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La relazione primordiale tra Dio e l'uomo nel Cattolicesimo e nell'Islam
Intercultural Forum for Studies in Faith and Culture - Relazione Card. Scola, Washington, 16 gennaio 2007, Centro culturale Giovanni Paolo II
Card. Angelo Scola Patriarca di Venezia 1. La reciproca appartenenza di persona umana e mondo
a) Dio o il caso?
«Il Tutto (to olon) o è Dio o è il caso (to eikèi); in un modo o nell'altro non essere anche tu a caso» (1). Questa affermazione dell'affascinante figura dell'imperatore Marco Aurelio, cui il premio Nobel Marguerite Yourcenar ha dedicato il suo indimenticabile capolavoro, può essere più che mai assunta come emblema della posizione in cui versa l'uomo post-moderno nel pensare le inestirpabili questioni: da dove vengo?, dove vado?, «ed io che sono?» (2).
L'affermazione consta di due parti. Nella prima è in qualche modo individuato il bivio aporetico oggi di grandi attualità: Dio o il caso? L'argomento a fortiori dell' imperatore filosofo espresso nella seconda parte, in un modo o nell'altro non essere anche tu a caso, pare a molti oggi l'unico dignitoso e ragionevole. A differenza di quanto è avvenuto fino a Kant, le dimensioni antropologiche ed etiche della cosmologia (oggi ormai inseparabile dalla cosmografia e dalla cosmogonia) sembrano del tutto impensabili. Non vi sarebbe alcuna saggezza del cosmo(3), e l'uomo sarebbe in senso letterale im-mondo. Che senso avrebbe mai parlare di "Dio" o di "caso"?
A ben vedere anche il talora aspro dibattito tra evoluzionisti e fautori del disegno intelligente, al di là delle ipotesi e degli argomenti sostenuti da entrambe le parti, pone come centrale il problema se la cosmologia possieda ancora un fondamento antropologico ed etico. «Ciò che noi non sappiamo più, è in che cosa sia moralmente bene che ci siano uomini al mondo; e, ad esempio perché sia bene che vi continuino ad essere: la loro esistenza vale i sacrifici che costa? Alla biosfera, ai loro genitori, a loro stessi?»(4).
b) La saggezza del mondo
È necessario essere consapevoli che è in questo contesto che gli uomini delle religioni sono chiamati a parlare di Dio e di una Sua primordiale relazione con la persona umana. Anzitutto conviene osservare che, dato e non concesso che tanto tempo fa l'esistenza sia stata il risultato di un caso, oggi non è più così. Infatti la tecnica (che non è certo assimilabile al caso) oggi non è più solo ciò che ci permette di sopravvivere, ma è sempre più tout-court ciò che ci permette di vivere. La nostra esistenza stessa dipende in gran parte da conoscenze scientifiche e dal dominio tecnico della natura.
La domanda di senso che Comte vietava di porre rispunta inesorabile, come a primavera qualche ciuffo d'erba spunta anche nelle più desolate langhe. Non si tratta di evitare la domanda sul rapporto primordiale tra Dio e la persona umana. Si deve piuttosto formularla con realismo. Ciò comporta il ripensare la reciproca appartenenza tra mondo e persona umana, ripensando l'idea di mondo e l'idea di uomo, per ritrovare la perduta saggezza del mondo. Cosmocentrismo ed antropocentrismo non possono più andare separati, né tanto meno possono essere posti in alternativa se si vuol riflettere adeguatamente sulla relazione originaria tra Dio e persona umana. Infatti un mondo che non sia situato dalla parte del soggetto non è sufficientemente mondano per l'uomo. Lo rammentava Pascal: «Ognuno è un tutto, a se stesso: morto lui, infatti, tutto è morto per lui»(5).
Cosa ci permette di ridare senso pieno ad espressioni elementari come "venire al mondo" o "lasciare il mondo"? Tanto più che l'istanza di ritrovare il mondo perduto con la modernità, cioè di ridare un fondamento antropologico ed etico del cosmologico, è acutamente presente nel pensiero contemporaneo, da Wittgenstein ad Heidegger(6). Vorremmo suggerire che l'esperienza religiosa e lo sforzo costante di riflessione che essa mette in campo costituisce un elemento decisivo per il reperimento del nuovo linguaggio con cui ridire la necessaria, reciproca appartenenza tra mondo e persona umana.
2. Perché la creazione?
Non dovrebbe sorprendere che la questione messa a tema (La relazione primordiale tra Dio e la persona umana) rinvii subito a quella più radicale, antica e sempre nuova: Perché Dio che non ne ha bisogno crea l'uomo come essere-nel-mondo? Lo richiede anzitutto la domanda filosofica per eccellenza. Infatti il dato proprio dell' esperienza elementare, costitutivo di ogni uomo, gli impone di riconoscere di essere limitato (io sono ma potrei anche non essere), ma la sua ragione è aperta all'illimitato. È questa distinctio realis ad essere simultaneamente all'origine del pensiero filosofico e religioso dell'umanità: gli esseri sono limitati, l'essere no(7).
