Sarkozy apre al dialogo con il mondo arabo riaffermando l’identità cristiana
Nicolas Sarkozy
Pubblichiamo il testo del discorso
che il presidente francese ha tenuto lunedì
a Riad, in visita al Consiglio Consultivo
saudita.
FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 18 GENNAIO 2008
Signor presidente del Consiglio Consultivo,la ringrazio per le parole calorose con cui mi ha accolto. Signor presidente,
signori membri del Consiglio, attraverso voi rivolgo a tutta la nazione saudita il saluto fraterno della Francia. Il mio salutova anche a tutta la nazione araba e a tutta la comunità dei credenti. Non dimentico che per tutti i musulmani l’Arabia Saudita è una terra sacra, dove il Profeta ha accolto la parola di Dio
per insegnarla agli uomini. Tutti i musulmani nel mondo pensano questo dell’Arabia Saudita. Da qui partì 14 secoli fa il grande slancio di pietà, fervore e fede che tutto avrebbe travolto al suo passaggio,che avrebbe convertito tanti popoli e fatto nascere una delle più grandi e belle civiltà che il mondo abbia conosciuto. Qui, in Arabia Saudita, si trovano i luoghi più santi dell’islam, verso cui ogni musulmano si volge per pregare. Certo, musulmani, ebrei e cristiani non credono in Dio allo stesso modo. Certo, non hanno lo stesso modo di venerare Dio, di pregarlo, di servirlo. Ma in fondo,chi può negare che sia lo stesso Dio, quello cui si rivolgono le loro preghiere? Che sia esattamente lo stesso bisogno di credere? Lo stesso bisogno di sperare che li fa volgere con lo sguardo e le mani al cielo per implorare la misericordia di Dio, il Dio della Bibbia, il Dio dei Vangeli e il Dio del Corano?In fondo, il Dio unico delle religioni del
Libro. Il Dio trascendente che sta nel pensiero e nel cuore di ogni uomo. Il Dio chenon rende schiavo l’uomo, ma lo libera. Il Dio baluardo contro l’orgoglio smisurato e la follia degli uomini. Il Dio che, al di là di tutte le differenze, continua a inviare atutti gli uomini un messaggio d’umiltà e amore, di pace e fraternità, di tolleranza e rispetto. Questo messaggio spesso è stato snaturato. E’ stato travisato. Molti crimini nella storia sono stati commessi in nome della religione, crimini che con essa in realtà nulla avevano a che vedere,che negavano, tradivano la religione. I crimini commessi in nome della religione non erano dettati dalla pietà, non erano dettati dal senso religioso, non erano dettati dalla fede. Erano dettati dal settarismo,dal fanatismo, dalla brama di un potereillimitato. Spesso il senso religioso è stato strumentalizzato, spesso è servito da pretesto per raggiungere altri obiettivi e soddisfare altri interessi. E oggi, ancora, lo affermo davanti a voi, il pericolo non è il senso religioso. Ma il suo uso a fini politici regressivi, al servizio di una nuova barbarie.Tutti questi eccessi, tutte queste derive
devono indurci a condannare la religione? Io dico e rispondo di no, perché il rimedio sarebbe peggiore del male. Il sentimento religioso non può essere condannato a causa del fanatismo come il sentimento nazionale non può esserlo a causa del nazionalismo. In qualità di capo di uno stato che si fonda sul principio della separazione tra stato e chiesa, non devo esprimere la mia preferenza per una fede
piuttosto che per un’altra. Devo rispettarle tutte, devo garantire che ciascuno possa liberamente credere o non credere,che ciascuno possa praticare il proprio
culto con dignità. Rispetto chi crede nel Cielo così come chi non vi crede. Ho il dovere di far sì che ciascuno, che sia ebreo, cattolico, protestante,musulmano, ateo, massone o razionalista sia felice di vivere in Francia, si senta libero, si senta rispettato nelle sue convinzioni, nei suoi valori, nelle sue origini.
