta almeno all’individuazione di qualcosa da cambiare e, quindi, al desiderio di fare accadere questo cambiamento, non può trattarsi di Scuola di comunità.
Come si fa Scuola di comunità?
Come preghiera. Poiché la Scuola di comunità deve riassumere il fenomeno stesso del movimento nel suo sviluppo, ricordiamoci che non c’è ricerca della verità sul Destino, su Dio, senza preghiera. Pregare, quindi, all’inizio del raduno.
Occorre pregare anche durante il raduno, come modalità d’animo in chi domanda e in chi risponde: come posizione di umiltà, lieta e sicura di ciò che porta.
La preghiera diventa anche scoperta della necessità del sacramento, nel quale l’avvenimento iniziale ridiventa presenza.
Come si svolge Scuola di comunità?
Innanzitutto è una scuola: un luogo e un metodo in cui si impara.
Imparare vuol dire aumentare la coscienza del reale.
Imparare implica capire il testo nel suo significato, cioè nel suo rapporto col reale e nelle ragioni che porta per far comprendere questo suo nesso col reale.È inevitabile che per capire si debba ripetere (petere ad=tendere a): aumentare l’attenzione. Ripetere con attenzione equivale a vedere.
Quando si capisce? Nella misura in cui si sperimenta la corrispondenza delle parole che si leggono e che si sentono con quel che si vive.
Così il reale, nella misura in cui vien fatto accostare, diventa epifania della coscienza dell’appartenenza.
Quattro punti di lavoro
I) Lettura intelligente, attenta alla modalità del rapporto con le cose, ai giudizi che fa nascere, alle ragioni che dà.
II) Comunicazione dell’esperienza (tutto può entrare), in paragone col testo.
III) Una cultura che si sviluppa. La sorgente delle motivazioni e dei criteri deve nascere dall’interno della natura dell’esperienza e non deve venire dal di fuori. Si è tanto più geniali quanto più si penetra nell’avvenimento che ci ha colti, quanto più si segue.
IV) La sintesi di chi guida: esempio comunicato dello sviluppo di esperienza che chi guida ha fatto durante l’avvenimento della Scuola di comunità.
L’esito comunicativo
Da una Scuola di comunità così concepita e vissuta nasce un impeto affettivo di comunicazione che ha tre flessioni:
a) testimonianza e missione;
b) attenzione ai bisogni, carità fino alla consistenza organica di opere;
c) cultura: l’impeto affettivo di comunicazione ispira fantasia, cammini di giudizio, scoperte logiche, con tutti gli strumenti necessari che ne nascono
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