Come uscire da questa divaricazione originaria? Per trovare la risposta non possiamo percorrere in questa sede tutte le tappe del pensiero occidentale da Parmenide in poi. Tanto meno considerare le soluzioni proposte dalle grandi religioni a partire da quella degli antichi egizi per giungere fino ai tentativi del buddismo, dell'induismo, del confucianesimo ed altre religioni. Prescinderemo quindi dall'esame dell'alternativa posta da Jan Assman, con il suo ormai celebre volume su Mosé l'egizio, tra monoteismo e monismo. Basterà ricordare, come è stato anche di recente osservato, che il monoteismo cristiano per limitarmi all'ambito che conosco direttamente ha potuto fare spazio ad elementi fondamentali del cosmoteismo. La necessità, prima richiamata, di ripensare la saggezza del mondo è espressione di questa convinzione. Ciò mostra, tra l'altro, l'infondatezza della tesi che le religioni monoteistiche sarebbero, a differenza delle monistiche in cui Dio è "uno e tutto", in se stesse fautrici di violenza(8). In questa sede non ci è concesso neppure - sarebbe tra l'altro presuntuoso - uno studio per così dire comparativo sulle tre religioni impropriamente dette del Libro.
Ci limiteremo a presentare sinteticamente la risposta cristiana alla domanda propostaci. Consapevoli sia del contesto culturale sia del necessario paragone cui è chiamato il dialogo interreligioso su questa questione cruciale. Essa si concentra sul nucleo incandescente dell'annuncio evangelico da cui si evince come per il cristiano sia da intendere il rapporto primordiale tra Dio e la persona umana.
3. Creazione in Gesù Cristo
Il primo capitolo della Lettera ai Colossesi confessa che in Gesù Cristo, pienezza della Rivelazione, la creazione appare in tutto il suo significato: «Egli è l'immagine del Dio invisibile primogenito di tutta la creazione; poiché in lui (en auti) sono state creati tutti gli esseri per mezzo (di autou) di Lui ed in vista (eis auton) di Lui. Egli esiste prima di tutti loro e tutti in lui hanno consistenza» (Col 1,15-17).
Questo testo afferma un duplice decisivo elemento per il nostro tema: a) il primato di Gesù Cristo nella creazione che b) deriva dalla Sua funzione di mediatore della creazione.
a) La mediazione creatrice di Gesù Cristo
La creazione, vale a dire l'azione per cui Dio pone in essere l'uomo ed il mondo, visti in differenziata continuità, e li mantiene in relazione con Sé (creatio continua), rappresenta la soluzione proposta dal cristianesimo alla divaricazione originaria tra essenze ed essere. Né dualismo, né monismo, ma partecipazione per libera iniziativa di Dio di una creatura altra da Dio all'essere di Dio. Ma come e perché nell'azione creatrice Dio resta Dio senza subire cadute, e ancor prima perché l'uomo non è Dio? Perché esiste l'essere e non il nulla? O, se si vuole, in che senso la finitudine è un positivo, la creazione un dono effettivo (grazia) e non un malheur? La strada per la risposta a queste drammatiche questioni ci è aperta anzitutto dalla Prima Lettera ai Corinti 8, 6 quando afferma che «per noi c'è un solo Dio, il Padre dal quale tutto proviene e noi siamo per Lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui». Ad essa è correlata la Lettera agli Ebrei (Eb 1, 1-2), che rilegge in chiave cristologica il tema biblico dell'azione creatrice di Dio, affermando del Figlio Gesù che è «costituito erede di tutte le cose e mediante il quale (di ou) ha fatto anche tutto il mondo».
b) Mediazione creatrice e figliolanza divina
La mediazione creatrice di Cristo è posta in relazione alla sua figliolanza divina. Lo confermano non solo Paolo (cfr. Ef 1, 3-14; Col 1, 15-20), che parla della predestinazione degli uomini ad essere figli nel Figlio Gesù Cristo, ma anche Giovanni nel prologo del Vangelo (Gv 1, 1-18). Questi testi proclamano con chiarezza che Gesù Cristo è il centro dell'unico "ordine" storicamente esistente, l'ordine di Gesù Cristo. Questo è il disegno divino. Il Nuovo Testamento assume quindi fino in fondo la prospettiva genesiaca dell'alleanza dell'unico Dio creatore rivelandolo pienezza. La luce che la rivelazione di Gesù getta sulla creazione consente di affermare che Egli non è solo il suo redentore, ma è anche il capo della creazione sulla quale esercita una precisa causalità(9). Dalle Scritture si evince con chiarezza che il rapporto tra Dio e l'uomo acquista la sua forma concreta nella figura storica di Gesù Cristo(10).
