sabato 19 gennaio 2008

SE LO PSICHIATRA E' CATTOLICO ECCOGLI SERVITO IL ROGO

Così un quotidiano comunista apparecchia un'inchiesta degna di una commissione della Gestapo

di Amicone Luigi
Tempi num.2 del 10/01/2008
Vorrei riportare alcune riflessioni, che potrebbero essere di utilità per la comunità dei credenti in Italia, nate dopo un piccolo (ma assai doloroso) linciaggio mediatico che ho subito. Il fatto è banale: un giornalista di Liberazione, come scrive Rosso Malpelo sull'Avvenire del 30 dicembre 2007, si finge in profonda crisi esistenziale, bussa allo studio medico di uno psichiatra, gli racconta i propri drammi, gli chiede di essere aiutato e poi strilla per pagine e pagine che quello lo voleva. curare.

Lo psichiatra in questione sono io e il giornalista traduce tutto così: mi sono finto gay e ho scoperto una rete cattolica clandestina che fa terapie forzate ai gay. Questo messaggio, evidentemente falso (non si è finto gay, ma ha dichiarato una serie di abusi e di essere in crisi nel suo matrimonio), è stato ripreso in modo sorprendentemente acritico da quotidiani seri (l'Unità, Repubblica, la Stampa) e da centinaia di agenzie, siti web, blog, radio e tv, dove peraltro sono stato coperto di insulti e minacce. Nessuno ha chiesto la mia opinione, nessuno ha voluto sapere quale fosse la verità. Una newsletter online, edita da Altrapsicologia.it, ritiene giusto sbeffeggiarmi dicendo che la mia professionalità è paragonabile tutt'al più al fanatismo dei testimoni di Geova. Ma tutto ciò è un fatto che in definitiva interessa poco: riguarda tutt'al più il mio onore. Si aprono però interessanti riflessioni. Alla stampa è bastata la magica parola "gay" per sancire l'impossibilità di qualunque dialogo: esiste dunque un pensiero unico dominante che tende ad affermare in modo incontrastabile l'ideologia gay. Ma è proprio così? E davvero è così certo che tutti gli omosessuali si riconoscano nell'ideologia gay? Ed ecco la prima riflessione. Al di là del vittimismo e dell'indignazione di Aurelio Mancuso, presidente dell'Arcigay, pronto a strillare, sulla base di affermazioni false, che avrei messo in atto una rete clandestina che in combutta con la Chiesa vuole curare i gay, al di là di queste sciocchezze (ci mancava poco che invocasse anche l'intervento dell'Onu) emerge un'altra verità. Perciò sarebbe opportuno aprire una questione etica: il codice deontologico dell'Ordine degli psicologi prevede che i terapeuti rispettino la dimensione valoriale di ciascun paziente. E invece scopriamo che c'è una curiosa discriminazione al contrario, particolarmente evidenziata dalla montatura di Liberazione: mi sembra, infatti, alla luce delle tante segnalazioni che ricevo, che psicologi e psicoterapeuti non rispettino il codice valoriale dei pazienti credenti.

Mi sembra un problema grande: una persona omosessuale credente, per esempio, che sente di non potersi identificare con il modello gay, che ha gravi e profondi conflitti e che chiede aiuto, deve per forza essere curato perché assuma la condizione di gay (terapia affermativa) o può essere aiutato a verificare attraverso una psicoterapia la sua situazione in ogni aspetto? In altri termini, esiste la possibilità per le persone, omosessuali o meno, di poter analizzare la genesi di ogni proprio comportamento oppure, almeno nel caso dell'omosessualità, ciò non possibile per via di leggi non scritte ma inviolabili, pena la gogna mediatica?

Questa posizione, ovviamente, non ha nulla a che vedere con il fanatismo religioso (anche se ho apprezzato il finale omiletico di Mancuso, ancora lui, su Liberazione, dove mi ricorda la misericordia di Dio), ma si basa su alcuni presupposti epistemologici che cercherò di chiarire.

Infatti, al di là dell'omosessualità, la discriminazione dei credenti che chiedono aiuto allo psicoterapeuta avviene quando quest'ultimo non riconosca l'importanza per il paziente della dimensione religiosa e dei valori ad essa connessi, e metta in atto interventi a volte semplicemente omissivi, ma a volte (e questo è grave) chiaramente contrastanti. Ricevo molte segnalazioni di pazienti la cui ricerca religiosa è stata sottovalutata o addirittura scoraggiata o persino valutata come psicopatologica e irrisa da terapeuti e psicologi. D'altro canto solo un ingenuo può pensare che lo psicoterapeuta sia neutro: recenti studi dimostrano che i valori dello psicoterapeuta irrompono eccome nelle terapie. E allora?

E allora la posizione più etica è proprio quella degli psicologi e degli psicoterapeuti che esplicitano i riferimenti antropologici e le premesse del proprio agire. La posizione di dubbia eticità, invece, è proprio quella di coloro che si nascondono dietro una ambigua quanto irrealistica dichiarazione di neutralità. In alcuni lavori che ho pubblicato recentemente, a proposito del rapporto tra psicologia e religione, ho dato rilievo ad alcuni dati. Un dato in particolare mi sembra impressionante: la maggior parte dei pazienti credenti non si sente capita e accettata dagli psicoterapeuti e percepisce una sostanziale discriminazione per quanto attiene la dimensione religiosa.

Questa evidenza spiega il ricorso, particolarmente di moda negli Stati Uniti, a impropri psicosantoni. Ovviamente, pur non separando la dimensione psichica da quella spirituale, le ritengo due dimensioni assolutamente distinte. Questo significa che se da un lato lo psicologo e lo psicoterapeuta non debbono sottovalutare o irridere la dimensione spirituale del paziente, dall'altro non debbono neanche invaderla con sincretismi inappropriati.

Allo psicologo e allo psicoterapeuta spettano il compito che a essi è deputato, quello di curare utilizzando nella prassi tecniche validate e scientifiche. Si può forse sorvolare sulla grossolana montatura del giornalista di Liberazione, che denuncia una di-scriminazione inesistente al solo scopo di cercare un nemico cattolico dei gay, ma ritengo che sia giunta l'ora di denunciare la vera discriminazione, ovvero l'impossibilità per molti credenti di ricevere aiuto da psicoterapeuti rispettosi dei valori religiosi proclamati dal paziente. Forse è su questo che occorrerebbe aprire un dibattito sereno.
Tonino Cantelmi
presidente dell'Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici
L'ho già scritto: cos'è tutto questo se non intimidazione e minaccia davanti alle asserzioni dell'agenda gay come verità scientifica e democratica da custodire con la polizia? No, caro Cantelmi, non si tratta di «discriminazione dei credenti», si tratta di discriminazione tout court e di negazione tout court del diritto di pensare diversamente da ciò che pensano l'Arcigay, Liberazione, eccetera. Gli sbirri del conformismo non possono sopportare la democrazia se non come spazio per l'affermazione dei propri comportamenti e delle proprie idee e la sopraffazione dei comportamenti e delle idee altrui. Per questo sono solleciti nella censura (persino di Jung e di Freud) e collaborano volentieri all'ordine costituito dal politicamente corretto. In attesa dei "manicomi democratici", dissentire dall'Arcigay, Liberazione, eccetera significa essere condannati per "omofobia", creatura verbale dell'agenda gay, invenzione di un "nemico" responsabile della contrarietà del mondo. L'ho già detto: occhio a questa ideologia che in Europa si sta trasformando in un mostro giuridico penale.



Nessun commento: