Missione in Africa: educare ed educare
Giuliano Imbasciati
La presenza dei preti della San Carlo a Nairobi, dal 1997.
La costruzione di una chiesa, un asilo, i seminari su Il rischio educativo, e una nuova casa per i missionari africani
L’Africa è un mondo complesso, mai uguale a se stesso. I Paesi sono tutti profondamente diversi gli uni dagli altri e ogni Paese, al suo interno, vive molteplici differenze.
Essere in missione in Africa significa comprendere queste differenze e, successivamente, imparare ad accoglierle. Spesso convivono a stretto contatto più tribù, e la differenza tra esse è molto più marcata di quella che, ad esempio, ci può essere in Europa tra un italiano e un tedesco, tra un francese e uno spagnolo. Spesso convivono assieme diversità culturali e di classe che, a vista d’occhio, feriscono lo sguardo e gridano allo scandalo.
Quando la Fraternità San Carlo arrivò a Nairobi (Kenya), la prima cosa che dovette fare fu comprendere tutte le diversità presenti e imparare a vivere insieme ad esse.
Kahawa Sukari è il quartiere di Nairobi dove abitano i sacerdoti della San Carlo. È un vasto appezzamento di terra strappato dalle coltivazioni alla savana e che oggi si presenta come un quartiere residenziale di circa ventimila abitanti. Una parte di essi sono funzionari statali, agiati e moderatamente ricchi; un’altra parte sono persone povere che popolano una serie di baracche in lamiera costruite alla meno peggio nel corso degli ultimi anni. La lingua swahili, con il suo realismo, chiama questa zona Matopeni, “dove c’è fango”, a causa della poltiglia che, durante la stagione delle piogge, circonda ogni cosa.
Dal legno alla pietra
Al centro del quartiere si trova la parrocchia dedicata a San Giuseppe, affidata dal 1997 alla Fraternità. Al loro arrivo don Alfonso Poppi, don Valerio Valeri e don Roberto Amoruso trovarono semplicemente una chiesetta costruita in legno e lamiera da alcuni parrocchiani volenterosi. Oggi è diventata una chiesa in pietra con un alto campanile che domina l’intero quartiere. La nuova costruzione accoglie ogni domenica più di mille persone. La comunità parrocchiale, che deve convivere con più di una dozzina di altre confessioni cristiane, è suddivisa in quattordici piccoli gruppi. Ognuno di essi si ritrova una volta alla settimana per pregare assieme e per studiare il catechismo. I legami di amicizia che nascono all’interno di queste piccole comunità sono un grande aiuto per vivere la Chiesa come una famiglia. Alla domenica la Sunday School riunisce più di duecento bambini. Alcuni genitori li coinvolgono in canti ed attività creative che hanno a tema le letture della messa. Il piano interrato della nuova chiesa è la sede operativa delle attività di un progetto sociale che dal 2000 tenta di venire incontro alle situazioni più gravi in cui si trovano molti abitanti: i giovani senza istruzione e senza lavoro, le donne abbandonate dai mariti con un nugolo di bambini da mantenere, i malati di aids. Su tutti spesso domina la mancanza di un senso con cui affrontare queste difficili situazioni. Per questo “educare” è la parola d’ordine.
Dall’asilo
“ Emanuela Mazzola”…
La prima cosa che gli abitanti chiesero ai tre sacerdoti mandati da don Massimo Camisasca a Kahawa fu di costruire una scuola materna. L’asilo, dedicato ad Emanuela Mazzola, studentessa di Architettura di Bresso prematuramente scomparsa, è oggi arrivato al quarto anno di attività e si segnala in tutto il Kenya per la particolarità del metodo educativo. «Una signora protestante - racconta don Alfonso - all’ultimo incontro con i genitori ha confessato di aver spiato per mesi dalla sua finestra il lavoro delle insegnanti durante i giochi in cortile. “Devo ammettere che ho mandato mia figlia in questo asilo solo perché non ho mai visto tanta delicatezza come in questa scuola!”. Altri, stupiti, ci hanno rivelato che i loro figli vogliono andare a scuola anche quando sono malati».
Tutto ciò è stato possibile grazie al prezioso lavoro educativo di Simona, della scuola “La carovana” di Modena, che si è trasferita più volte a Kahawa per dei periodi di stage. L’opera di educazione delle insegnanti è stato l’impegno più grande di questi anni. «Far percepire loro l’accoglienza totale e disinteressata che ogni bambino merita, ha portato frutto nella loro vita personale e in molti ambiti della vita parrocchiale» dice don Alfonso. «La novità accaduta nella loro vita può ora continuare grazie alla Scuola di comunità in cui tutte le maestre si sono col tempo liberamente coinvolte».