c) La "singolarità" di Gesù Cristo
L'originalità della rivelazione cristiana consiste proprio nel fatto che un avvenimento singolare - la vita, la morte e la risurrezione di Gesù Cristo rappresenta la sola possibilità perché gli uomini possano raggiungere la loro piena realizzazione (vita eterna). Le cose stanno in questo modo perché quella di Gesù Cristo è l'umanità storica, unica ed irripetibile (singolare appunto!) del Figlio di Dio(11). La storicità di tale avvenimento non è deducibile da una legge generale (gnosi), tanto meno è dovuta ad una necessità interna al processo storico globale, foss'anche segnato da un venerdì santo speculativo (Hegel). Essa non è neppure un fatto casuale. Quella dell'evento di Gesù Cristo è la storia precisa e documentata di Gesù di Nazareth figlio di Maria. È una storicità simultaneamente unica e per sempre (efapax). Gesù Cristo è l'universale concretum et singulare(12). Per questo è il centro del cosmo e della storia(13). Il Figlio unigenito è mediatore della creazione in forza di questa sua singolarità per la quale il suo essere un evento nella storia costituisce l'adeguata manifestazione, dedizione ed affermazione di Dio. Questo è il contenuto confessato nel mistero (dogma) della figliolanza divina di Gesù Cristo. Nell'orizzonte cristiano il tema della creazione impone la concezione trinitaria di Dio. Un Dio non trinitario non avrebbe potuto creare. La mediazione creatrice di Gesù Cristo dipende totalmente dal carattere filiale e trinitario della sua divinità ed è esercitata solo all'interno delle relazioni trinitarie che lo costituiscono come Figlio dall'eternità. Per questo motivo la mediazione creativa di Gesù Cristo rivela un nesso costitutivo tra la creazione ed il mistero trinitario di Dio(14).
4. Il principio trinitario della creazione(15)
a) Singolarità di Gesù e creazione dal Deus Trinitas
La tesi fondamentale del principio trinitario della creazione non è stata quasi mai negata esplicitamente lungo la storia del pensiero cristiano, ma per svariate ragioni non ha sempre ricevuto l'attenzione necessaria(16).
Consideriamo con attenzione i fattori ora richiamati. Anzitutto il fatto che la singolarità di Gesù Cristo implica la Sua divinità filiale e la Sua piena umanità. In secondo luogo il rapporto tra la Sua singolarità e la mediazione creatrice. Si scopre che il Figlio rivela la Sua figliolanza, ovvero la sua differenza dal Padre, proprio nella piena umanità di Gesù e questa figliolanza manifesta che l'identità divina di Gesù implica misteriosamente la presenza di un Altro, generato da sempre. La rivelazione indica così l'umanità creata assunta dal Figlio come l'unico possibile accesso al mistero del Deus Trinitas. D'altra parte la mediazione creatrice di Gesù Cristo permette di affermare che la ragione di ogni comunicazione divina ad extra, ivi inclusa la creazione, è posta all'interno dell'originale differenza trinitaria. Se il Padre si dona per intero al Figlio nello Spirito, l'atto creatore dovrà allora intendersi come compreso in questa comunicazione trinitaria(17): essendo il Figlio l'Immagine del Padre, di conseguenza, è immagine anche di tutto ciò che attraverso di Lui sgorga per lo Spirito, pertanto anche di tutto il creabile(18).
In questa prospettiva le ragioni della distinzione della persona umana e del mondo da Dio emergono dalla considerazione della vita che fluisce senza limite all'interno della stessa Trinità: nel distinguersi del Figlio eterno dal Padre sta anche il fondamento ontologico dell'esistenza della creatura nella sua diversità dal Creatore(19).
b) Bonaventura e Tommaso
In questa linea si colloca obiettivamente l'esemplarismo di Bonaventura: «Necessariamente, se vi è la produzione del dissimile, va presupposta la produzione del simile, cosa che si dimostra così: il simile si relaziona al dissimile, come l'identico al diverso, come anche l'uno ai molti; ma, necessariamente, l'identico precede il diverso e l'uno i molti; dunque, la produzione del simile precede la produzione del dissimile. Ma la creatura deriva dal primo essere ed è dissimile: dunque necessariamente è prodotto il simile, che è Dio [] similmente, dunque, dalla sostanza eterna non si origina il differente, se non viene prodotto il sostanzialmente uguale: dunque in Dio la produzione del simile, dell'eguale, del consostanziale è prima della produzione del dissimile, dell'ineguale, dell'essenzialmente differente»(20).
Alla luce di questi accenti si comprende il senso del rapporto esemplare che l'Angelico scorge tra il procedere delle persone e quello delle creature, secondo l'espressione, pur soggetta a varianti, «oportet processionem personarum, quae perfecta est, esse causam et rationem processionis creaturae»(21).
Ancora più importante è però la tesi, presente soprattutto nelle Quaestiones disputatae de Potentia Dei dell'unità obiettiva di potentia generandi e potentia creandi: «Sic ergo potentia generandi et creandi est una et eadem potentia, si consideretur id quod est potentia; differunt tamen secundum diversos respectus ad actus diversos»(22). Tale unità è sostenuta a partire dalla pura attualità dell'essere divino, caratterizzato dalla tensione a comunicarsi e parteciparsi: qui il nesso tra l'essere trinitario e creatore di Dio appare radicato nel cuore stesso della sua costituzione ontologica.
c) La novità della nozione cristiana di creazione
Affermare che il permanente evento intratrinitario spiega ogni differenza, ivi compresa la piena distinzione da Dio della realtà creata, esprime sinteticamente la radice ultima della novità della nozione cristiana di creazione. È importante notare, per inciso, che tale novità incontra l'interrogativo decisivo per ogni uomo ed ogni cultura, che abbiamo aperto all'inizio, sul senso ultimo e sul fondamento del reale, cioè sulla divaricazione originaria essenze/essere. La rivelazione cristiana mostra allora, attraverso la singolarità di Gesù Cristo come il principio cristologico e quello trinitario della creazione convergano pertanto in una unica figura teologica. Questi due principi rappresentano di fatto gli elementi fondanti una teologia della creazione che vuole assumere fino in fondo la novità della Rivelazione cristiana.
