La rinuncia del Papa è la scelta dei forti e dei miti, che non vogliono che la propria voce sia confusa, neanche indirettamente, con quella dell’intolleranza. Ma la voce del Papa resta la stessa di prima, rivolta a tutti, anche a quanti volevano negargli il diritto di parlare
....I fautori dell’intolleranza sono rimasti nudi, potranno gridare solo contro se stessi....
Il tribunale dell’intolleranza
di Carlo Cardia
Tratto da AVVENIRE del 16 gennaio 2008
Si può fare oggi il bilancio di un fatto grave, che non fa onore all’Italia e al mondo della cultura, e che soltanto la scelta del Papa di non andare alla Sapienza è riuscito a trasfigurare in una vittoria della tolleranza contro l’intolleranza.
Negare al Papa, come si è cercato di fare, il diritto di parola nel tempio della ricerca, e nell’epoca dei diritti umani, può sembrare un atto grossolano. In parte lo è, ma è stato anche espressione di una sottile astuzia del male. C’è chi credeva di essere il detentore e il padrone dei diritti umani, di poterli dispensare o negare a chi voleva, a suo piacimento. Quasi un tribunale speciale ristrettissimo, che si era auto-investito del potere di giudicare frasi e pensieri, scritti e parole, con lo stesso animo con cui i vari inquisitori giudicavano coloro che capitavano nel loro raggio di azione.
La sottile astuzia stava nel cambiare i ruoli dei protagonisti. Il tribunale, che minaccia e condanna, diceva di farlo in nome della libertà di parola e di ricerca. Il Papa, che rappresenta e parla a nome dei più deboli e degli ultimi della Terra, veniva indicato ed esposto come persecutore. Fedor Dostoevskij non avrebbe saputo far meglio, di sicuro si sarebbe complimentato per la rinnovata capacità camaleontica del grande inquisitore.
Nei suoi giochi sottili il male pensa sempre di segnare almeno qualche punto a suo vantaggio. Però, quando si esagera in malizia l’inganno è presto scoperto. Perché l’accusato è conosciuto in tutto il mondo, parla e scrive della fede cristiana, in nome dei diseredati e a favore della speranza per i più deboli. Egli è il Papa più impegnato nel dialogo tra scienza e fede. Non ha potere, né difese proprie, confida solo nel giudizio dei giusti.
Questo è il punto. La vita di Benedetto XVI si svolge di fronte a tutto il mondo, con gli scritti, le parole, le preghiere, le scelte pastorali e quelle internazionali. Non ha pagine nascoste, né sconosciute, ma ogni gesto e ogni parola del Pontefice incontrano i riflettori del mondo e lo sguardo dei popoli. Per questa ragione, il tribunale dell’intolleranza si sarebbe comunque scoperto incompetente a giudicare, perché idonei al giudizio sono gli uomini di tutto il mondo, i quali conoscono il Papa meglio dei suoi detrattori.
Questo le astuzie del male non l’avevano previsto. Nell’età dell’esposizione mediatica i processi segreti non si possono più fare, perché le prove sono sotto gli occhi di tutti, le sentenze prefabbricate non convincono più perché ciascuno vuole essere giudice imparziale. Il Papa non appartiene né ai nuovi inquisitori né ai suoi accusatori. Benedetto XVI è a servizio dell’umanità, soprattutto di quella più bisognosa di conforto e di giustizia, e il diritto di parlare e insegnare i contenuti della fede non gli potrà essere tolto da nessuno.
Dopo la rinuncia del Papa possiamo dire che l’unico risultato della brutta pagina scritta alla Sapienza di Roma è stato quello di avere umiliato la libertà e la cultura, di avere privato il mondo universitario di una voce di pace e di tolleranza che ha sempre un respiro universale.
La rinuncia del Papa è la scelta dei forti e dei miti, che non vogliono che la propria voce sia confusa, neanche indirettamente, con quella dell’intolleranza. Ma la voce del Papa resta la stessa di prima, rivolta a tutti, anche a quanti volevano negargli il diritto di parlare. Nell’aula piena di accademici giovedì prossimo ci sarà una assenza che parlerà alla coscienza dei presenti molto più forte di qualsiasi discorso. La saggezza e l’umiltà hanno vinto due volte. I fautori dell’intolleranza sono rimasti nudi, potranno gridare solo contro se stessi.
Resta una riflessione sull’Italia. Dove il confronto civile e ideale corre il rischio di regredire, non perché c’è chi critica il Papa ma perché si è giunti alla censura preventiva, nel tentativo di innescare contrasti sempre più aspri che con il dibattito culturale non hanno parentela. Se si adottasse questo metodo di attacco in altri settori della vita civile, andremmo verso l’imbarbarimento della convivenza. Questo il vero problema che resta aperto e che richiederà una riflessione e un impegno molto seri. Un impegno perché prevalga la virtù della tolleranza, la conoscenza vera e il rispetto delle idee degli altri. Bisogna ancora lavorare per conseguire questo traguardo di civiltà.
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