Santuario di Stezzano, 17 gennaio 2008
Omelia di: Padre Romano Scalfi
Siamo alla vigila della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani; cento anni fa veniva istituita questa giornata che raccoglie sia cattolici che ortodossi,
protestanti ed anglicani in un’unica preghiera a domandare al Signore il grande miracolo dell’unità di tutti i cristiani. Il tema che è stato scelto per questa settimana, preso dalla lettera di S. Paolo ai Tessalonicesi, è “ pregate incessantemente” (1 Tessalonicesi 5, 17).
Il tema scelto mi sembra di particolare importanza perché si richiama all’ “ecumenismo spirituale” raccomandato dal grande ecumenista Couturier all’inizio del secolo scorso. Egli intendeva far capire che l’ecumenismo non è soprattutto fondato sulla problematica, sulle discussioni e sugli accordi, non è prima di tutto un’iniziativa umana, non è un cercare di andar d’accordo ma riconoscere un’unità che Cristo ci ha dato, riconoscere e vivere questa unità, il mistero dell’unità. E’ Lui che distrugge “il muro di separazione”, non ci sono più popoli ma un popolo solo, non c’è più distinzione tra uomo donna servo o padrone greco o ebreo perché tutti siamo una sola cosa in Cristo. Questo è un Mistero portato da Cristo che si è a ciascuno di noi donato nel giorno in cui siamo stati battezzati, il battesimo ci ha inserito nell’unità di Cristo. E’ importante comprendere che si parte da questa iniziativa di Dio, non dipende dalla nostra iniziativa, non è cedi un po’ tu che cedo un po’ io così possiamo andar d’accordo, ma riconosciamo insieme questo grande Mistero, questa grande Grazia, questo miracolo immenso che ci è dato come seme dell’unità per tutti.
Certamente come in tutte le cose dello Spirito tutto è Grazia ma tutto è responsabilità, non basta tener presente questa considerazione: il miracolo dell’unità il mistero dell’unità ci è dato come un seme; noi siamo il terreno che può essere buono più o meno disponibile a far crescere questo seme, ma se non ci mettiamo la nostra responsabilità, il nostro lavoro, se non ci impegniamo a rendere coscienza concreta e quotidiana questa realtà, finirà con l’essere opprimente.
Ecco perché si raccomanda di pregare, pregare perché avvenga ciò che è già avvenuto, perché si sviluppi perché si estenda e si manifesti: perché l’ecumenismo è soprattutto una vita, non è una pratica non è un’organizzazione è una vita che comincia dalla persona; parte da Cristo ma come responsabilità parte dalla mia persona.
Sono io prima di tutto che devo essere consapevole della mia vita in Cristo, sono io che devo capire che non sono mai solo perché sono con Cristo. I padri usano una ardita parola “siamo mischiati in Cristo”, per dire che non si tratta di dire qualche preghiera in più o qualche preghiera in meno ma che la vita stessa diventa una preghiera continua. Si tratta di una consapevolezza di essere in Cristo per compiere il suo destino, la mia salvezza è la salvezza di tutti. La preghiera quindi è un compito che è di ciascuno di noi, è il fondamento della grande opera per l’ecumenismo, non è tutto ma è certamente il fondamento. E’ la parte senza della quale nulla si può costruire di adeguato se non sulla sabbia.
Della preghiera dovrei sottolineare soltanto alcune cose perché S. Paolo quando nella lettera ai Tessalonicesi parla che bisogna pregare incessantemente dice: “siate lieti, pregate incessantemente”. Credo che questa letizia che ci raccomanda S. Paolo sia il presupposto per una preghiera che tende a diventare continua. Noi pretendiamo di poter giungere alla perfezione; non ci arriveremo mai, ci sarà sempre da lavorare fino alla fine ma si tratta della tensione a far diventare continua la nostra preghiera; allora cosa è il fondamento di questa preghiera continua: è la letizia non sentimentale, ma una letizia che deriva dal giudizio, dalla consapevolezza di essere in Cristo, di esser in Cristo che è la fonte del mio massimo bene, è la fonte della libertà, è la fonte dell’amore, è la fonte della giustizia, è la fonte di tutto.
Ha detto un abate: lontani da Cristo tutto diventa vecchio, avvicinandosi a Cristo tutto ringiovanisce. E’ il massimo bene che io possa dire quando parlo della comunione di Cristo con me non è una fra le tante cose che ci ha dato il Signore, è il dono dei doni, di più non poteva fare. Quindi la prima cosa è di essere lieti per questa grande grazia, responsabili, lietamente responsabili perché quanto più la viviamo tanto più noi realizziamo noi stessi, realizziamo le esigenze profonde del nostro cuore, camminiamo verso la felicità. Se è così allora la preghiera non è uno sforzo, non è soprattutto una regola ma è un bisogno del mio cuore, è il bisogno di me stesso, è il mio bene.
Naturalmente allora la preghiera non è una formula che si dice, è un cuore ardente che si esprime, che ringrazia per questa unità con Cristo, per questa compagnia di Cristo, che domanda di essere sempre con Cristo. Un cuore ardente che continuamente rinnova la speranza di poter progredire in questa grande realtà, in questo grande mistero della compagnia di Cristo con me. Questo mi pare che sia il presupposto: lieti per esser con Cristo, di Cristo, per Cristo.