5. La persona umana e il suo rapporto con Dio creatore
a) «Figura di Colui che doveva venire»
Su questo sfondo acquista speciale rilievo l'originale parallelo paolino tra Cristo e Adamo: Adamo può essere considerato come «figura di colui che doveva venire» (Rm 5, 14) solamente se il capo (principio) della creazione non è Adamo, ma Cristo(23).
Questa affermazione paolina è totalmente giustificata dal fatto che, nell'intellectus fidei della creazione, si rivela la dipendenza dall'avvenimento di Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo. La Rivelazione mostra la "ragion d'essere" dell'uomo proprio nel suo esistere in Cristo. Dio, volendo comunicare all'uomo tutto il senso della realtà creata, lo conduce a rendersi conto del nesso che esiste tra la creazione dell'uomo e Gesù Cristo.
b) Redenzione compimento della creazione
La creazione, inserita nel disegno salvifico, spiega il significato dell'uomo nuovo - e correlativamente della nuova creazione - cui conclude l'opera redentiva di Cristo nella historia salutis(24).
In altri termini, si può dire che per Paolo la creazione trova nella redenzione il suo vero compimento. Così si può guardare alla prima e alla nuova creazione non come a due realtà che si succedono meccanicamente, ma che si includono reciprocamente: la seconda assume la prima e le offre piena ragionevolezza. La prima, in se stessa, non potrebbe che restare incompiuta e non adeguatamente intelligibile. D'altro canto, la traiettoria storico-salvifica si sviluppa secondo un piano concepito «prima della fondazione del mondo» (Ef 1, 4), che si realizza «nella pienezza dei tempi» (Ef 1, 10). A partire dalla nuova creazione Cristo si rivela come il Capo della creazione stessa(25): la solidarietà di Cristo con tutti gli uomini fino al suo morire per noi, ha il suo fondamento nella creazione di tutti gli uomini in Cristo(26).
b) Antropologia drammatica
Nella novità singolare di Gesù Cristo (Rivelazione cristiana) le domande costitutive dell'antropologia (chi sono?, perché sono uno di anima e di corpo, di uomo e di donna, di individuo e di società?) trovano lo sbocco adeguato. Lo conferma la celebre formulazione del Concilio Vaticano II che asserisce l'umanità di Gesù Cristo come forma compiuta dell'umano: «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione» (GS 22)(27). In quanto l'uomo è un io sempre in azione che può porsi la domanda sulla sua essenza solo dall'interno della sua esistenza (riaffiora il tema della distinctio realis o differenza ontologica) ogni antropologia adeguata è drammatica(28).
6. Imago Dei e figliolanza
a) Ad immagine perché figli
Nella prospettiva tracciata si può comprendere il rapporto primordiale tra Dio e la persona umana secondo il Cristianesimo. Esso è sinteticamente riconducibile al grande tema di origine genesiaca dell'imago Dei nutrito dagli elementi che abbiamo sinteticamente enucleato. Il contributo che la teologia cristiana dell'imago Dei offre alla riflessione antropologica, può essere così sintetizzato: quanto l'Antico Testamento svela circa la singolare natura ricevuta dalla creatura umana in forza della sua peculiare relazione con Dio, si precisa compiutamente come figliolanza nell'evento di Cristo. L'uomo è dunque una creatura voluta per vivere come figlio di Dio, secondo la "forma" (figura) propria dell'Unigenito Figlio che è Gesù Cristo(29).
È importante mettere in rilievo che tanto la nozione di immagine quanto quella di figliolanza sono utilizzate nella Rivelazione secondo una prospettiva profondamente unitaria, sia in riferimento all'uomo, sia in riferimento a Gesù Cristo. Questo suggerimento è prezioso per orientare la riflessione antropologica, la quale, pur dovendo tener conto delle polarità costitutive (anima/corpo, uomo/donna, individuo/società) non può però rinunciare ad una comprensione unitaria di tutto l'uomo.
