.....È importante quindi per ognuno di noi, come concludeva Benedetto XVI, «mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene», che per qualcuno poi prende il nome di Dio, ma che per tutti rimane la condizione imprescindibile per continuare a vivere nel proprio ateneo
Questo il Papa considera il compito dell’università, ed era venuto a dircelo proprio 'a casa nostra'. E questo noi, docenti universitari, andremo di nuovo ad ascoltarlo, domenica. Tutti in piazza San Pietro.
Noi docenti, cercatori onesti domenica in piazza S. Pietro
di Assuntina Morresi
Tratto da AVVENIRE del 18 gennaio 2008
Tutti a San Pietro, domenica, all’Angelus di Benedetto XVI.
L’appuntamento ci era venuto in mente subito, appena saputo della sofferta rinuncia del Papa a partecipare alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico, all’Università detta «La Sapienza», a Roma. L’invito del cardinale Ruini è dunque caduto su un terreno fertile e ha colpito nel segno: domenica sarò là, spero innanzitutto con i miei colleghi, cioè i docenti universitari, i primi interpellati dai fatti romani. Ci dobbiamo essere, ci saremo, perché ciò che è successo è ancor più grave proprio in quanto accaduto in università, il luogo per eccellenza in cui si intrecciano ragione e libertà, in cui ognuno di noi, che in università lavora e vive, ha potuto e – si spera – ogni giorno può continuare a sperimentare quella «brama di conoscenza che è propria dell’uomo», un uomo che «vuol sapere cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità». Così Benedetto XVI, nel discorso che ha potuto solamente inviare, ha definito l’essenza dell’università stessa, la sua anima, quella che ne fa da sempre un luogo privilegiato per chi ci lavora.
Privilegi non tanto economici e sociali – spesso assai più favoleggiati che effettivi – quanto dovuti alla particolarissima condizione per la quale il proprio lavoro equivale a conoscere. Si è disposti a un’interminabile attesa pur di poter lavorare in università, si è capaci di fare enormi sacrifici sul piano personale ed economico, si dedicano i migliori anni della propria vita a estenuanti giornate spese nel lavoro di ricerca perché poche cose sono tanto gratificanti come il poter scoprire ogni giorno di più il significato della realtà, in ogni suo aspetto: dal nostro corpo ai pensieri, alla storia di popoli e nazioni, alla più intima struttura della materia, dagli spazi infiniti alle particelle infinitesime. Siamo fatti così, chi più chi meno consapevolmente, cercatori di verità e, con essa, anche del bene, come ha scritto ancora papa Benedetto nel discorso che non gli è stato consentito di pronunciare. Ma anche la più grande passione per la conoscenza e lo studio nel tempo non dura, per quanto venga incoraggiata da importanti scoperte o travolgenti carriere. Ne facciamo esperienza nel lavoro accademico di ogni giorno. E quando succede, quando la stanchezza, la noia o il cinismo prendono il sopravvento, i nostri studenti sono i primi ad accorgersene. Non dobbiamo mai dimenticarlo: sono i ragazzi lo specchio del nostro modo di stare in università. Per questo i colleghi che per primi hanno contestato l’invito al Papa non possono non riconoscere la loro responsabilità in tutta la vicenda: un atteggiamento di reale disponibilità all’ascolto e al confronto avrebbe generato tutt’altro clima, e non ne staremmo adesso a discutere. È importante quindi per ognuno di noi, come concludeva Benedetto XVI, «mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene», che per qualcuno poi prende il nome di Dio, ma che per tutti rimane la condizione imprescindibile per continuare a vivere nel proprio ateneo.
Questo il Papa considera il compito dell’università, ed era venuto a dircelo proprio 'a casa nostra'. E questo noi, docenti universitari, andremo di nuovo ad ascoltarlo, domenica. Tutti in piazza San Pietro.
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