Ma come dicono i padri la verità è sempre antinomica e anche in questo caso non è mai ridotta in una affermazione è meglio comprensiva attraverso quello che sembra l’opposto; abbiamo parlato di letizia ma dobbiamo aggiungere che la preghiera è anche una fatica, è uno sforzo. Un novizio domanda a padre Agapone (un padre del deserto egiziano): qual è la fatica più grande per continuare nella vita spirituale? Questo antico padre del deserto disse: la fatica più grande è la preghiera. E’ anche una fatica, è anche un impegno, impegno soprattutto di eliminare i pensieri e le preoccupazioni inutili; quanto tempo perdiamo. Come si fa a pregare quando la mente è dominata da tante fantasticherie inutili?
Ma non basta; occorre trasfigurare tutti i desideri e tutte le domande in Cristo. Possiamo domandare tutto al Signore naturalmente ma la cosa che dobbiamo domandare principalmente soprattutto è di esser in Cristo. Che ci sia chiara questa intenzione fondamentale che domanda di mettere Cristo prima di tutti i nostri pensieri, prima di tutte le nostre intenzioni, dopo ci sta tutto. Possiamo domandare tutto ma prima di tutto Cristo perché Cristo è il mio massimo bene, è la cosa più ragionevole. Non è questa una nuova legge che mi è imposta, ma è dettata dal mio essere. Se Lui è il massimo bene come faccio a non desiderare soprattutto il mio massimo bene.
Ma questo non è istantaneo nella nostra coscienza, istantanea è la ricerca e la soddisfazione delle voglie che non ci soddisfano, la ricerca soprattutto di piaceri che valgono quattro soldi, che poi ci lasciano con la bocca amara; ci vuole una fatica per trasfigurare tutto in Cristo. E allora comprendiamo come tutte le cose hanno in Cristo la sua pienezza e tutto in Lui acquista una fisionomia che è il massimo per me e il massimo per gli altri.
Ma poi c’è un’altra cosa della preghiera che dobbiamo ricordare: la preghiera non è mai individualistica perché la comunione con Cristo ci mette in comunione effettivamente con tutte le membra di Cristo. Ricordo sempre quello che una suora diceva, una suora con pochi valori intellettuali, diciamo umanamente sembrava valer poco ed era anche spesso trascurata dal suo convento, dalle sue consorelle; nel suo diario c’è una osservazione che mi ha colpito: quanto più Cristo mi attirava a sé, quanto più io mi sentivo unita con Cristo e tanto più mi era facile voler bene alle mie consorelle. Se la nostra preghiera non ci porta ad una concordia vuol dire che non è una preghiera in Cristo, non una vera preghiera in Cristo. Perciò dobbiamo essere sempre attenti a controllare il nostro giudizio, soprattutto il giudizio.
In questi giorni ciò che succede alla Sapienza ci obbliga a formulare un giudizio su certe persone, un giudizio che non può non essere chiaramente negativo. Come si fa a non sentire istintivamente una rabbia, non si può terminare il giudizio su questa gente con la rabbia; è uno sforzo che dobbiamo fare, almeno per me; lo sforzo di pregare per loro. Non c’è un giudizio che sia valido se non termina nella preghiera, cioè nel bene, in una espressione amorosa per la persona che giudico. Mentre noi spesso nei nostri giudizi, nelle nostre sentenze ci fermiamo all’analisi: se la persona è più intelligente, meno intelligente, antipatica meno antipatica; ci fermiamo alla superficie non viviamo la realtà, la realtà dell’altro è che è parte di me in Cristo. Se è parte di me non posso non volere che anche lui acquisti quel bene che io sperimento stando in Cristo. Stiamo attenti a non terminare il giudizio che sia un giudizio di condanna definitiva. Cristo ha detto: “Io non sono venuto a condannare il mondo, ma a salvarlo”; è la stessa cosa che dobbiamo far noi.
Noi non siamo qui soprattutto per condannare il mondo; Cristo ha anche condannato certe posizioni e noi dobbiamo condannarle senza scrupoli, ma non possiamo fermarci alla condanna, noi siamo chiamati in Cristo a salvare il mondo, a salvare tutti anche i nemici. Anche loro in conclusione devono diventare oggetto di un amore disinteressato che vuole il loro vero bene, la loro salvezza.
Così ama Cristo.
Ecco questo allora sempre di più si abitua ad una concordia che non si limita ad un amore tra di noi ma che è aperto a tutti, certamente la compagnia che il Signore ci ha dato merita una preferenza di attenzione e di amore perché è lì che concretamente veniamo aiutati a crescere nell’amore giorno per giorno. S. Basilio diceva che il peccato fondamentale dell’uomo è l’orgogliosa autonomia, dell’uomo non soltanto dei cristiani, ma poi diceva che la virtù fondamentale dell’uomo è la concordia, questa concordia che deve crescere sempre di più in una unità che faccia intravedere al mondo l’esistenza di un altro mondo. S. Ignazio di Antiochia diceva: la vostra concordia è il segno dell’esistenza di Dio.
L’aspetto missionario fondamentale è la concordia nostra in Cristo. E’ la nostra concordia, la nostra comunione in Cristo è la risposta più adeguata al relativismo dilagante e nel medesimo tempo è la nostra concordia il contributo maturo all’unità con i cristiani delle altre confessioni. E’ la concordia la madre dell’unità, dell’ecumenismo. Lo conferma anche il nostro lavoro in Russia.
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