b) Figliolanza e libertà
La lettura dell'imago in chiave cristologica, che la fa coincidere con la scoperta che il Dio Unitrino chiama l'uomo ad essere figlio nel Figlio(30), spiega adeguatamente l'essere singolare proprio di ogni uomo. Tale figliolanza infatti postula il riconoscimento della libertà personale come insuperabile (intrascendibile) in ogni atto del singolo. Guardando alla singolare persona di Gesù Cristo si vede che Egli è se stesso in quanto è totalmente per un altro. Egli manifesta nella sua morte libera in croce (sponte: Anselmo) la verità di Dio come inseparabile dalla decisione della libertà dell'uomo Gesù di Nazareth(31). Ne deriva che la libertà di quest'uomo è direttamente e intrinsecamente implicata nella manifestazione della verità di Dio. E così l'evento di Gesù Cristo è redentore in quanto mostra come l'uomo non possa attingere la verità della propria persona indipendentemente dall'esercizio storico concreto della propria libertà. Egli deve positivamente decidere di uscire da sé per aderire all'iniziativa divina che lo interpella. Il fatto stesso che il suo volere sia illimitato ma il suo potere limitato gli dice che il nucleo ultimo della sua soggettività gli resta inattingibile, così che quando del tutto gratuitamente l'evento Cristo gli si propone come risolutore di questo enigma, l'uomo deve porsi come protagonista di questa decisione. L'approfondimento del contenuto della persona umana come libera figliolanza permette ora di concludere con due notazioni sintetiche.
c) Vivens homo
In primo luogo si comprende che l'avventura dell'uomo alla ricerca del significato di sé e del mondo non può mai consistere in una risposta deducibile da una teoria: se è nella storia che il Verbo incarnato svela pienamente l'uomo all'uomo, quest'ultimo può attingere alla sua ultima consistenza solo come esperienza nella storia. La celebre espressione di Ireneo: «Gloria enim Dei vivens homo, vita autem hominis visio Dei»(32) esprime icasticamente questo dato. Solamente in quanto è sempre in azione (vivens) l'uomo può dare gloria a Dio, ovvero condurre la propria esistenza secondo il prestabilito disegno del Padre che ha fatto tutte le cose a Sua Gloria, cioè in Cristo. Soltanto in questa prospettiva l'uomo scopre se stesso e il significato esauriente della sua esistenza e di quella del mondo nel volto buono del Mistero (visio Dei) che lo ha creato perché fosse suo figlio in Cristo.
d) Liberi davvero
In secondo luogo si comprende che la "stabilizzazione" delle tensioni costitutive dell'uomo realizzata nel Crocifisso Risorto, non elimina, anzi esalta la fisionomia drammatica dell'esistenza umana, giacché l'evento di Gesù Cristo svela all'uomo il supremo paradosso della sua esistenza. Ciò su cui si decide la verità della sua vita non è soltanto l'equilibrio delle diverse polarità creaturali delle quali egli si sorprende costituito, ma anche l'essere stato voluto e creato da Dio per partecipare della vita stessa dell'Unitrino nella contingenza della sua esistenza. Tutto ciò il Padre lo offre alla persona umana, al mistero inviolabile della sua libertà e responsabilità, domanda la sua personale decisione: la consapevolezza di questo dono apre alla drammatica e misteriosa coscienza che in ogni atto della persona umana è sempre in gioco l'affermazione libera del proprio destino, consapevolmente voluto, o la sua negazione che diventa il perdersi nell'alienazione da Dio stesso(33).
Acutamente Balthasar afferma che Gesù Cristo scioglie l'enigma dell'uomo ma non ne predecide il dramma(34). Nel rapporto tra Dio e l'uomo in Cristo Gesù la singola persona umana non è mai assorbita, nessuno dei suoi atti le viene sottratto(35): la persona umana è davvero libera.
7. Creazione e dialogo
a) Il "perché" della creazione
Il percorso compiuto, in maniera troppo scarna, ci permette ora di concludere tornando alla questione di partenza: perché Dio che non ne ha bisogno crea l'uomo ed il mondo? Perché io non sono Dio? Perché c'è l'essere e non il nulla?
In Cristo Gesù siamo stati condotti a riconoscere che in Dio vive l'Uno, l'Altro e l'unità feconda dei Due. Il dogma trinitario ci dice che Dio è amore. Se in Dio stesso trova posto l'Altro, il Figlio, allora la creazione può essere pensata(36). E non si è costretti ad un dualismo insuperabile né a considerare l'origine della persona umana e del mondo una caduta panteistica. La creazione è il dono di Sé mediante il quale Dio liberamente pone e mantiene nell'esistenza esseri distinti da sé lasciando in tutto la Sua impronta. Da così vita alla persona umana fatta a Sua immagine. «E poiché il Figlio è icona eterna del Padre potrà assumere in Sé, senza contraddizione l'immagine rappresentata dalla creatura; purificarla senza eliminarla; introdurla nella communio della vita divina»(37).
b) Le decisive istanze di Israele e dell'Islam
Le due decisive istanze di Israele e dell'Islam sono tenute in conto come due permanenti e salutari richiami alla verità dell'esperienza cristiana. Anche il cristianesimo infatti dice i loro due grandi sì: all'ineliminabile distanza tra Dio e la creatura - costantemente fatta presente dalla fede islamica - e alla necessità che l'uomo accolga la libera e gratuita autorivelazione di Dio nella storia e attraverso la storia nucleo diamantino della fede ebraica. In nessun caso la fede cristiana parla né di essenziale divinizzazione della persona né di sostanziale annullamento della creatura. Nella proposta cristiana sono ricompresse anche le istanze del buddismo e dell'induismo e le etiche del confucianesimo e dello scintoismo. Tutto ciò senza negare le importanti differenze che il cristianesimo instaura sia verso i due "monoteismi" proprio perché quello cristiano è un monoteismo trinitario - sia verso ogni altra concezione religiosa dell'umanità.