Ma ho anche il dovere di preservare l’eredità di una storia lunga, di una cultura e, oso dire, di una civiltà. E non conosco paese in cui l’eredità, la cultura, la civiltà non abbiano radici religiose. Non conosco cultura né civiltà in cui la morale, anche se certo incorpora altre influenze filosofiche,non abbia anche soltanto in parte origini religiose. Alla base di ogni civiltà c’è un che di religioso, un qualcosa che viene dalla religione. E in ogni civiltà c’è anche un qualcosa di universale, un qualcosa che la collega a tutte le altre civiltà. E d’altronde, da quando la civiltà ha fatto la sua comparsa di fronte alla barbarie, da quando le relazioni tra gli uomini hanno smesso di essere fondate esclusivamente sulla brutalità e sulla violenza, da quando l’uomo, grazie a uno sforzo che ogni volta ricomincia da capo a compiere su di sé, ha tentato, senza riuscirvi sempre, ad addomesticare i suoi istinti, le civiltà si incontrano, dialogano, scambiano,
si fecondano le une le altre. Non c’è civiltà che non sia il prodotto di un meticciato.
L’occidente ha accolto l’eredità greca grazie alla civiltà musulmana. E quel che fu la civiltà dell’antica Grecia, essa lo doveva in larga misura a quanto aveva ereditato dall’Egitto e dall’oriente. E forse è nella religione che l’elemento universale delle civiltà si manifesta in modo più
forte. Sono le religioni, nonostante tutti i misfatti che si sono compiuti nel loro nofinalmente a parlare con la stessa voce a tutti gli uomini di un grande sogno di civiltà più forte della stupidità, più forte della violenza, più forte dell’odio. E’ una politica di civiltà quella di quanti, anche dall’interno dell’islam, così come
delle altre religioni, lottano contro il fanatismo e contro il terrorismo, di chi fa appello ai valori fondamentali dell’islam per combattere l’integralismo.L’integralismo è la negazione dell’islam. E’ una politica di civiltà quel che fanno tutti quanti operano per un islam aperto, un islam che
ricordi i secoli in cui era simbolo di apertura di spirito e di tolleranza, che ricordi che i suoi saggi tradussero Aristotele e Platone e furono per secoli, i saggi dell’islam, al vertice del progresso delle scienze.E’ una politica di civiltà quella di chi si sforza di conciliare progresso e tradizione,di giungere a una sintesi tra l’identità profonda dell’islam e modernità, senza urtare la coscienza dei credenti. E’quella attuata dall’Arabia Saudita sotto l’impulso di re Abdullah. E’ quella del presidente Mubarak in Egitto con la saggezza che gli è propria. E’ quella del re del Marocco quando, con passi successivi,fa progredire i diritti delle donne.
Sulla condizione delle donne, sulla libertà d’espressione, l’Arabia Saudita si è messa a sua volta in moto. Lentamente,certo, ma chi non rimane impressionato
dai cambiamenti prodotti in pochi anni, nel rispetto dell’integrità dei luoghi santi dell’islam, un’esigenza su cui il reame non può transigere e che l’obbliga a essere per il mondo intero modello di pietà e di fedeltà alla tradizione? E proprio in virtù di questa esigenza, di quel che l’Arabia Saudita rappresenta per tutti i musulmani, e anche dell’autorità morale e religiosa di re Abdullah che è tanto importante quello che avviene qui da voi. E quando, nel giugno 2006, sei donne sono state designate per la prima volta a membri del Consiglio consultivo, quell’evento ha rappresentato
un’evoluzione di cui comprendo bene la portata, e che accolgo con gioia. E’ qui, in Arabia Saudita, che i cambiamenti sono più delicati, più difficili forse,
ma è qui, anche, e dovete esserne coscienti,che questi cambiamenti hanno il maggiore valore simbolico, la maggiore portata per il mondo. Il ruolo di equilibrio e moderazione dell’Arabia Saudita non ha soltanto un’importanza regionale. Ha un’importanza mondiale. Il vostro ruolo non s’iscrive nel breve termine. Il vostro ruolo s’iscrive sul più lungo orizzonte temporale della storia delle civiltà. Qui, in Arabia Saudita, si gioca il rapporto dell’islam con la modernità. Qui, in Arabia Saudita, l’islam dimostrerà una forma di modernità che già possiede, che non distruggerà la sua identità, che non entrerà in conflitto con la fede. E’ questo che dà all’Arabia Saudita un’importanza tanto
grande sulla scena mondiale. Quando sua maestà il re Abdullah incontra il Papa, questo gesto è assai più importante per la pace e il futuro delle civiltà
di tante conferenze internazionali. Questo gesto d’immensa portata, di portata simbolica, significa per il mondo che agli occhi del re non è più tempo che le
religioni si combattano tra loro, ma che combattano insieme contro il declino dei valori morali e spirituali, contro il materialismo,contro gli eccessi dell’individualismo.Con questo gesto, sua maestà indica la via della salvezza che non sta nella chiusura e nel rifiuto, ma nell’aperturaagli altri e al mondo.