…a una futura scuola
Educare, dunque, come accogliere chi si ha di fronte in un’amicizia più grande: questo il segreto dell’asilo di Kahawa.
Il frutto invece più recente della presenza a Kahawa è stato il sorgere di un gruppo di genitori che ha voluto dar vita a una fondazione impegnata nel settore educativo. Il desiderio dei parrocchiani è, infatti, costruire anche una scuola elementare stanno vagliando l’ipotesi di acquistare e gestire una scuola elementare del quartiere. Anche nelle università keniote c’è chi insegna un metodo pedagogico integrale, ma nella realtà il valore di un ragazzo è esclusivamente determinato dai suoi risultati scolastici.
« Dopo una serie di seminari su Il rischio educativo» continua don Alfonso Poppi «questi amici ci hanno chiesto di iniziare la Scuola di comunità. Il primo progetto è quello che loro stessi hanno chiamato “zero project”: non si può educare se non si è educati. Queste persone, nonostante l’età matura, sono come dei figli per noi, nati inaspettatamente ed accolti con gioia. Il nome “Fondazione dell’amicizia” è emblematico: l’amicizia che è nata fra loro è il riflesso dell’amicizia che vivono la casa della San Carlo e quella dei Memores Domini, anch’essi da anni presenti a Nairobi».
La San Carlo a settembre inaugurerà a Kahawa la nuova casa per i missionari, in cui potranno essere accolti anche i giovani africani che volessero intraprendere la strada del sacerdozio.
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Nuovi diaconi e sacerdoti
Il 19 giugno scorso, nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, il cardinale Giacomo Biffi ha ordinato cinque giovani della Fraternità San Carlo: Andrea Barbero (destinato a Praga), Massimiliano Boiardi (collaboratore del segretario generale della Fraternità), Giuliano Imbasciati (destinato a Nairobi), Emanuele Luisi (destinato alla nuova casa di Frosinone), Emmanuele Silanos (segretario del superiore generale).
Nella medesima occasione sono stati ordinati otto nuovi diaconi: Agapitus Angii, il primo membro definitivo africano della Fraternità, raggiungerà la casa di Kahawa Sukari a Nairobi; Gabriele Azzalin partirà per Novosibirsk (Siberia); Alessandro Caprioli inizierà lo studio dell’ungherese a Budapest; Raffaele Cossa lavorerà nella parrocchia di Santa Giulia a Torino; Ettore Ferrario partirà per Asunción (Paraguay); Matteo Invernizzi sarà collaboratore del rettore della casa di formazione di Roma; Luis Miguel Hernández è stato destinato alla casa di Alverca (Lisbona), mentre Jacques du Plouy rimarrà a Montréal (Canada).
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Dall’omelia del cardinale Giacomo Biffi
« Dio è più grande del nostro cuore» (1Gv 3,20), che di fronte al male trionfante e alla straripante insipienza degli uomini spesso si avvilisce e talvolta addirittura sente vacillare la sua fiducia nella causa del Vangelo.
Dio ci rianima proprio dimostrando di saper sempre operare i suoi prodigi, come senza dubbio è quello di suscitare, da un mondo che parrebbe inaridito, dei cristiani ancora capaci di puntare la loro unica vita nella sequela ravvicinata del Signore Gesù. (…)
Ebbene, oggi Dio chiama personalmente ciascuno di voi perché vi facciate collaboratori di questo incontro; oggi vi assume a tempo pieno perché vi adoperiate instancabilmente a portare gli uomini al loro unico Salvatore; oggi vi prende perché diventiate strumenti efficaci della presenza di Cristo in mezzo ai vostri fratelli. Al centro dell’iniziativa di amore dalla quale gli uomini sono redenti e trasfigurati c’è però la croce. «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto» (Lc 9,22), abbiamo ascoltato dal Vangelo. Ma se questa è la strada percorsa dal Redentore, la medesima strada è assegnata anche ai suoi seguaci: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua» (Lc 9,23). (…) Le croci, non ci sarà alcun bisogno che andiate a cercarle: accontentatevi di quelle che presto o tardi vi arriveranno a segnare la vostra sollecitudine di ogni giorno. Però non dovete temere. Tutta la Chiesa sarà sempre con voi, come è con voi questa sera col suo affetto di madre. Stasera la Chiesa è con voi nell’attenzione commossa di chi vi si stringe attorno; è con voi nella preghiera consacratoria del vescovo; è con voi nell’intercessione dei santi. Con voi c’è la Vergine Maria, che vi accompagna e vi guida nella vostra scelta irrevocabile. Stasera la Madre di Dio vi dà anche il programma essenziale del vostro sacerdozio, additando il Signore Gesù e ripetendo per voi le parole pronunciate a Cana di Galilea: «Fate sempre tutto quello che lui vi dirà» (cfr. Gv 2,5).
Giuliano Imbasciati
La presenza dei preti della San Carlo a Nairobi, dal 1997.
La costruzione di una chiesa, un asilo, i seminari su Il rischio educativo, e una nuova casa per i missionari africani
L’Africa è un mondo complesso, mai uguale a se stesso. I Paesi sono tutti profondamente diversi gli uni dagli altri e ogni Paese, al suo interno, vive molteplici differenze.
Essere in missione in Africa significa comprendere queste differenze e, successivamente, imparare ad accoglierle. Spesso convivono a stretto contatto più tribù, e la differenza tra esse è molto più marcata di quella che, ad esempio, ci può essere in Europa tra un italiano e un tedesco, tra un francese e uno spagnolo. Spesso convivono assieme diversità culturali e di classe che, a vista d’occhio, feriscono lo sguardo e gridano allo scandalo.
Quando la Fraternità San Carlo arrivò a Nairobi (Kenya), la prima cosa che dovette fare fu comprendere tutte le diversità presenti e imparare a vivere insieme ad esse.
Kahawa Sukari è il quartiere di Nairobi dove abitano i sacerdoti della San Carlo. È un vasto appezzamento di terra strappato dalle coltivazioni alla savana e che oggi si presenta come un quartiere residenziale di circa ventimila abitanti. Una parte di essi sono funzionari statali, agiati e moderatamente ricchi; un’altra parte sono persone povere che popolano una serie di baracche in lamiera costruite alla meno peggio nel corso degli ultimi anni. La lingua swahili, con il suo realismo, chiama questa zona Matopeni, “dove c’è fango”, a causa della poltiglia che, durante la stagione delle piogge, circonda ogni cosa.
Dal legno alla pietra
Al centro del quartiere si trova la parrocchia dedicata a San Giuseppe, affidata dal 1997 alla Fraternità. Al loro arrivo don Alfonso Poppi, don Valerio Valeri e don Roberto Amoruso trovarono semplicemente una chiesetta costruita in legno e lamiera da alcuni parrocchiani volenterosi. Oggi è diventata una chiesa in pietra con un alto campanile che domina l’intero quartiere. La nuova costruzione accoglie ogni domenica più di mille persone. La comunità parrocchiale, che deve convivere con più di una dozzina di altre confessioni cristiane, è suddivisa in quattordici piccoli gruppi. Ognuno di essi si ritrova una volta alla settimana per pregare assieme e per studiare il catechismo. I legami di amicizia che nascono all’interno di queste piccole comunità sono un grande aiuto per vivere la Chiesa come una famiglia. Alla domenica la Sunday School riunisce più di duecento bambini. Alcuni genitori li coinvolgono in canti ed attività creative che hanno a tema le letture della messa. Il piano interrato della nuova chiesa è la sede operativa delle attività di un progetto sociale che dal 2000 tenta di venire incontro alle situazioni più gravi in cui si trovano molti abitanti: i giovani senza istruzione e senza lavoro, le donne abbandonate dai mariti con un nugolo di bambini da mantenere, i malati di aids. Su tutti spesso domina la mancanza di un senso con cui affrontare queste difficili situazioni. Per questo “educare” è la parola d’ordine.
Dall’asilo
“ Emanuela Mazzola”…
La prima cosa che gli abitanti chiesero ai tre sacerdoti mandati da don Massimo Camisasca a Kahawa fu di costruire una scuola materna. L’asilo, dedicato ad Emanuela Mazzola, studentessa di Architettura di Bresso prematuramente scomparsa, è oggi arrivato al quarto anno di attività e si segnala in tutto il Kenya per la particolarità del metodo educativo. «Una signora protestante - racconta don Alfonso - all’ultimo incontro con i genitori ha confessato di aver spiato per mesi dalla sua finestra il lavoro delle insegnanti durante i giochi in cortile. “Devo ammettere che ho mandato mia figlia in questo asilo solo perché non ho mai visto tanta delicatezza come in questa scuola!”. Altri, stupiti, ci hanno rivelato che i loro figli vogliono andare a scuola anche quando sono malati».
Tutto ciò è stato possibile grazie al prezioso lavoro educativo di Simona, della scuola “La carovana” di Modena, che si è trasferita più volte a Kahawa per dei periodi di stage. L’opera di educazione delle insegnanti è stato l’impegno più grande di questi anni. «Far percepire loro l’accoglienza totale e disinteressata che ogni bambino merita, ha portato frutto nella loro vita personale e in molti ambiti della vita parrocchiale» dice don Alfonso. «La novità accaduta nella loro vita può ora continuare grazie alla Scuola di comunità in cui tutte le maestre si sono col tempo liberamente coinvolte».