c) La fede liberante nell'Innocente crocifisso
Tuttavia il confronto appassionato sui contenuti, che non può mai nell'umana agorà rinunciare al principio che chi spiega di più ha più ragione, non rivela alcuna pretesa di dominio che sotto qualsiasi forma generi violenza. Il corretto rapporto tra ragione, fede e religione più volte indagato da Benedetto XVI costituisce in questo senso una preziosa garanzia(38).
Il cristianesimo è la fede nell'Innocente crocifisso. Questo e solo questo deve testimoniare il cristiano a tutti gli uomini, ben convinto che solo per il dono della fede e non per una qualsivoglia forma di gnosi egli conosce un poco in Gesù Cristo il volto trinitario di Dio. Senza rinunciare al paragone sui contenuti il cristiano sa bene che testimonianza significa comunicazione da libertà a libertà. Si affida, nel dialogo interreligioso, così come nel rapporto con tutti i fratelli uomini, al Dio che guida la storia attento alle circostanze e ai rapporti che tramano la realtà per cogliere gli appelli al vero, al bene e al bello Dio stesso vorrà comunicare.
A questa visione dell'amore che ama per primo senza nulla chiedere in cambio, che ama in ogni istante come se fosse l'ultimo istante come documenta Colui che innocente si è lasciato inchiodare al palo ignominioso della croce mentre lo Spirito lo teneva unito al Padre, si rifà il cristianesimo per illustrare il rapporto che lega Dio ad ogni singola persona umana dal concepimento fino alla morte naturale. Il Padre ci crea avendo davanti a Sé l'immagine perfetta di persona umana: Gesù Cristo morto e risorto. L'originario atto di amore, che è la creazione in Gesù Cristo, non si ferma neppure di fronte all'umana pretesa di autosoteria (peccato originale). Gesù Cristo, Verità vivente e personale, si lascia immolare dalla libertà finita dell'uomo per offrirgli la redenzione. Nel suo amore cancella il nostro peccato, ed offre alla nostra libertà, che deve decidere, la possibilità di essere nuova creatura.
La persona umana ed il mondo hanno un senso. La finitudine non è un male, ma è il luogo dell'amore che vince la morte ed apre al per sempre.
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1. MARCO AURELIO, Meditazioni IV, 27
2. G. LEOPARDI, Canto notturno del pastore errante dell'Asia, v. 89.
3. Cfr. R. BRAGUE, La saggezza del mondo. Storia dell'esperienza umana dell'universo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005.
4. Ibid., 334.
5. «Chacun est un tout à soi-même, car, lui mort, le tout est mort pour soi», Pensieri 139 (457 nell'edizione di Brunschvigg), in PASCAL, Pensieri, a cura di A. Bausola, Rusconi, Milano 1993, 99.
6. Cfr. BRAGUE, La saggezza, 345-348.
7. Cfr. A. SCOLA G. MARENGO J. PRADES, La persona umana, Jaca Book, Milano 2000, 58-59; cfr. H. U. VON BALTHASAR, La mia opera ed Epilogo, Jaca Book, Milano 1994, 88-89: «non c'è bisogno di dire che ogni filosofia umana (eccetto quella dell'ambito biblico e dell'ambito da essa influenzato) è nello stesso tempo essenzialmente religiosa e teologica, poiché pone una domanda dell'essere assoluto, sia esso pensato in categorie personali o meno () Nessuna filosofia potrà mai dare una risposta soddisfacente a questa domanda. Paolo dirà ai filosofi che Dio ha creato l'uomo perché cerchi il divino, si sforzi di raggiungerlo. Per questo ogni filosofia precristiana è al suo vertice teologica. Ed effettivamente la filosofia può avere una risposta autentica solo dall'essere stesso in quanto le si rivela. L'uomo sarà in grado di accogliere questa rivelazione? () Non si dà, quindi, mai teologia biblica senza filosofia religiosa. La ragione umana deve essere aperta all'infinito».
8. Cfr. J. ASSMANN, Mosé l'egizio. Decifrazione di una traccia di memoria, Adelphi, Milano 2001. Un'interessante replica alle tesi di Assmann - già esaminate da J. RATZINGER in: Fede, verità, tolleranza, in G. P. MILANO E. W. VOLONTÉ (a cura di), Per una convivenza tra i popoli, Cantagalli, Siena, 2003, 111-134 - si può trovare in K. MUELLER, Dio fra monoteismo e monismo, in «Il Regno. Attualità» (2006) n. 18, 641-650. L'ormai celebre discorso di Benedetto XVI all'università di Regesburg ha indirettamente ben presente tutta questa problematica.