Tutto quanto avviene qui, tutta la politica dell’Arabia Saudita, tutto quanto re Abdullah esprime e fa, mostra la volontà non di rifiutare la modernità, ma di ammaestrarla per trasformarla, e metterla al servizio di una determinata idea dell’Uomo, di un progetto di civiltà. E’ la via che la Francia, per altro tanto diversa dal punto di vista della tradizione, della cultura, della storia, ha scelto a sua volta. La Francia non vuole essere soltanto un partnereconomico strategico per l’Arabia Saudita, anche se in questo campo, così come in campo scientifico o tecnologico, abbiamo moltissimo da fare insieme. La Francia vuole anche essere per l’Arabia Saudita un partner politico, perché l’Arabia Saudita e la Francia condividono gli stessi obiettivi, d’una politica di civiltà, perché l’Arabia Saudita e la Francia hanno la stessa volontà di far tutto il possibile per evitare lo scontro di civiltà e la guerra delle religioni, perché l’Arabia Saudita e la Francia hanno entrambe nel mondo, ciascuna a modo suo, un’influenza morale che le investe della responsabilità di combattere per la pace e per la giustizia. L’Arabia Saudita e la Francia non hanno soltanto interessi comuni. Hanno anche un ideale comune. Devono unirsi per farlo progredire nonostante tutte le forze che nel mondo vi si oppongono. Avete ben compreso, signor presidente, signori: la Francia vuole essere amica dell’Arabia Saudita. La Francia vuole essere amica del mondo arabo. Un amico che non cerca di impartire delle lezioni ma che dice la verità. Un amico che non domanda nulla ma che è presente quando si ha bisogno di lui. Signore e signori, viva l’amicizia franco-saudita, viva l’amicizia
franco-araba.
(traduzione di Elia Rigolio)
, ad averci insegnato per prime il principiodella morale universale, l’idea universale della dignità umana, il valore universale
della libertà e della responsabilità, dell’onestà e della rettitudine.Sua maestà il re Abdullah non ha detto cose diverse, rivolgendo ai pellegrini venuti
dal mondo intero queste parole di verità e saggezza: “Le grandi religioni divine condividono princìpi comuni e i grandi valori della tolleranza. Questi valori nel loro
insieme costituiscono lo spirito dell’umanità e distinguono l’uomo dalle altre creature. Voglio parlare dei valori d’integrità morale nella parola e nell’azione, della tolleranza, dell’uguaglianza, della dignità e del valore della pietra angolare di ogni società, ovvero la famiglia. Permettetemi –
proseguiva sua maestà – d’invitare tutti coloro cui giungeranno queste parole a ricordarci quanto riunisce le religioni, le fedi
e le culture”. Parlando così, parlando dei valori universali, sua maestà potrebbe
parlare a nome di tutti gli uomini. Questa verità, che in tutte le religioni, le fedi e le culture c’è un qualcosa di universale che permette a tutti gli uomini di
riconoscersi membri dell’umanità, di parlarsi, comprendersi, rispettarsi, amarsi; lo dico davanti al vostro Consiglio, è una verità, perché è realmente tale, che tutti noi,
in Arabia Saudita così come in Francia, abbiamo il dovere di promuovere, perché è tramite essa che possiamo vincere la barbarie di questi barbari che non danno
valore alcuno alla vita umana e alla dignità della persona umana. E’ una verità che abbiamo il dovere di far riconoscere,
perché il fatto di riconoscerla è una condizione fondamentale per la pace, per la fratellanza e il progresso umani. L’uomo non è sulla terra per distruggere la vita, ma per donarla. L’uomo non è sulla terra per odiare ma per amare. L’uomo non è sulla terra per trasmettere ai suoi figli meno di quanto abbia ricevuto, ma di più.
E’ questo, in fondo, quel che insegnano tutte le grandi religioni e tutte le grandi filosofie. E’ l’essenza di ogni forma di cultura e di civiltà. E’ ciò su cui noi dobbiamo
fondare la politica di civiltà di cui oggi il mondo ha urgente bisogno. gia senza riserva il piano della Lega araba, cui aderisce in ogni singola proposta.
Ma la diversità non è un bene in Francia e un male altrove. La diversità è una necessità civilizzatrice.Una politica di civiltà è una politica di solidarietà, una politica di condivisione. E’ una politica che non vuole occuparsi esclusivamente delle conseguenze, ma che vuole anche affrontare le cause, le cause della miseria e della disuguaglianza. E’ una politica che riconosce l’uguaglianza di tutti gli uomini e di tutti i popoli quanto a diritti, doveri, dignità, è una politica che pone la vita al di sopra di tutto. E’ una politica degli interessi vitali dell’umanità.E’ una politica di responsabilità nei confronti delle generazioni future,nei confronti del pianeta. E’ una politica che vuole lottare contro le derive della modernità, che vuole lottare contro gli eccessi della tecnica, dell’economia, della finanza, che vuole lottare control’inquinamento, contro il degrado dell’ambiente. E’ una politica dello svilupposostenibile.
Ma una politica di civiltà è innanzi tutto una politica di giustizia. Perché il senso d’ingiustizia nutre l’odio. La giustizia per il popolo palestinese è la condizione
per la pace e la sicurezza d’Israele. Guardo con fiducia al piano di composizione
del conflitto di sua maestà re Abdullah, approvato dalla Lega araba. Dopo le conferenze di Annapolis e Parigi, rinasce una speranza. Una pace giusta è possibile
con la creazione, quest’anno, di uno stato palestinese realmente fattibile e moderno. Sì, la pace è possibile! Non bisognerà risparmiare alcuno sforzo per giungervi attraverso i negoziati tra le parti. La comunità internazionale intera deve essere pronta ad accompagnare con determinazione il raggiungimento e l’attuazione
di un accordo. Dobbiamo giustizia a tutti i popoli oppressi, a tutti coloro che vengono sfruttati, a tutti quelli che soffrono perché non vedono riconosciuta
la loro dignità di esseri umani. Dobbiamo giustizia a tutte le donne, a tutti i bambini martirizzati nel mondo, se vogliamo poter vivere in pace su questa terra, se vogliamo poter estirpare dal cuore degli uomini il risentimento e la vendetta.La Francia vuole parlare a tutti perché vuole operare per le giustizia. Come far
progredire la giustizia se non si parla con chi commette ingiustizie? E’ per la giustizia che, a nome della Francia, davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite,
ho richiamato il mondo a condividere in modo più equo i redditi e a un New Deal economico ed ecologico a misura di pianeta. E’ in nome della giustizia che le
Francia ha preso l’iniziativa di riunire la conferenza degli stati donatori a favore dell’autorità palestinese. E’ in nome della giustizia che si è impegnata tanto a fondo
a favore della causa dell’indipendenza del Libano e a favore della causa del Darfur, dove è in corso uno dei più terribili drammi umani della nostra epoca. E’ in
nome della giustizia che la Francia sostiene che l’accesso al nucleare civile deve essere un diritto per tutti i popoli. E’ in nome della giustizia che la Francia perora
la causa del cosviluppo. E’ perché si plachi il senso d’ingiustizia, perché si plachino rancori e odi che la Francia ha preso l’iniziativa di proporre a tutti i paesi
che s’affacciano sul Mediterraneo di radunarsi nell’Unione per il Mediterraneo intorno all’idea della condivisione, della solidarietà, della comprensione e del rispetto.
