martedì 15 gennaio 2008

LA BUONA BATTAGLIA DELL'ELEFANTINO

Se, al contrario, in una comunità prevale il nichilismo ontologico, la difesa della vita non costituirà più un valore in sé, ma verrà subordinata, di volta in volta, al criterio dell'interesse individuale, della utilità sociale, del pensiero dominante.

di Gianteo Bordero
Tratto dal sito RAGION POLITICA il 12 gennaio 2008

Giuliano Ferrara, con la sua proposta di moratoria dell'aborto, è riuscito ad allargare il dibattito sull'interruzione volontaria di gravidanza oltre la legge 194: lo ha portato più in profondità, sul piano delle radici della civiltà e della sua coscienza spirituale prima ancora che morale strictu sensu.


Il tema della vita e della sua difesa si intreccia infatti, nel tempo postmoderno, con la questione del significato dell'esistenza. E non è casuale che sia proprio attorno all'embrione e al feto che si combatta oggi l'aspra battaglia campale tra chi vede l'orizzonte della vita abitato da un senso umanamente sperimentabile e chi, invece, non scorge in esso alcun punto di tangenza con le domande più profonde che abitano il cuore dell'uomo.

Nel primo caso la sensatezza dell'esistenza, il suo avere un fine e uno scopo, motiva il rispetto integrale della vita, perché vi è qui la consapevolezza della dimensione di dono in essa implicito,sia dal punto di vista passivo (la nascita) che attivo (la generazione).

Nel secondo caso, invece, la mancanza di un fondamento che giustifichi l'esistere conduce non soltanto al relativismo etico, ma anche e soprattutto al nichilismo ontologico: se l'essere e l'esserci non hanno radici e significato, il valore della vita viene inghiottito, a seconda del temperamento del singolo, nel vortice del caso, della ideologia, dell'arbitrio, della disperazione, del nulla.

Queste due opzioni di fronte alla questione capitale del senso dell'esistenza, pur riguardando la persona nella sua dimensione individuale, hanno però, evidentemente, risvolti sociali differenti a seconda che venga fatta propria l'una o l'altra delle possibilità.

Se la società è dominata da una prospettiva che riconosce alla vita un significato solido ed inestirpabile, è chiaro che essa farà di tutto per tutelarla ad ogni livello, dal suo inizio al suo termine naturale - come usa dire. Se, al contrario, in una comunità prevale il nichilismo ontologico, la difesa della vita non costituirà più un valore in sé, ma verrà subordinata, di volta in volta, al criterio dell'interesse individuale, della utilità sociale, del pensiero dominante.

Siamo qui al livello decisivo di ciò che può o meno fondare una civiltà nel senso proprio del termine: è nella scelta tra l'essere e il nulla che si gioca, in ultima analisi, la possibilità di edificare una comunità veramente umana, capace di promuovere e valorizzare la persona in ogni sua dimensione, di concepirla cioè come una unità sensata e ordinata, con una origine, una direzione ed uno scopo.

L'alternativa è la disumanizzazione, che ha luogo nel momento in cui l'unità della persona viene negata e l'uomo è ridotto ad una molteplicità di frammenti, non riconducibili ad alcun disegno carico di significato, e diventa un grumo di cellule, una domanda priva di senso, un prodotto del caso. Qui non si dà civiltà, ma soltanto l'aleatoria aggregazione di individui che non crea altro se non una effimera convergenza di interessi o, nel caso contrario, la lotta spietata per l'affermazione della volontà e del desiderio immediati.

Il direttore del Foglio ha compreso che oggi la grande partita per il futuro della nostra civiltà si gioca su questo terreno e ha scelto un tema come quello dell'aborto per dare un volto e un nome alla sfida attorno a cui ruotano i destini delle società occidentali.

E lo ha fatto, significativamente, a quarant'anni di distanza dal 1968 e dalla grande ondata anti-tradizionale a cui esso diede forma. Ferrara ha deciso dunque di farsi portavoce di una battaglia in difesa dell'umano che riguarda innanzitutto la coscienza laica nel momento in cui, come ha scritto Gianni Baget Bozzo su La Stampa dell'8 gennaio, «il moderno è finito e il postmoderno è un infinito vuoto». Abbandonare la vita umana a questo vuoto e privarla della possibilità di avere un senso significherebbe non soltanto lasciarla in balìa del nulla e della disperazione individuale, ma anche rimuoverla dal centro dell'esperienza sociale.

L'Elefantino ci invita a tenere desto lo sguardo di fronte al miracolo dell'esistenza, a non perdere la capacità di stupore davanti al mistero della vita e di curiosità dinanzi alle domande più profonde che abitano in ciascuno.
Con ciò, da laico non credente (o, come egli stesso si è definito, da «ateo devoto»), riafferma il senso religioso come unico fondamento possibile di una civiltà degna di tal nome. Per questo, ringraziandolo, lo sosteniamo.




Nessun commento: