venerdì 31 maggio 2013

PAPA FRANCESCO UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro


Mercoledì, 29 maggio 2013

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Mercoledì scorso ho sottolineato il legame profondo tra lo Spirito Santo e la Chiesa. Oggi vorrei iniziare alcune catechesi sul mistero della Chiesa, mistero che tutti noi viviamo e di cui siamo parte. Lo vorrei fare con espressioni ben presenti nei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Oggi la prima: la Chiesa come famiglia di Dio.
In questi mesi, più di una volta ho fatto riferimento alla parabola del figlio prodigo, o meglio del padre misericordioso (cfr Lc 15,11-32). Il figlio minore lascia la casa del padre, sperpera tutto e decide di tornare perché si rende conto di avere sbagliato, ma non si ritiene più degno di essere figlio e pensa di poter essere riaccolto come servo. Il padre invece gli corre incontro, lo abbraccia, gli restituisce la dignità di figlio e fa festa. Questa parabola, come altre nel Vangelo, indica bene il disegno di Dio sull’umanità.
Qual è questo progetto di Dio? E’ fare di tutti noi un’unica famiglia dei suoi figli, in cui ciascuno lo senta vicino e si senta amato da Lui, come nella parabola evangelica, senta il calore di essere famiglia di Dio. In questo grande disegno trova la sua radice la Chiesa, che non è un’organizzazione nata da un accordo di alcune persone, ma - come ci ha ricordato tante volte il Papa Benedetto XVI - è opera di Dio, nasce proprio da questo disegno di amore che si realizza progressivamente nella storia. La Chiesa nasce dal desiderio di Dio di chiamare tutti gli uomini alla comunione con Lui, alla sua amicizia, anzi a partecipare come suoi figli della sua stessa vita divina. La stessa parola “Chiesa”, dal greco ekklesia, significa “convocazione”: Dio ci convoca, ci spinge ad uscire dall’individualismo, dalla tendenza a chiudersi in se stessi e ci chiama a far parte della sua famiglia. E questa chiamata ha la sua origine nella stessa creazione. Dio ci ha creati perché viviamo in una relazione di profonda amicizia con Lui, e anche quando il peccato ha rotto questa relazione con Lui, con gli altri e con il creato, Dio non ci ha abbandonati. Tutta la storia della salvezza è la storia di Dio che cerca l’uomo, gli offre il suo amore, lo accoglie. Ha chiamato Abramo ad essere padre di una moltitudine, ha scelto il popolo di Israele per stringere un’alleanza che abbracci tutte le genti, e ha inviato, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio perché il suo disegno di amore e di salvezza si realizzi in una nuova ed eterna alleanza con l’umanità intera. Quando leggiamo i Vangeli, vediamo che Gesù raduna intorno a sé una piccola comunità che accoglie la sua parola, lo segue, condivide il suo cammino, diventa la sua famiglia, e con questa comunità Egli prepara e costruisce la sua Chiesa.
Da dove nasce allora la Chiesa? Nasce dal gesto supremo di amore della Croce, dal costato aperto di Gesù da cui escono sangue ed acqua, simbolo dei Sacramenti dell’Eucaristia e del Battesimo. Nella famiglia di Dio, nella Chiesa, la linfa vitale è l’amore di Dio che si concretizza nell’amare Lui e gli altri, tutti, senza distinzioni e misura. La Chiesa è famiglia in cui si ama e si è amati.
Quando si manifesta la Chiesa? L’abbiamo celebrato due domeniche fa; si manifesta quando il dono dello Spirito Santo riempie il cuore degli Apostoli e li spinge ad uscire e iniziare il cammino per annunciare il Vangelo, diffondere l’amore di Dio.
Ancora oggi qualcuno dice: “Cristo sì, la Chiesa no”. Come quelli che dicono “io credo in Dio ma non nei preti”. Ma è proprio la Chiesa che ci porta Cristo e che ci porta a Dio; la Chiesa è la grande famiglia dei figli di Dio. Certo ha anche aspetti umani; in coloro che la compongono, Pastori e fedeli, ci sono difetti, imperfezioni, peccati, anche il Papa li ha e ne ha tanti, ma il bello è che quando noi ci accorgiamo di essere peccatori, troviamo la misericordia di Dio, il quale sempre perdona. Non dimenticatelo: Dio sempre perdona e ci riceve nel suo amore di perdono e di misericordia. Alcuni dicono che il peccato è un’offesa  a Dio, ma anche un’opportunità di umiliazione per accorgersi che c’è un’altra cosa più bella: la misericordia di Dio. Pensiamo a questo.
Domandiamoci oggi: quanto amo io la Chiesa? Prego per lei? Mi sento parte della famiglia della Chiesa? Che cosa faccio perché sia una comunità in cui ognuno si senta accolto e compreso, senta la misericordia e l’amore di Dio che rinnova la vita? La fede è un dono e un atto che ci riguarda personalmente, ma Dio ci chiama a vivere insieme la nostra fede, come famiglia, come Chiesa.
Chiediamo al Signore, in modo del tutto particolare in quest’Anno della fede, che le nostre comunità, tutta la Chiesa, siano sempre più vere famiglie che vivono e portano il calore di Dio. 