E’ quel che propone la Francia, insieme con Italia e Spagna: porre finalmente termine al carattere profondamente ineguale del dialogo tra nord e sud e di impegnarsi
sulla via di un’associazione in cui ciascun paese del Mediterraneo abbia una parte uguale.Non sarà più il nord che viene a dare lezioni al sud, sarà uno scambio in cui ciascuno imparerà dall’altro, sarà uno sforzo condiviso in cui ciascuno contribuirà a forgiare un destino comune. Ciascuno, risalendo alla fonte di quel che è e di quello in cui crede, ritroverà le origini comuni, quel che unisce le religioni del Libro e le civiltà che ne discendono, e tutti insieme, ripeto tutti insieme, eredi del giudaismo, del cristianesimo, dell’islam, ricordandoci di quanto dobbiamo all’Egitto, alla Grecia e a Roma, avendo tutti nel cuore un qualcosa che ci lega ad Alessandria, a Gerusalemme e a Cordoba, impareremo Allora, cari amici dell’Arabia Saudita, non si tratta di cercare di imporre un modello unico di civiltà. Significherebbe ripetere una volta di più quel tragico errore che in passato ha causato tanta infelicità. Significherebbe negare le identità.Significherebbe fare il gioco di tutti gli estremisti. Significherebbe suscitare non pace e fraternità, ma violenza, guerra e terrorismo, perché non v’è nulla di più pericoloso di un’identità ferita, di un’identità umiliata. Un’identità umiliata è un’identità radicalizzata. Se la globalizzazione suscita tante critiche, tante tensioni, tanti rifiuti, è innanzitutto perché troppo
spesso viene percepita come una minaccia alle identità. La vita dell’uomo non ha soltanto una dimensione materiale. All’uomo non basta consumare per essere
felice. Una politica di civiltà è una politica che si prefigge come obiettivo la civilizzazionemdella globalizzazione. E’ una politica che integra lo scontro delle civiltà
morale, spirituale., ponendo l’accento su dimensione intellettuale,quanto unisce gli uomini, andando oltre quel che li contrappone.
Una politica di civiltà è una politica della diversità, una politica che fa del rispetto della diversità delle opinioni, delle culture, delle fedi, delle religioni un principio universale. Cari amici sauditi, la diversità non è soltanto un valore occidentale. E’ un valore che deve essere comune a tutte le civiltà. D’altronde, la diversità
era un valore onorato ad Alessandria, a Costantinopoli, a Cordoba. E’ un valore che ho voluto far rispettare in Francia creando il Consiglio del culto musulmano.
E’ il valore che mi ispira quando cerco di agevolare la costruzione delle moschee in Francia, affinché i musulmani francesi possano pregare in luoghi di,culto dignitosi. E’ la volontà di promuovere la diversità come valore che sottende alla politica francese in Libano. Come l’Arabia Saudita, la Francia non risparmierà alcuno sforzo perché il Parlamento libanese possa eleggere nei tempi più brevi possibili un presidente in cui si riconoscano le componenti della nazione libanese
nella loro diversità.
