Nel 1968, giusto 40 anni fa, il quarantenne professor Joseph Ratzinger fu costretto dalle proteste studentesche a lasciare l’Università di Tubingen, dove insegnava. Il clima della protesta aveva portato anche nella cittadella del sapere tedesca quelle che Ratzinger definì “manifestazioni di un’ideologia brutale, crudele, tirannica” (eventi che ho ricostruito nella mia biografia di Benedetto XVI, ‘Nella vigna del Signore‘).
Quarant’anni dopo, mentre si celebra con enfasi il quarantesimo anniversario del ‘68, il Papa è costretto a rinunciare a parlare all’Università La Sapienza dalle proteste di un piccolo plotone di professori e studenti.
Le riflessioni su questo evento si sprecheranno. Ne sollevo una anch’io, nell’ottica di chi segue dall’America le faccende italiane. Mesi fa alla Columbia University di New York hanno invitato e fatto parlare pubblicamente il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Come dire, per molti americani, il diavolo in persona. L’idea che l’università è il luogo del dialogo per eccellenza ha spinto ad accogliere anche uno come Ahmadinejad, in un ateneo peraltro con una forte presenza di ebrei nel corpo docente.
Qual è la differenza tra la Columbia e la Sapienza? Basta guardare la classifica delle 500 università più importanti del mondo, stilata da una fonte imparziale come l’Università di Shangai. Otto dei primi 10 atenei al mondo sono americani, la Columbia è al settimo posto. La Sapienza è’ al posto numero 101. C’e’ di che riflettere…
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