venerdì 24 maggio 2013

Papa Francesco incontra i movimenti: l’abbraccio dei 250 mila


«La novità ci fa sempre un po' di paura. Ma non abbiate paura», spiega il Pontefice nell'omelia davanti a 250mila pellegrini dei movimenti e delle comiunità

Papa Francesco incontra i movimenti in piazza San Pietro: 250 mila pellegrini (FOTO |VIDEO)
Papa Francesco incontra i movimenti ecclesiali in una piazza San Pietro gremita di fedeli: secondo le stime erano 250 mila sabato e altrettanti domenica. Un record per Papa Bergoglio. Che nell’omelia della Messa di Pentecoste, invita a “vincere la paura” –

LA VEGLIA DEL SABATO – Sabato pomeriggio, papa Francesco ha raccolto l’abbracio dei movimenti ecclesiali (da Comunione e liberazione all’Azione cattolica, dai focolarini al Rinnovamento dello spirito): 250 mila pellegrini, tra cui moltissime famiglie anche con bambini piccoli, hanno ascoltato la catechesi di Papa Francesco. Che si è lasciato andare anche a molti ricordi personali e autobiografici –
LA MESSA DI PENTECOSTE – Domenica mattina, poi, un altro bagno di folla per Papa Bergoglio, in occasione della messa di Pentecoste – 
“RINUNCIARE A SCHEMI E SICUREZZE”- “Rinunciare a schemi e sicurezze, per aprirsi agli orizzonti di Dio. E dire no a particolarismi, esclusivismi, cammini paralleli che portano divisioni. Così Papa Francesco nell’omelia della Messa di Pentecoste, celebrata ieri mattina in una piazza San Pietro gremita dai pellegrini di movimenti, nuove comunità, associazioni, aggregazioni laicali di tutto il mondo, giunti a Roma in occasione dell’Anno della Fede. 70 tra cardinali e vescovi e 400 sacerdoti hanno concelebrato la liturgia.

“L’AZIONE DELLO SPIRITO SANTO”- Novità, armonia, missione: tre parole che esprimono l’azione dello Spirito Santo, che “sprigiona il suo dinamismo irresistibile, con esiti sorprendenti”. Così Papa Francesco riflettendo sulla “effusione dello Spirito Santo operata da Cristo risorto sulla sua Chiesa”. “Un evento di grazia che ha riempito il cenacolo di Gerusalemme per espandersi al mondo intero”. Gli apostoli nel Cenacolo a Gerusalemme “colpiti nella mente e nel cuore” da “segni precisi e concreti”, un fragore improvviso dal cielo, quasi un vento impetuoso e lingue infuocate che si posano su di loro, vengono colmati di Spirito Santo, cominciano a parlare alla folla, in altre lingue dalla loro, delle grandi opere di Dio. Tutti fanno un’esperienza nuova.