Ciascuno, risalendo alla fonte di ciò in cui crede, ritroverà le origini comuni. Insiemeparleremo con la stessa voce Non conosco paese in cui la
morale, anche se incorpora altre influenze filosofiche, non abbia anche radici religiose
Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, in visita in Arabia Saudita lunedì scorso (Reuters)Parigi. Nicolas Sarkozy vuole “l’avvento di una laicità positiva che consideri le religioni non come un pericolo, ma come un atout” e ieri, presentando i suoi auguri alle autorità religiose, il presidente francese è tornato sull’eredità “civilizzatrice” della religione. Con tanto di barricate della sinistra contro i suoi discorsi di San Giovanni in Laterano a dicembre e di Riad lunedì scorso.,Mi si accusa di interessarmi troppo alla religione, ma penso che si possano rispettare quelli che vogliono andare a messa e aprire le biblioteche la domenica – ha risposto
Sarkozy –Non è assolutamente contraddittorio. Non metto gravemente in discussione la laicità”. Quella di Sarkozy è innanzitutto una battaglia culturale, contro una laicità trasformata in dogma di stato e per rimettere l’uomo e le sue aspirazioni al centro dell’azione politica. Ma dietro c’è anche molta tattica politica. “Il presidente e i suoi consiglieri hanno letto le analisi sulla postmodernitàm(...), l’idea che non si possa più avere fiducia nel progresso come ai tempi dei Lumi”, ha spiegato a Libération lo storico della laicità, Jean Baubérot: “All’epoca la scienza e le sue applicazioni promettevano di migliorare la vita sulla terra, mentre oggi sono accusate di mettere in pericolo la terra. Insieme col declino delle grandi ideologie, questo porta a una crescita in potenza delle incertezze. Dal punto di vista della presa di coscienza di questa realtà”, Sarkozy è all’avanguardia. Ma la battaglia culturale dell’intellettuale Sarkozy (aiutato dalla “plume” del suo consigliere Henri Guaino), la sua “politica della civilizzazione” in cui la Francia deve essere “l’anima del nuovo Rinascimento di cui il mondo ha bisogno”, nascondono l’incapacità o l’impossibilità di realizzare, tutte e subito, le riforme promesse in campagna elettorale. Secondo Edgar Morin, il filosofo autore del libro “Una politica di civilizzazione”da cui la coppia Sarkozy-Guaino si è ispirata, il presidente è “intrappolato dalle circostanze e da tutte le sue promesse”. La crisi economica mondiale ha impedito l’effetto
catalizzatore del suo arrivo all’Eliseo sulla crescita francese. Le prime riforme adottate in luglio non hanno dato frutti. Soprattutto, Sarkozy ha la tendenza “delle
riforme fatte solo a metà”, come ha scritto sul Monde l’editorialista Eric Le Boucher. La liberalizzazione delle 35 ore è stata frenata dalla burocrazia imposta alle imprese per concedere più ore di straordinario.La riforma dei regimi speciali delle pensioni è stata annacquata dalle concessioni ai lavoratori del para-pubblico. L’accordo tra imprenditori e sindacati sulla “flessicurezza”, benedetto da Sarkozy, è troppo francese per dinamizzare il mercato del lavoro.La tattica è sempre uguale: il presidente annuncia grandi cambiamenti, ma si ferma di fronte alle contestazioni, con l’occhio puntato sui sondaggi. Solo che, visto che il 53 per cento dei
francesi ha eletto Sarkozy anche per la sua rupture economica, i francesi sono arrabbiati. Per la prima volta, i giudizi favorevoli sono scesi sotto il 50 per cento, con un calo di 38 punti tra le famiglie i cui redditi non superano i 1.200 euro al mese. “Tutta colpa delle promesse sul potere d’acquisto non mantenute”, dicono gli analisti di destra e di sinistra. Ieri mattina, prima di rivolgersi alle autorità religiose, facendo gli auguri a sindacati e imprenditori, Sarkozy ha spiegato che quando si fa “credere ai francesi che sarebbe possibile distribuire il potere d’acquisto subito, senza lavoro esenza riforme, si fa la stessa demagogia che senza riforme, si fa la stessa demagogia che ha fatto tanto male alla Francia negli ultimi tre decenni”. Senza lavoro e riforme “non ci sono creazione di ricchezza, ridistribuzione possibile e potere d’acquisto”. Gli slogan sono quelli di sempre – “lavorare di più per guadagnare di più” e “liberare il lavoro” – l’agenda politica è carica di riforme – il 23 gennaio la commissione Attali presenterà le sue proposte per togliere i freni all’economia e il 6 febbraio si aprirà
il cantiere per modernizzare il sistema di protezione sociale. Ma non sono previste borsettate thatcheriane contro i sindacati, Sarkozy esita tra i consiglieri keynesiani e quelli liberali, mentre la politica di civilizzazione prevede di “cambiare tutto” in economia ma solo “nella durata”. Finora, ha spiegato Le Boucher, “le riforme intraprese sono numerose. Hanno tuttavia dato l’impressione del barcamenarsi”.
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