...... la tentazione di trasformare il cristianesimo in moralismo, il moralismo in politica. Monsignor Giussani ha creduto, anche in questa situazione, che l’incontro con Cristo rimane centrale, perché chi non dà Dio, dà troppo poco e alla fine non costruisce, ma distrugge, perché fa perdere l’azione umana in dogmatismi ideologici e falsi”. |
martedì 26 febbraio 2008 | |
“Cristo e la Chiesa: senza mai separare l’uno dall’altra. Sta qui la sintesi della sua vita e del suo apostolato”. Così scriveva Giovanni Paolo II in occasione della morte di don Luigi Giussani, avvenuta tre anni fa, il 22 febbraio 2005.
E’ quanto ha sottolineato anche il nostro Arcivescovo, S. E. Mons. Piero Coccia, che per la ricorrenza ha celebrato sabato scorso, nel Santuario della Madonna delle Grazie, una Santa Messa, nella quale è stato ricordato, al tempo stesso, il 26° anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione. Cristo, ha detto l’Arcivescovo commentando le letture del giorno incentrate sulla simbologia dell’acqua, è stato per don Giussani l’unica “acqua” capace di dissetare la sete strutturale dell’uomo, una sete che nessun’altra fonte, nessun’altra oasi può estinguere nel deserto della vita. La sua non è stata una fede “labile, incerta, stagionale, emozionale”, ma una certezza salda, radicata nell’esperienza, capace di generare speranza e quindi di incidere profondamente sulla realtà. Una fede “imperterrita” gli riconobbbe anche l’allora Cardinale Ratzinger, nell’omelia tenuta in occasione della cerimonia funebre: “In tempi in cui serpeggiavano tensioni e contrapposizioni tra movimenti e parrocchie, Chiesa carismatica e Chiesa istituzionale, mons. Luigi Giussani ha sempre comunicato intorno a sé un vero amore e una sincera fedeltà verso i Vescovi e i Pontefici, molti dei quali aveva conosciuto personalmente”. Ad iniziare da Paolo VI, che nel lontano 1975 gli aveva detto: “Coraggio, questa è la strada giusta, vada avanti così”. La fede nella centralità di Cristo e della Chiesa, aggiungeva il futuro Benedetto XVI, ha permesso a don Giussani di decifrare in modo giusto, in anni difficili, i segni dei tempi e di evitare la tentazione seduttiva delle ideologie. “Quando un primo gruppo dei suoi si recò in Brasile, si trovò a confronto con la povertà estrema. Che cosa fare? Come rispondere? Grande era la tentazione di dire: adesso dobbiamo, per il momento, prescindere da Cristo, prescindere da Dio, perché ci sono urgenze più pressanti; dobbiamo prima cominciare a cambiare le strutture, le cose esterne, dobbiamo prima migliorare la terra, poi possiamo ritrovare anche il cielo. Era la tentazione di trasformare il cristianesimo in moralismo, il moralismo in politica. Monsignor Giussani ha creduto, anche in questa situazione, che l’incontro con Cristo rimane centrale, perché chi non dà Dio, dà troppo poco e alla fine non costruisce, ma distrugge, perché fa perdere l’azione umana in dogmatismi ideologici e falsi”. Vivere la comunione dentro tutti gli ambiti della realtà: questa è stata la strada, il metodo indicato da don Giussani. E non qualunque comunione, ha precisato l’Arcivescovo, ma la comunione con la verità stessa, con l’amore stesso, in Cristo e nella Chiesa. Questa fede e questo metodo si sono tradotti in testimonianza ed hanno generato una grande fioritura di opere culturali, caritative, missionarie in tutto il mondo. Una fecondità che a noi, ormai avanti negli anni, che lo abbiamo incontrato e seguito come un Padre fin da quando eravamo uno sparuto gruppetto di giovani che si riuniva in uno scantinato di viale Venezia, riempie il cuore di commozione e di gratitudine. Paola Campanini |