“PROGETTARE LA VITA” – “La novità ci fa sempre un po’ di paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo, se siamo noi a costruire, a programmare, a progettare la nostra vita secondo i nostri schemi, le nostre sicurezze, i nostri gusti”. “E questo avviene anche con Dio. – ha osservato il Papa – “Lo seguiamo, lo accogliamo ma fino a un certo punto; ci è difficile abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito Santo l’anima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte”: “Abbiamo paura che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti”.

“DIO VUOLE IL NOSTRO BENE” – Ma “la novità che Dio porta nella nostra vita è ciò che veramente ci realizza, – ha ricordato Francesco – ciò che ci dona la vera gioia, la vera serenità, perché Dio ci ama e vuole solo il nostro bene”. “Non è la novità per la novità, la ricerca del nuovo per superare la noia, come avviene spesso nel nostro tempo”. Da qui l’interrogativo: “Siamo aperti alle ‘sorprese di Dio’? O ci chiudiamo, con paura, alla novità dello Spirito Santo? Siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture caduche che hanno perso la capacità di accoglienza? Queste domande, ci farà bene, anche, farle durante tutta la giornata”. E se lo Spirito Santo sembra creare disordine nella Chiesa, portando diversità dei carismi, dei doni, tutto ciò “sotto la sua azione – ha spiegato il Papa – è una grande ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità”, ma armonia.

NO AI CAMMINI PARALLELI- “Anche qui, quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo noi a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità, l’omologazione.” “Il camminare insieme, guidati dai pastori, che hanno uno speciale carisma e ministero, è un segno dell’azione dello Spirito Santo”, ha ricordato Francesco ai fedeli dei movimenti e associazioni e comunità di tutto il mondo.
“LO SPIRITO SANTO È L’ANIMA DELLA MISSIONE” – “È la Chiesa che mi porta Cristo e mi porta a Cristo; i cammini paralleli sono tanto pericolosi!”. Il monito: “Non ci si avventura oltre la dottrina e la Comunità ecclesiale”. “Chiediamoci allora: sono aperto all’armonia dello Spirito Santo, superando ogni esclusivismo? Mi faccio guidare da Lui vivendo nella Chiesa e con la Chiesa?”. E, lo Spirito Santo è anche “l’anima della missione”: “Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero del Dio vivente e ci salva dal pericolo di una Chiesa gnostica e di una Chiesa autoreferenziale, chiusa nel suo recinto”. “La Pentecoste del Cenacolo di Gerusalemme è l’inizio, un inizio che si prolunga”, ha concluso Francesco con un ultima domanda: “Chiediamoci se abbiamo la tendenza di chiuderci in noi stessi, nel nostro gruppo, o se lasciamo che lo Spirito Santo ci apra alla missione. Ricordiamo, oggi, queste tre parole: novità, armonia, missione”.

L’esorcismo che imbarazza il Vaticano


“Era solo una preghiera”. Ma restano i dubbi sul gesto del Papa
Giacomo Galeazzi
Città del Vaticano

