“La Ru 486 ci sta portando nell’era dell’aborto fai-da-te”. La giornalista e intellettuale indiana, Seema Sirohi, si è sfogata sul quotidiano americano Cristian Science Monitor: “Sbaglia di grosso chi sostiene che le indiane che abortiscono i feti femmina stanno esercitando una ‘libertà di scelta’”.
In Cina, India e Corea del Nord scompaiono nel ventre dell’infanticidio e dell’aborto eugenetico. La profezia di Amartya Sen e il Times che parla di “genocidio”. Esperimenti di allevamento selettivo dell’uomo
di Giulio Meotti
Tratto da IL FOGLIO del 9 gennaio 2008
Roma. Nel distretto indiano di Gandhinagar, quaranta coppie in procinto di sposarsi hanno pronunciato un giuramento rituale e rivoluzionario: “Non ricorreremo mai all’aborto selettivo o all’infanticidio”. Il leader religioso Swami Agnivesh ha organizzato una carovana popolare di protesta: “Non c’è forma più dolorosa, abominevole e priva di pudore di questo aborto di massa”. Il mostro eugenetico in India sta assumendo proporzioni epocali, la dimensione mitica di un esperimento di allevamento selettivo dell’uomo. La Bbc, sulla scorta di uno studio dell’Università di Oxford, rivela che anche le comunità indiane che vivono in Inghilterra praticano l’infanticidio attraverso l’aborto eugenetico. Le chiamano “bambine perdute”, il Times di Londra usa esplicitamente la parola “genocidio”. “Non è soltanto un fenomeno asiatico, il feticidio femminile prende piede ovunque nel mondo”. Un rapporto Unicef rende note le statistiche: “Due milioni di bambine ‘scompaiono’ ogni anno”. Un infanticidio silenzioso, sostenuto dalle agenzie delle Nazioni Unite, dalla compiacenza culturale progressista e da politiche antinataliste dal volto totalitario. “Le femmine sono una specie a rischio” denuncia il Times of India.
La dottoressa Shanta Durge, fondatrice del movimento Save the Girl Child, afferma che ogni giorno in India, dove in teoria l’individuazione del sesso è vietata per legge, si praticano migliaia di aborti selettivi. Secondo le Nazioni Unite, duemila feti femminili vengono abortiti illegalmente ogni giorno nel “giardino dell’induismo”. Una stima ancor più elevata è data dal rapporto Unicef “La condizione dell’infanzia nel mondo 2007”.
Un eugenismo bianco che affiora di tanto in tanto sulla grande stampa scientifica. “India, 10 milioni di feti femminili abortiti in 20 anni”. A rivelarlo è la prestigiosa rivista inglese The Lancet. Ogni anno scompare una città di 500.000 bambine.
Secondo l’Onu in Cina c’è il rischio di aborti o infanticidi per 40-60 milioni di bambine. In base alle stime del governo comunista, in Cina ci sono 116 maschi ogni 100 femmine, ma altri dati registrano 122 maschi contro 100 femmine. Il Partito due giorni fa ha espulso 500 iscritti nella centrale regione dell’Hubei perché hanno violato la politica del figlio unico.
L’Assemblea nazionale del Popolo sei mesi fa aveva rifiutato di approvare un emendamento al Codice penale che proponeva il bando degli aborti selettivi. Robin Dunbar, docente di Psicologia evolutiva presso l’Università di Liverpool, in un articolo pubblicato l’8 settembre sul quotidiano Scotsman ha spiegato che secondo le stime attuali, in Cina vi sarebbero circa 18 milioni di uomini in eccesso rispetto alla popolazione femminile in età da matrimonio. E la tendenza è prevista in aumento, per raggiungere i 37 milioni nel 2020.
“Paga 500 rupie e risparmiane 50.000” recita uno degli slogan più usati nel distretto indiano di Salem. Il messaggio è chiaro: se abortisci risparmierai in denaro cento volte tanto.
In India mancano all’appello più di sessanta milioni di femmine entro i sei anni. L’Indian Medical Association ha parlato di un “olocausto silenzioso”. India Today è arrivata a definire i medici come una vera e propria “Gestapo dei generi”, mentre il generalmente posato The Hindu ha titolato “Dall’utero alla tomba”. “Dove sono andate a finire tutte le bambine?” chiedeva il Financial Times nel febbraio del 2003. L’India è diventata la nazione al mondo con la percentuale più bassa di donne.
“Se non volete i vostri bambini, dateli a noi” dice il ministro Renuka Chowdhury. “Non uccideteli”.
In occidente, le donne sono il 3 per cento più degli uomini, in India questi ultimi sono l’8 per cento in più delle femmine. L’attivista evangelico americano Joseph Farrah parla del “più grande singolo olocausto nella storia dell’uomo”.
E’ il cuore vivo della lettera dell’arcivescovo di Mombay, Oswald Gracias, con la quale ha aderito alla moratoria del Foglio. Si avvera la funerea profezia del 1991 del premio Nobel Amartya Sen: “Mancheranno un milione di donne per ogni censo annuale. E’ una rivoluzione tecnologica di tipo reazionario. Il sessismo dell’aborto selettivo”. Sen parla di “strage delle bambine”: “In paesi come Cina e India, le nascite di bambine sono in diminuzione rispetto a quelle maschili. Il progresso scientifico consente adesso la determinazione prenatale del sesso, così le donne subiscono questa altra offesa, una sorta di discriminazione high tech, l’aborto selettivo”.
Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione fissa a 950:1.000 il normale rapporto della natalità maschio/femmina. Nel 1981 in India ogni 1.000 maschi c’erano 962 femmine, nel 1991 sono scese a 945 e nel 2001 a 927. Per la norma, ogni 1.000 maschi dovrebbero esserci 1.050 femmine. Anche stati poveri, come il Brasile, si attestano sulle 1025. Non è un fenomeno da leggere attraverso le categorie stantie del materialismo politicamente corretto, lo dimostra l’inchiesta stessa dello United Nations Population Fund: “Non è una pratica diffusa fra i poveri e gli illetterati, ma in crescita nelle regioni più ricche, dalla prosperità relativa e con un’elevata educazione”. Lo dimostra il fatto che nel Punjab, la regione che traina il terziario indiano, le femmine sono scese addirittura a 793 ogni 1.000 maschi. Percentuali simili in Gujarat e Haryana, i due stati più ricchi della federazione.
L’India è sommersa di apparecchi ecografici, è possibile fare diagnosi sul sesso persino nei piccoli paesi che sono ancora privi di acqua potabile o di strade decenti.
Il costo è di circa 8 dollari a ecografia, l’equivalente di una paga settimanale. Le insegne dei laboratori che eseguono i test sono dovunque: “Ultrasuoni. Un bambino sano”. La femminista indiana Anna Dani scrive che “la scoperta degli ultrasuoni si è dimostrata una nemesi per il feto femmina.
La classe medica ha capito velocemente le opportunità che si celano dietro le insaziabili richieste di un figlio maschio”. E’ stato anche girato un film, “A nation without women”. Si apre con la sequenza di una bambina appena nata annegata dalla madre in un calderone di latte. Il più celebre ginecologo indiano, Behram Anklesaria, ha dichiarato che “il feticidio femminile è bioterrorismo”.
L’eugenetica non è occultata. Il Medical Termination of Pregnancy Act del 1971 specifica che il bambino disabile non ha diritto a nascere. Sono nate associazioni che accolgono le madri che hanno deciso di non abortire e di non abbandonare i loro figli. “I medici qui stanno diventando degli impiegati che praticano aborti in modo automatico” raccontava al New York Times Namrata Madan, obiettore di coscienza. “La Ru 486 ci sta portando nell’era dell’aborto fai-da-te”. La giornalista e intellettuale indiana, Seema Sirohi, si è sfogata sul quotidiano americano Cristian Science Monitor: “Sbaglia di grosso chi sostiene che le indiane che abortiscono i feti femmina stanno esercitando una ‘libertà di scelta’”.
Scrive Sumita Thapar che “da quando negli anni Settanta è stata realizzata la tecnologia per la determinazione del sesso, l’aborto selettivo è sfociato in una saga dell’orrore. Gli esperti parlano di “barbarie sanitaria’”. E il dottor Satish Agnihotri bolla la tecnologia neonatale come “arma di distruzione di massa”. Il medico fetale Puneet Bedi spiega che “termini come ‘preferenza del maschio’ e ‘selezione sessuale’ sono usati per mascherare l’assassinio su vasta scala”. “Negli anni Ottanta era un sospetto, nei Novanta una vaga certezza, oggi un fatto incontrovertibile” commenta The Hindu. “Siamo di fronte a un’emergenza nazionale, a un’epidemia dalle conseguenze sociali terribili”. “Li bruciano vicino al campo” In Corea del Nord l’eugenetica ha un ghigno totalitario. Il dottor Ri Hwang-chol, fuggito dai gulag di Pyongyang grazie a New Right Union, organizzazione religiosa che assiste i fuoriusciti dal reame rosso sangue di Kim Jong Il, ha da poco denunciato che “non ci sono disabili nella Corea del Nord”. “I bambini con disabilità sono uccisi appena nati o abortiti, negli ospedali o a casa, seppelliti in tutta fretta. La pratica è incoraggiata dallo stato, un modo per purificare le masse ed eliminare le persone che possono essere considerate ‘differenti’”.
C’era stato il libro di Bradley Martin, “Under the Loving Care”, nel quale si parla dell’“assenza di handicappati a Pyongyang”. Il 16 gennaio 2003 l’Herald Tribune pubblicò l’inchiesta di Nicholas Kristof: “La volta in cui mi fu concesso di entrare in Corea del Nord, anni e anni fa, non ho potuto trovare nessuno in carrozzella, sulle stampelle o senza una gamba”.
Dal ventre osceno di quel regime comunista ha parlato Lee Soon Ok, ospite della prigione di Kaechon: “Sono stata in prigione dal 1987 al 1993 e le guardie costringevano le donne ad abortire. Era un inferno inumano. Una donna e il marito disabile sono stati uccisi insieme e seppelliti in una foresta vicino alla prigione”. Park Sun-ja, una rifugiata nord coreana, ha raccontato degli aborti forzati durante una recente conferenza internazionale sulle violazioni dei diritti umani in Corea del Nord. “Tutti i prigionieri sanno che i bambini vengono avvolti in un pezzo di stoffa e bruciati in una collina vicino al campo”.
Nessun commento:
Posta un commento