domenica 14 gennaio 2007

"PARLARE IN NOME DI DIO"

" parlare in nome di Dio".(Intervista a Gianni Vattimo )
di Lenzi Massimiliano

Tempi num.2 del 11/01/2007

«Scommetto che diminuendo le regole, con la stupidaggine libera, un giorno ci stuferemo persino del nichilismo». Il pensatore più debole dell'Occidente stanco si è stancato pure del pensiero debole...


Alla lunga anche il nichilismo stanca. E se lo dice Gianni Vattimo, c'è da crederci. «Il vero valore dell'Occidente - spiega a Tempi il filosofo piemontese - è la relativa mancanza di valori. Si può scommettere che diminuendo le pressioni esterne, morale, regole, eccetera le persone aumenteranno a dismisura le proprie preferenze individuali e con la stupidaggine libera finiranno per stufarsi pure del nichilismo: magari dopo decenni di reality show in molti finiranno col riscoprire i romanzi di Fëdor Dostoevskij. Sarebbe un po' quel che è accaduto nell'America degli anni Trenta con la vicenda del proibizionismo». Tra ironia e scandalo Vattimo, in quest'intervista, lancia la sua ultima provocazione intellettuale sullo spirito della nostra epoca e i rapporti tra Occidente e islam. «E se scoprissimo - avverte - che il valore del nostro Occidente, cioè del nostro mondo, è quello da intendere etimologicamente come terra del tramonto? Mi rendo conto che sto portando avanti un argomento delicato, non sono insensibile alla crisi del tessuto connettivo della contemporaneità, alla sua perdita di valori, ma non possiamo tornare ad una società chiusa. Non è possibile. Prendiamo, ad esempio, il modo di vita delle nostre città meridionali negli anni Quaranta. Quei luoghi sembravano impenetrabili al relativismo. Poi la diffusione dei consumi e del benessere li ha trasformati e adesso neppure loro sono più gli stessi. Per quanto possa a prima vista scandalizzarci, la sola speranza realistica che possiamo coltivare è che anche nel mondo musulmano si diffonda quel secolarismo e quella fede debole, quell'edonismo, quel consumismo, quella superficialità che tanto spesso ci vengono rimproverati. Questo è forse il solo Occidente che merita di diffondersi nel mondo».

Pornobombe su Teheran
Mentre Vattimo parla non possiamo non ricordare, come per un indicibile contrappasso, le affabulazioni di Pier Paolo Pasolini, il suo rimpiangere il tempo delle lucciole, i valori di una società arcaica che nelle borgate delle grande città cominciavano a disgregarsi per lasciare il passo alla modernizzazione. «Pensando all'educazione dell'Occidente - prosegue Vattimo - e al suo rapporto con il mondo islamico, con la parte più integralista di quella cultura, devo ricordare una mia vecchia proposta. Era l'inizio degli anni Ottanta e l'ayatollah Khomeini aveva da poco preso il potere in Iran, dando il via alla sua svolta oscurantista. Io scrissi un articolo dove sostenni la necessità di bombardare Teheran con preservativi e videocassette pornografiche. Perché non dobbiamo dimenticare una cosa: sono sempre le dittature che impediscono il diritto alla ricerca della felicità individuale, cominciando con il proibire tutto. Quando la gente riscopre i consumi, poi, i totalitarismi cadono. Diamo un'occhiata a quanto è accaduto nell'est Europa, nei paesi comunisti dalla metà alla fine degli anni Ottanta. Certo, non nego il ruolo svolto da papa Giovanni Paolo II ma la spinta decisiva è scaturita dalla voglia di consumare e di vivere ognuno come gli pare, di ricercare la propria via alla felicità, senza tabù. Nella caduta del comunismo l'elemento centrale è proprio questa necessità di alleggerire la penuria collettiva. Tutte le dittature, infatti, chiedono ai propri popoli sacrifici, in nome di un valore più alto, patria o eguaglianza che sia, immolando il diritto alla ricerca della felicità dei propri cittadini. E qui aprirei una parentesi sull'Italia: se penso a Silvio Berlusconi, è proprio nel suo essere uomo d'impresa, di merci e consumi che trovo la ragione per la quale non sarebbe mai potuto diventare un fascista, nonostante alcuni, a sinistra, lo abbiamo più volte insinuato. La sua ontologia era ed è consumista, il contrario della penuria collettiva».
Gianni Vattimo ne ha anche per i cattolici. A chi gli obbietta che la vita è un dono di Dio, prezioso, risponde lapidario: «Se è un dono, significa che mi è donato e io ne dispongo come meglio credo. Per quel che mi riguarda, sono favorevole all'introduzione di una legge sul testamento biologico. Quanto al caso di Piergiorgio Welby, poi, lui è stato cosciente sino in fondo. Cosa dire di più? Personalmente mi sono iscritto a un'associazione svizzera. Quando sarà il tempo, andrò lì, mi daranno una pillola e mi rispediranno a casa. Se la vita è un regalo, lo ribadisco, io me lo gestisco come meglio credo. Se guardo alla storia antica non posso non accorgermi che i saggi del tempo, spesso, finivano col suicidarsi compiendo una scelta».
Vattimo, continuando a parlare del suo rapporto con il cristianesimo (come di recente ha anche scritto in un libro, Verità o fede debole. Dialogo su cristianesimo e relativismo, edito da Transeuropa), sottolinea: «Anch'io mi definisco cristiano perché credo che il cristianesimo sia più vero di tutte le altre religioni proprio per il fatto che in qualche senso non è una religione. Senza dubbio esistono dei contenuti dogmatici ma quando, ad esempio, recitiamo il "Credo" usiamo una quantità di espressioni puramente metaforiche, allegoriche: Gesù sta seduto alla destra del Padre. Ma come, e la sinistra? Politicamente è un po' scandaloso. Poi Dio è maschio, è un padre ma una madre mai. Le femministe americane si stracciano le vesti quando sentono questo. Moltissime cose del "Credo" non devono essere prese alla lettera. Io personalmente sono convinto che credo finché cerco di rispettare la carità, cosa che non sempre riesco a fare».

«Vorrei un don Giussani no global»
Tempo addietro, però, scrivendo un articolo su don Luigi Giussani, Vattimo ebbe parole in qualche modo di apprezzamento per il fondatore di Comunione e liberazione. «Ma qui - avverte - sarò un pochino polemico. Giussani scriveva delle cose che sentivamo anche nell'Azione cattolica, quando ancora la frequentavo. Io ho sempre ammirato lo stile spirituale della sua scrittura. Sono, di contro, preoccupato dall'aspetto temporale. Insomma, mi piacerebbe una Cl più no global e meno andreottiana, nel senso del rapporto col potere. Intendiamoci, non che non capisca anche questo aspetto: pure io, quando ero militante dell'Azione cattolica, mi son trovato ad andare a prendere a casa degli anziani infermi per portarli a votare, faceva parte della militanza».
Le ultime battute del suo colloquio con Tempi Gianni Vattimo le riserva all'impiccagione di Saddam Hussein e allo spirito del processo di Norimberga. «La condanna di Saddam - spiega - è un tipico esempio di giustizia dei vincitori, e anche la sinistra dovrebbe cominciare a ripensare Norimberga. Parliamo dell'imputazione principale, i crimini contro l'umanità e cerchiamo di chiarire il punto: le leggi dell'umanità, se non sono scritte, ognuno le frigge come vuole. La sinistra, dal canto suo, ha sempre considerato Norimberga sacrosanta. Ma l'idea di processare i nazisti in base a una legge che loro, nella Germania del Terzo Reich, non riconoscevano finiva con l'essere un meccanismo dove chi comandava decideva la legge da applicare. Per questo, guardando a certi aspetti, preferisco, se mi si passa il termine, l'ammazzamento di Benito Mussolini alle condanne a morte sentenziate a Norimberga. Quanto all'Iraq, non c'è dubbio che l'invasione statunitense di quel paese sia nata nel solco dello spirito di Norimberga: George W. Bush si è mosso su quella linea ideale».
E nemmeno a proposito della giustizia dei vincitori e dei vinti giustiziati Vattimo riesce a fare a meno di tirare in ballo ancora una volta Dio: «Come è possibile perseguire, a livello privato e a livello internazionale, la giustizia senza pensare che "Dio è con noi"? Forse il tanto vituperato sistema di Westfalia, quello che escludeva ogni diritto di ingerenza negli affari interni di un altro paese, non era poi così imperfetto. Oggi noi siamo carnefici e vittime insieme in un sistema che afferma l'universalità dei diritti quasi solo per giustificare un rinnovato imperialismo. Finché non si riuscirà a costruire un sistema di giustizia internazionale esplicitamente stipulato e regolato, saremo sempre esposti alle pretese di chi, soprattutto quando vince, crede di pote

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