Mistero sul Papa esorcista. E’ stata una giornata di fuoco per la Curia con i mass media di tutto il mondo che hanno chiesto chiarimenti su quello che è stato pressoché da tutti interpretato come un esorcismo. La sequenza, rilanciata ovunque da tv e siti web, era apparsa inequivocabile, così come l’espressione attonita del capo della sicurezza Domenico Giani che ha assistito all’insolita scena in piazza San Pietro. L’opera di «normalizzazione» è stata complessa e si è faticosamente snodata tra smentite a tarda notte, dichiarazioni ufficiali per ribadire il concetto e richieste di scuse da parte della rete Cei che aveva trasmesso lo scoop.
Tra i fedeli, però, domina l’impressione di aver assistito ad uno straordinario momento di lotta del Papa al Maligno. E si moltiplicano le voci di analoghi gesti compiuti durante il suo ministero episcopale a Buenos Aires. A più riprese il Vaticano ha negato che Francesco abbia praticato un esorcismo alla messa di Pentecoste, come aveva riportato l’emittente dei vescovi italiani, Tv2000, il cui direttore Dino Boffo si è pubblicamente scusato per «aver intaccato la verità».
Le immagini diffuse nel corso del programma «Vade retro» mostravano il Pontefice che si avvicinava a un malato, scambiava alcune parole con il sacerdote che lo accompagnava per poi concentrarsi e imporre le mani posandole con decisione sul ragazzo.Francesco abbandona l’abituale sorriso bonario e sembra incanalare la propria determinazione verso la liberazione dal male. Per la Santa Sede Bergoglio ha semplicemente voluto pregare per una persona sofferente che gli era stata presentata. Però il dubbi che sia trattato davvero di un esorcismo restano, anche perché agli altri malati il Pontefice non ha imposto le mani. «Il gesto del Papa è stato un esorcismo e chi dice il contrario, incluso il direttore della sala stampa vaticana, padre Lombardi, vuol dire che non ne capisce niente – ribatte padre Gabriele Amorth, leader mondiale degli esorcisti -. Il giovane al quale Francesco ha imposto le mani sulla testa è venuto da me questa mattina e l’ho esorcizzato per più di un’ora. Si chiama Angelo, è messicano e lui ha avuto questa particolare avventura che il Papa ha preso subito a cuore». Angelo ha 43 anni e, secondo padre Amorth, «è posseduto da quattro demoni». Ad esporre Angelo alla «vendetta del demonio» sono stati i vescovi messicani che «non si sono opposti all’aborto come dovevano fare». Precisa Amorth: «Un esorcismo è anche quello che uno fa mettendo le mani sul capo della persona e pregando, senza ricorrere agli esorcismi scritti».
Intanto nelle sacre stanze si minimizza l’accaduto. «Esprimo il rammarico per aver involontariamente determinato la diffusione di una notizia vera, ma vera solo in parte e in parte non vera perché il Papa non si riconosce nella parola esorcismo – dichiara Boffo-. Mi scuso personalmente per aver intaccato la verità dei fatti e per le persone coinvolte, in particolare il Santo Padre. I telespettatori hanno il diritto di fidarsi pienamente delle nostre parole perché siamo una tv cattolica». Dopo la secca smentita di padre Lombardi, Boffo ha ammesso che «l’esorcismo non c’è stato» anche se nel lanciare la notizia l’emittente televisiva aveva parlato lunedì «non di esorcismo ma di qualcosa del genere».
Da decenni gli esorcismi sono divenuti quasi una pratica marginale nella Chiesa postconciliare. In due mesi di pontificato Bergoglio ha disseminato la sua predicazione di riferimenti al demonio.

Don Puglisi domani Beato. Il card. De Giorgi: la sua voce necessaria come non mai




Domani, sabato 25 maggio, don Giuseppe Puglisi sarà proclamato Beato. La messa con il Rito di Beatificazione si terrà alle 10.30 al Foro Italico Umberto I di Palermo. Presiederà la celebrazione l’arcivescovo della diocesi palermitana, il cardinale Paolo Romeo, mentre rappresentante del Papa sarà il cardinale Salvatore De Giorgi, arcivescovo emerito di Palermo, che il 15 settembre 1999 diede avvio al suo processo di Beatificazione. Don Giuseppe, o meglio padre Pino Puglisi, è stato un sacerdote diocesano noto per il suo impegno di contrasto alla criminalità organizzata, in particolare occupandosi della formazione di bambini e ragazzi di strada per i quali fondò il "Centro Padre Nostro”. Morì, ucciso dalla mafia, il 15 settembre del 1993, giorno del suo 56.esimo compleanno. Il decreto di Beatificazione di padre Puglisi per martirio "in odio alla fede” è stato promulgato da Papa Benedetto XVI il 28 giugno 2012. Adriana Masotti ha chiesto al cardinale De Giorgi che cosa rappresenta proprio per Palermo e la Sicilia l’evento di domani: RealAudioMP3 

R. – La Beatificazione come martire della fede di don Pino Puglisi rappresenta anzitutto il dono di Dio più atteso da tutta la Sicilia e non solo. Poi, anche uno splendido e stimolante messaggio di fede per tutti nell’Anno della Fede. Il riconoscimento ufficiale del suo martirio da parte della Chiesa è anche il sigillo della perenne autorità del suo messaggio, che con la voce del sangue invita tutti al coraggio, alla coerenza, alla fortezza, alla santa audacia nell’esercizio sia del ministero sacerdotale, come di ogni altro servizio nella Chiesa, per il trionfo delle forze del bene su tutte le aggressioni e le perversioni del male, soprattutto se, come quello mafioso, agisce da perversa struttura di peccato anti-umana ed anti-evangelica, tanto più subdola e pericolosa, quanto più si ammanta e si circonda di segni e di riferimenti religiosi.