…a una futura scuola
Educare, dunque, come accogliere chi si ha di fronte in un’amicizia più grande: questo il segreto dell’asilo di Kahawa.
Il frutto invece più recente della presenza a Kahawa è stato il sorgere di un gruppo di genitori che ha voluto dar vita a una fondazione impegnata nel settore educativo. Il desiderio dei parrocchiani è, infatti, costruire anche una scuola elementare stanno vagliando l’ipotesi di acquistare e gestire una scuola elementare del quartiere. Anche nelle università keniote c’è chi insegna un metodo pedagogico integrale, ma nella realtà il valore di un ragazzo è esclusivamente determinato dai suoi risultati scolastici.
« Dopo una serie di seminari su Il rischio educativo» continua don Alfonso Poppi «questi amici ci hanno chiesto di iniziare la Scuola di comunità. Il primo progetto è quello che loro stessi hanno chiamato “zero project”: non si può educare se non si è educati. Queste persone, nonostante l’età matura, sono come dei figli per noi, nati inaspettatamente ed accolti con gioia. Il nome “Fondazione dell’amicizia” è emblematico: l’amicizia che è nata fra loro è il riflesso dell’amicizia che vivono la casa della San Carlo e quella dei Memores Domini, anch’essi da anni presenti a Nairobi».
La San Carlo a settembre inaugurerà a Kahawa la nuova casa per i missionari, in cui potranno essere accolti anche i giovani africani che volessero intraprendere la strada del sacerdozio.
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Nuovi diaconi e sacerdoti
Il 19 giugno scorso, nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, il cardinale Giacomo Biffi ha ordinato cinque giovani della Fraternità San Carlo: Andrea Barbero (destinato a Praga), Massimiliano Boiardi (collaboratore del segretario generale della Fraternità), Giuliano Imbasciati (destinato a Nairobi), Emanuele Luisi (destinato alla nuova casa di Frosinone), Emmanuele Silanos (segretario del superiore generale).
Nella medesima occasione sono stati ordinati otto nuovi diaconi: Agapitus Angii, il primo membro definitivo africano della Fraternità, raggiungerà la casa di Kahawa Sukari a Nairobi; Gabriele Azzalin partirà per Novosibirsk (Siberia); Alessandro Caprioli inizierà lo studio dell’ungherese a Budapest; Raffaele Cossa lavorerà nella parrocchia di Santa Giulia a Torino; Ettore Ferrario partirà per Asunción (Paraguay); Matteo Invernizzi sarà collaboratore del rettore della casa di formazione di Roma; Luis Miguel Hernández è stato destinato alla casa di Alverca (Lisbona), mentre Jacques du Plouy rimarrà a Montréal (Canada).
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Dall’omelia del cardinale Giacomo Biffi
« Dio è più grande del nostro cuore» (1Gv 3,20), che di fronte al male trionfante e alla straripante insipienza degli uomini spesso si avvilisce e talvolta addirittura sente vacillare la sua fiducia nella causa del Vangelo.
Dio ci rianima proprio dimostrando di saper sempre operare i suoi prodigi, come senza dubbio è quello di suscitare, da un mondo che parrebbe inaridito, dei cristiani ancora capaci di puntare la loro unica vita nella sequela ravvicinata del Signore Gesù. (…)
Ebbene, oggi Dio chiama personalmente ciascuno di voi perché vi facciate collaboratori di questo incontro; oggi vi assume a tempo pieno perché vi adoperiate instancabilmente a portare gli uomini al loro unico Salvatore; oggi vi prende perché diventiate strumenti efficaci della presenza di Cristo in mezzo ai vostri fratelli. Al centro dell’iniziativa di amore dalla quale gli uomini sono redenti e trasfigurati c’è però la croce. «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto» (Lc 9,22), abbiamo ascoltato dal Vangelo. Ma se questa è la strada percorsa dal Redentore, la medesima strada è assegnata anche ai suoi seguaci: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua» (Lc 9,23). (…) Le croci, non ci sarà alcun bisogno che andiate a cercarle: accontentatevi di quelle che presto o tardi vi arriveranno a segnare la vostra sollecitudine di ogni giorno. Però non dovete temere. Tutta la Chiesa sarà sempre con voi, come è con voi questa sera col suo affetto di madre. Stasera la Chiesa è con voi nell’attenzione commossa di chi vi si stringe attorno; è con voi nella preghiera consacratoria del vescovo; è con voi nell’intercessione dei santi. Con voi c’è la Vergine Maria, che vi accompagna e vi guida nella vostra scelta irrevocabile. Stasera la Madre di Dio vi dà anche il programma essenziale del vostro sacerdozio, additando il Signore Gesù e ripetendo per voi le parole pronunciate a Cana di Galilea: «Fate sempre tutto quello che lui vi dirà» (cfr. Gv 2,5).
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