9. Cfr. G. BIFFI, Approccio al cristocentrismo, Jaca Book, Milano 1994; ID., Il primo e l'ultimo. Estremo invito al cristocentrismo, Piemme, Casale Monferrato 2003.
10. Gaudium et spes 22: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5, 14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è "l'immagine dell'invisibile Iddio" (Co1, 15) è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo».
11. «Il cristocentrismo connota propriamente la cristologia che ha per oggetto Gesù di Nazaret e che, presa nella sua intenzione più profonda, esprime la «singolarità» di Gesù. Ora tale singolarità di Gesù s'accorda propriamente con la rivelazione della Trinità, poiché essa si definisce, da un lato, mediante la relazione singolare di Gesù stesso con il Padre e con lo Spirito Santo e di conseguenza, dall'altro, mediante la condizione singolare secondo cui Gesù esiste con e per gli uomini», COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Teologia - Cristologia - Antropologia, in «La Civiltà Cattolica» 134 (1983), I, 1.3, 53.
12. L'espressione proviene da Nicolò Cusano. Sul tema si veda H. U. VON BALTHASAR, Gloria. Un'estetica teologica. . Nello spazio della metafisica: l'epoca moderna 5, Jaca Book, Milano 19882, 187-223; ID., Teologica. Verità di Dio 2, Jaca Book, Milano 1990, 180-188.
13. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis 1: «Il redentore dell'uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia».
14. Cfr. A. GERKEN, Theologie des Wortes. Das Verhältnis von Schöpfung und Inkarnation bei Bonaventura, Düsseldorf 1963, 60. «L'unione in Cristo tra il cielo e la terra presuppone tuttavia come prima cosa la Trinità di Dio, giacché il Figlio sulla terra non può presentare la sua propria divinità (solo monofisiticamente lo si potrebbe pensare), bensì solo tradurre su piano temporale-creaturale il suo eterno rapporto col Padre», H. U. VON BALTHASAR, Teodrammatica. L'ultimo atto 5, Jaca Book, Milano 1986, 101.
15. Riprendo qui quanto affermato in A. SCOLA G. MARENGO J. PRADES, La persona umana, 78-86.
16. Si veda un panorama sintetico in W. KERN, La creazione come presupposto dell'Alleanza, in MS 4, 55-77; L. SCHEFFCZYK, Création et Providence, Paris 1967, 55-117.
17. Cfr. H. U. VON BALTHASAR, Teodrammatica.5, 70.
18. ID., Teologica 2, 155: «Se nell'identità di Dio c'è l'Altro, che è inoltre immagine del Padre e in tal modo anche di tutto il creabile, se in questa identità c'è lo Spirito, amore libero traboccante dell'Uno e dell'Altro, allora l'altro della creazione, orientato secondo il modello del divino Altro, e il suo essere in genere che deve se stesso alla liberalità intradivina, viene spinto in un rapporto positivo con Dio, un rapporto che nessuna altra religione non cristiana può sognare».
19. Cfr. BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Commentarium in I librum sententiarum, d. 7, dub. 2 [Quaracchi I, 113]; d. 31, p. 2, a. 1, q. 2 [Quaracchi I, 430-432]), già anticipato da Ruperto di Deutz - cfr. RUPERTO DI DEUTZ, De Trinitate et operibus eius, l. 1, cc. 2-3; PL 167, coll. 201-203. Si può così sostenere che «La differenza permanente di Gesù Uomo dal Dio eterno - e così pure dall'eterno Figlio - sta a significare in sostanza che il Figlio eterno non soltanto precede l'esistenza umana di Gesù, ma costituisce pure la ragione della sua esistenza creaturale. Al pari di tutte le creature anche l'esistenza di Gesù ha il suo fondamento in Dio, il Creatore del mondo. Ma diversificandosi e distinguendosi da Dio, questa esistenza si fonda sull'autodistinzione del Figlio eterno dal Padre. Così il Figlio eterno è la ragione ontologica dell'esistenza umana di Gesù nella sua relazione con Dio Padre. Ma se fin dall'eternità, quindi anche dalla creazione del mondo, il Padre non è mai senza Figlio, allora il Figlio eterno non è soltanto la ragione ontologica dell'esistenza di Gesù nella sua autodistinzione dal Padre quale unico Dio, ma anche la ragione della diversità e dell'esistenza autonoma di ogni realtà creaturale» W. PANNENBERG, Teologia sistematica 2, Queriniana, Brescia 1994, 34. Si veda anche G. GRESHAKE, Der dreieine Gott. Eine trinitarische Theologie, Freiburg-Basel-Wien 1997, 219-250.
20. «De necessitate, si est productio dissimilis, praeintelligitur productio similis; quod sic patet: simile habet se ad dissimile, sicut idem ad diversum, sicut unum ad multa; sed de necessitate idem praecedit diversum, et unum multa: ergo productio similis productionem dissimilis. Sed creatura producitur a primo esse et est dissimilis: ergo de necessitate producitur simile, quod est Deus () ergo similiter a substantia aeterna non manat differens, nisi producatur substantialiter diem: ergo in Deo prius est productio similis, aequalis, consubtantialis quam dissimilis, inaequalis, essentialiter differentis», BONAVENTURA, Collationes in Hexaëmeron XI, 9, in ID., Sermone Teologici 1, a cura di B. DE ARMELLADA, Città Nuova, Roma 1994, 218-221.