D. – Con questa Beatificazione la Chiesa invia un messaggio chiaro: potrà essere dunque uno stimolo, o meglio un sostegno, a quanti anche oggi si impegnano nella lotta alla mafia?

R. – A 20 anni dalla sua sacrilega uccisione, don Puglisi parla ancora. Don Puglisi si rivolge anzitutto a noi, i suoi confratelli, per ricordarci che il nostro ministero, come d'altronde la vita di ogni cristiano, è ogni giorno per sua natura vocazione al martirio. Ci ripete che il nostro primo dovere è l’annuncio del Vangelo per aiutare i fratelli a seguire Cristo e quindi a vivere onestamente nell’osservanza dei suoi Comandamenti, per formare le coscienze al rispetto delle persone, all’amore vicendevole, al gusto della solidarietà, al senso della legalità, alla capacità del perdono, a vincere così ogni forma di prepotenza, di violenza, di sopruso, di collaborazione con il crimine. Queste sono piaghe antiche che ancora non si riescono a sanare, soprattutto dove il degrado ambientale e morale è maggiore. Ma la voce di don Pino giunge a tutti i cristiani per ricordare che oggi la testimonianza del Vangelo è necessaria come non mai. La sua voce giunge particolarmente ai genitori perché educhino al bene i propri figli, esposti in particolare oggi alle suggestioni della droga, dell’alcol e - anche soprattutto in certe zone - alla dispersione scolastica, alle peggiori forme di sfruttamento sociale, a violenze sessuali e ai tentacoli della malavita diffusa e organizzata. La sua voce giunge a quanti hanno responsabilità politiche e amministrative, perché abbiano sempre più a cuore la soluzione dei problemi dei quartieri più a rischio, come chiedeva don Pino per il suo quartiere Brancaccio, dove purtroppo i suoi sogni non sono stati ancora del tutto realizzati. La sua voce giunge infine anche – e direi soprattutto – ai criminali per ricordare loro che egli con Gesù ha versato il suo sangue per la loro conversione, per la loro liberazione dalla schiavitù del peccato. Il sorriso con il quale don Puglisi ha detto al suo killer: “Me lo aspettavo” è un invito a tornare decisamente a Dio, che nella sua misericordia infinita li aspetta come il Padre della parabola evangelica.

D. – Don Puglisi è riconosciuto martire in odio alla fede. Quale legame c’è stato nella vita di don Puglisi tra la sua adesione al Vangelo e il suo impegno a sottrarre alla criminalità organizzata i giovani della sua parrocchia?

R. – Don Puglisi è stato ucciso perché sacerdote, perché sacerdote coerente e fedele secondo il cuore di Dio, perché impegnato nell’annuncio del Vangelo e nel suo dovere di educatore soprattutto dei giovani. Don Puglisi è stato ucciso perché con la sua silenziosa ma efficace azione pastorale, sottraeva le nuove generazioni alle suggestioni del male. L’odio al suo zelo pastorale, alla sua opera di evangelizzazione, di formazione delle coscienze, è stato appunto la testimonianza del vero sacerdozio, del vero ministero sacerdotale. L’odio al suo zelo pastorale non è semplicemente l’odio verso un sacerdote, è l’odio a Cristo, alla Chiesa, al Vangelo. E per questo è stato riconosciuto come martire della fede. Don Puglisi è andato incontro alla morte con gli occhi aperti per essere fedele al suo ministero di sacerdote. E lì, ha realizzato quella coraggiosa testimonianza cristiana di cui aveva parlato Papa Giovanni Paolo II ad Agrigento: “La vera forza in grado di vincere queste tendenze distruttive sgorga dalla fede”. Così è stato don Puglisi. Così è riconosciuto dalla Chiesa.

