Qualcosa da dire e che fa pensare
di Israel Giorgio
Tempi num.3 del 18/01/2007
Plana una grande ipocrisia sul film di Gibson. Certo, il nostro ha una propensione smodata per il sangue e le interiora, che non è indispensabile all'efficacia espressiva. Tuttavia, circola senza restrizioni una cinematografia molto più violenta, che ha come oggetto la violenza di per sé - puro "splatter" - senza che
alcuno protesti. È indubbio che Gibson desti pregiudizi perché è decisamente reazionario e antipatico, oltre che antisemita. Personalmente trovo detestabile lui e la sua ideologia, ma non per questo nego che sia un artista di valore, che ha qualcosa da dire e che fa pensare.
Secondo me, Apocalypto è un film discreto, decisamente migliore di The Passion, basato su una storia avvincente e ben girato, malgrado toni fumettistici ed esasperate lentezze. Certo, quando si parte con un'epigrafe ambiziosa - «Una grande civiltà non viene conquistata dall'esterno fino a che non si è distrutta da sé dall'interno» - bisogna saperla illustrare, altrimenti ci si espone a critiche pesanti. In effetti, nel film questa illustrazione non si trova e si resta a bocca asciutta: tanto più asciutta quanto l'allusione allo stato lamentevole dell'Occidente è intrigante. Ma l'illustrazione di tale stato la danno quei lamentevoli antropologi "postcoloniali" che accusano Gibson di razzismo per aver dato un'immagine negativa di una civiltà di "native Americans", una dizione che non sarebbe esilarante solo se "American" fosse un termine "nativo". Ormai, se non si parla bene di tutti, salvo che dell'Occidente, non si può nemmeno aprire bocca.
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