21. «È necessario che la processione delle Persone, che è perfetta, sia la causa e la ragione della processione della creatura», TOMMASO D'AQUINO, Scriptum in Sententiis I, d. 10, q. 1, a. 1, co. Si veda in proposito l'ampia indagine offerta in G. MARENGO, Trinità e creazione, Città Nuova, Roma 1990., 27-83. Suggerimenti preziosi anche in L. MATHIEU, La Trinità creatrice secondo san Bonaventura, Milano 1994; G. EMERY, La Trinité creatrice, Paris 1995.
22. TOMMASO D'AQUINO, Quaestiones disputatae de Potentia Dei q. 2, a. 6, co.; cfr. G. MARENGO, Trinità, 84-133.
23. È stato Ireneo di Lione a recepire in tutta la sua ampiezza il parallelismo paolino, decisivo per comprendere adeguatamente il nesso fra antropologia e cristologia. «Per questo lo stesso Adamo è stato denominato da Paolo"«figura di Colui che doveva venire". Infatti il Verbo, Artefice di tutte le cose, aveva prefigurato in lui la futura economia dell'umanità di cui si sarebbe rivestito il Figlio di Dio: Dio aveva cioè stabilito in primo luogo l'uomo animale, evidentemente perché fosse salvato dall'uomo spirituale. Poiché preesisteva il Salvatore, doveva venire all'esistenza anche ciò che doveva venire salvato, affinché il Salvatore non fosse inutile», IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, III, 22, 3. La traduzione di questo famoso testo è controversa. Sull'interpretazione del testo si veda: A. ORBE, Antropología de san Ireneo, BAC, Madrid 1997, 491-493; J. A. DE ALDAMA, Adam, typus futuri (San Ireneo, Advers. haer. 3, 22, 3), in «Sacris Erudiri» 13 (1962) 266-279. Altri testi di Ireneo in: Contro le eresie II , 2, 4, 126; III, 21, 10, 287-288; V, 1, 1, 411-412.
24. In proposito cfr.: 1Cor 15, 45-49; 2Cor 5, 17; Gal 6, 15; Rm 5, 12-21; 8, 19-24; Col 3, 9-10; Ef 2, 14-16; 4, 22-24.
25. Cfr. H. U. VON BALTHASAR, Teodrammatica 3, Jaca Book, Milano 1983, 33-39; 233-242.
26. Cfr. ID., Epilogo, 151-152. Sull'interpretazione teologica del morire salvifico di Cristo si veda G. MOIOLI, Cristologia. Proposta sistematica, Glossa, Milano 19952, 154-192; G. BIFFI, Soddisfazione vicaria o espiazione solidale?, in ID., Tu solo il Signore. Saggi teologici d'altri tempi, Piemme, Casale Monferrato 1987, 42-67; H. U. VON BALTHASAR, Teodrammatica 4, Jaca Book, Milano 1986, 213-336; A. SCOLA, Questioni di Antropologia Teologica, Pul-Mursia, Roma 19972, 14-19.
27. Inoltre cfr.: Gaudium et spes 12, 24, 34 e 62; Redemptor hominis 10; Fides et ratio 60; Catechismo della Chiesa Cattolica 359 e 1701.
28. «Noi possiamo interrogarci sull'essenza dell'uomo soltanto nel vivo atto della sua esistenza. Non esiste antropologia al di fuori di quella drammatica», H. U. VON BALTHASAR, Teodrammatica 2, 317.
29. Cfr. A. SCOLA G. MARENGO J. PRADES, La persona umana, 144-151.
30. Cfr. Gv 15, 8; 16, 14; 2Cor 3, 18. Cfr. E. MERSCH, La théologie du Corps Mystique t. 2, Desclée de Brouwer, Paris 19462, 9-68.
31. In proposito cfr.: F.-M. LÉTHEL, Théologie de l'agonie du Christ : la liberté humaine du Fils de Dieu et son importance sotériologique mises en lumière par Saint Maxime le Confesseur, Beauchesne, Paris 1979.
32. IRENEO, Contro le eresie, IV, 20, 7.
33. Mc 8, 36; Lc 9, 22-25.
34. H. U. VON BALTHASAR, Teodrammatica , 3, 25-53.
35. Cfr. A. SCOLA, Hans Urs von Balthasar: uno stile teologico, Jaca Book, Milano 1991, 115-118.
36. Contrariamente alla convinzione che il linguaggio della creazione «sarebbe incomprensibile», E. VOEGELIN, Anamnesi. Teorie della storia e della politica, Giuffrè, Milano 1972, 46-47.
37. H. U. VON BALTHASAR, La mia opera, 91.
38. Cfr. BENEDETTO XVI, Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni, Incontro con i rappresentanti della scienza, Regensburg 12 settembre 2006; ID., Incontro con il Corpo Diplomatico presso la Repubblica di Turchia, Ankara 28 novembre 2006.
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