Sul fermento che attraversa la Chiesa e la città di Palermo in questa giornata di vigilia, riferisce dal capoluogo siciliano Alessandra Zaffiro:RealAudioMP3 

Palermo si appresta a festeggiare padre Pino Puglisi, primo martire della mafia, che domani mattina davanti a circa ottantamila fedeli provenienti da tutta Italia, sarà elevato agli onori degli altari. Don Pino ha vinto la sua battaglia contro coloro che lo hanno osteggiato fino a sentenziarne la morte, credendo di sconfiggere per sempre il sacerdote di Brancaccio e la sua opera al fianco di quei giovani che la criminalità organizzata reclutava per avere bassa manovalanza. Invece, padre Puglisi continua a vivere grazie alla sua testimonianza e al suo sacrificio. “Non sono un biblista, non sono un teologo, né un sociologo, sono soltanto uno che ha cercato di lavorare per il Regno di Dio”, diceva di sé don Pino, il cui senso della sfida, è racchiuso nella frase: “E se ognuno fa qualcosa”. Il rito di Beatificazione, cui prenderanno parte 40 vescovi e 750 presbiteri, sarà presieduto dal cardinale Salvatore De Giorgi, delegato di Papa Francesco, mentre la celebrazione eucaristica sarà presieduta dall’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo. Allo svelamento della foto del sacerdote si canterà il Te Deum, quindi l’arcivescovo Emerito del capoluogo siciliano, De Giorgi, leggerà la Lettera apostolica e incenserà le reliquie di don Pino.

“Il martirio di Padre Puglisi – afferma oggi il cardinale di Palermo Paolo Romeo – richiama l’educazione delle coscienze e la Chiesa deve essere in prima linea. Qui si capisce la grandezza del martirio di don Puglisi, che è stato ucciso perché era un prete che formava le coscienze, costruiva la comunità parrocchiale e aiutava le persone a uscire dai meccanismi che le rendono schiavi. Questo evidentemente dava fastidio. Perciò - prosegue l’arcivescovo di Palermo - penso che la sua beatificazione ci aiuterà a prendere coscienza del vero cambiamento da attuare. La gente pensa infatti che devono cambiare gli altri. E invece don Puglisi ci dice che ognuno di noi ha qualcosa da cambiare nel proprio cuore, nel proprio pensare, nel proprio agire. Solo così la civiltà dell’amore potrà affermarsi”. Don Pino Puglisi sorride timidamente ai fedeli che custodiscono una sua immagine in casa o lo portano con sé fra piccole icone, documenti d’identità e foto di famiglia. Il suo sguardo ha la forza della Fede e a coloro che si rivolgono a lui, anche chi non lo ha conosciuto, ricorda che pur nelle avversità, possiamo farcela.


 



Papa Francesco: «Non siate cristiani da museo che rendono insipido il “sale della fede”»


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Maggio 23, 2013 Redazione
«Il sale conservato nella bottiglietta, con l’umidità, perde forza e non serve. Il sale che noi abbiamo ricevuto è per darlo, è per insaporire, è per offrirlo»
papa-francesco


Papa Francesco questa mattina, nell’omelia alla Messa alla Casa Santa Marta, ha detto che la fede cristiana aborre «l’uniformità» e che bisogna evitare di essere «cristiani da museo». Il pontefice, parlando del “sale della fede” donatoci da Dio, ha spiegato che questo dono non è fatto per essere nascosto o per essere reso insipido. Questo sale «non è per conservarlo, perché se il sale si conserva in una bottiglietta non fa niente, non serve. Il sale ha senso quando si dà per insaporire le cose. Anche penso che il sale conservato nella bottiglietta, con l’umidità, perde forza e non serve. Il sale che noi abbiamo ricevuto è per darlo, è per insaporire, è per offrirlo. Al contrario diventa insipido e non serve. Dobbiamo chiedere al Signore di non diventare cristiani col sale insipido, col sale chiuso nella bottiglietta. Ma il sale ha anche un’altra particolarità: quando il sale si usa bene, non si sente il gusto del sale, il sapore del sale… Non si sente! Si sente il sapore di ogni pasto: il sale aiuta che il sapore di quel pasto sia più buono, sia più conservato ma più buono, più saporito. Questa è la originalità cristiana!».
La fede, cioè la certezza che Gesù Cristo è morto e risorto per noi, va annunciata. «Quando noi annunziamo la fede, con questo sale – ha detto papa Francesco – coloro che ricevono l’annunzio, lo ricevono secondo la propria peculiarità, come per i pasti. E così ciascuno con la propria peculiarità riceve il sale e diventa più buono».

NON E UNA UNIFORMITA’. Questo annuncio, questo messaggio «non è una uniformità. Prende ciascuno come è, con la sua personalità, con le sue caratteristiche, con la sua cultura e lo lascia con quello, perché è una ricchezza. Ma gli dà qualcosa di più: gli dà il sapore! Questa originalità cristiana è tanto bella, perché quando noi vogliamo fare una uniformità – tutti siano salati allo stesso modo – le cose saranno come quando la donna butta troppo sale e si sente soltanto il gusto del sale e non il gusto di quel pasto saporito con il sale. L’originalità cristiana è proprio questo: ciascuno è come è, con i doni che il Signore gli ha dato».

IL DONO. Come non si disperde questo sale? Solo se non lo teniamo per noi, ma lo doniamo, ha spiegato il Santo Padre. Sia agli altri, sia «verso l’autore del sale, il creatore». Il sale, ha ribadito, «non si conserva soltanto dandolo nella predicazione», ma «ha bisogno anche dell’altra trascendenza, della preghiera, della adorazione». Solo così la fede non diventa insipida, e non si rischia di diventare dei «cristiani da museo».


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Papa Francesco: “Anche gli atei possono fare del bene”


“Fare il bene” non è un’esclusiva dei cristiani, ma tutti possono e devono farlo. Lo ha detto Bergoglio commentando un passo del Vangelo: il Papa ha spiegato che i discepoli si sono ritrovati a essere chiusi nell’idea di possedere la verità: “Erano un po’ intolleranti”.


Papa Francesco: “Anche gli atei possono fare del bene”.
Ancora una volta, nel corso della messa celebrata il giorno di Santa Rita a Santa Marta, Papa Francesco si è mostrato aperto anche a quanti non fanno parte della Chiesa. Per esempio si è mostrato aperto nei confronti degli atei che, ha detto Bergoglio, possono e devono fare del bene come gli altri. Commentando il Vangelo in cui i discepoli mormorano contro una persona “esterna” e tendono a escluderla, il Papa ha spiegato come Gesù riprese i suoi: a nessuno va impedito di fare del bene. Chiusi nel pregiudizio di possedere la verità, i discepoli erano un po’ intolleranti – ha spiegato il pontefice. Il Signore – così il Papa – “ci ha creati a sua immagine e somiglianza, e siamo immagine del Signore, e Lui fa il bene e tutti noi abbiamo nel cuore questo comandamento: fai il bene e non fare il male. Tutti, anche chi non è cattolico può fare e deve fare del bene!”.



La parabola di Papa Francesco scuote le coscienze dei vescovi

.....Il testo di Bergoglio trae forza dai fondamenti del magistero ecclesiale basato sulla domanda di Gesù a Pietro: «Mi ami tu?; Mi sei amico?», ha detto il Papa richiamando il Vangelo di Giovanni. «La domanda è rivolta a ciascuno di noi: se evitiamo di rispondere in maniera troppo affrettata e superficiale, essa ci spinge a guardarci dentro, a rientrare in noi stessi»......


La mancata vigilanza rende tiepido il pastore; lo fa distratto, dimentico e persino insofferente; lo seduce con la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasformandolo in un funzionario, un chierico di Stato preoccupato più di sé, dell'organizzazione e delle strutture, che del vero bene del popolo di Dio».