sabato 7 novembre 2009

PADRE ALDO TRENTI

.....Vi auguro solo di essere semplici e di non avere paura della vostra umanità. E non cercate mai i mediocri, gli “intellettuali”, gli “esperti” cioè quelli che vi ricevono solo su appuntamento per darvi consigli… Cercate uomini veri. Non dite: è difficile, perché tutto dipende dalle domande che uno ha. Domande piccole, risposte piccole, uomini piccoli. Quando uno sta male, cerca il meglio per guarire.
Grazie a tutti per l’amicizia che mi testimoniate.......


Cari amici che mi scrivete il vostro “male di vivere”, quello di cui noi disperati abbiamo bisogno non è un esperto, ma un uomo vero
di Aldo Trento

Sono ogni giorno più sorpreso per un popolo che il Signore ha fatto sorgere, dopo quelle povere ma sincere parole dette al Meeting di Rimini del 2008 intorno alla mia insignificante persona. Un popolo che è aumentato in queste settimane, dopo l’incontro all’ultimo Meeting, in cui mi è stato chiesto di raccontare l’esperienza dei gesuiti, quando, 400 anni fa, hanno dato origine alle “riduzioni”.




Un’esperienza di come l’Avvenimento cristiano, incontrando il cuore mendicante dell’uomo, creò una nuova civiltà, che Giovanni Paolo II aveva definito «la civiltà della verità e dell’amore».
Sono centinaia le lettere che mi giungono, e ognuna è un grido, una ferita aperta, è l’umano nella sua verità più profonda, più vera, più drammatica. Tutte lettere che non hanno bisogno di risposta, di discorsi, ma di una compagnia umana, la stessa compagnia che don Luigi Giussani ha fatto a me, che padre Alberto ha fatto a me. Quella compagnia che non ha bisogno di appuntamenti, di segretarie, di colloqui, ma di un affetto che abbraccia tutto dell’altro nelle 24 ore del giorno. Rileggendo più volte i vostri scritti, o meglio, il vostro grido, rivivo quel dramma terribile e bello di quando Giussani nel maggio 1989 a Riva del Garda mi disse: «Come sarebbe bello che qualcuno ti facesse compagnia durante i prossimi mesi». Alzai la testa, sorpreso e pieno di dolore gli dissi: «Ma don Giuss, dove incontrerei un prete, un laico, che dicono di avere tanto da fare sempre, disposto a fare compagnia a un depresso?». Ricordo i suoi occhi pieni di tenerezza e le sue parole: «Ebbene ti porto via con me e ti pagherò tutto». Ma capite, cari amici che soffrite, voi che nelle vostre e-mail piene di dolore, di ferite, di quell’umanità che ognuno, seriamente compromesso con il proprio io, si porta dentro, cosa vuol dire incontrare un uomo che ti dice così?
Dopo il Giuss ho trovato solo padre Alberto di Forlì, oggi in Ecuador, del quale Giussani ha detto: «È un uomo intelligente e umile».
Ecco, io vorrei – e ve lo dico con il cuore in mano – essere per ognuno di voi che soffrite un po’ come questi uomini, di cui Dio si è servito per fare di me un uomo.
Sento la mia impotenza che offro tutte le mattine, alzandomi presto per stare con voi davanti al Santissimo, in Sua compagnia perché Lui si occupi di ognuno di voi. E poi, tutti abbiamo dei testimoni a cui guardare, piccoli o grandi che siano. Chiediamo la grazia di accorgerci dove sono perché il clericalismo (invidia, gelosia, schematismo) può fregarci tutti. In particolare guardiamo a don Julián Carrón, la persona che più vive, sente, ama facendoci vibrare, il carisma di don Giussani. Da subito, come l’ho sentito parlare, ho detto come quelli che ascoltavano Gesù: «Questo sì che parla con autorità». Ricordo bene la prima volta che l’ho sentito: mi sembrava di sentire il Giuss. Ed era il mio cuore a dirmelo, tant’è vero che sono poi tornato a casa come quei due di Emmaus dicendo: «Non ci ardeva il cuore mentre parlavamo con Lui?».

«Mi sento sicuro di te»
A lui dobbiamo guardare, perché non è un “prete”, ma un uomo e solo un uomo può fare compagnia all’uomo. E oggi, guardando a ognuno di voi, sento che non mi cercate perché sono un “prete”, ma un povero uomo, però uomo, consegnato a Gesù. Nella sofferenza più acuta com’è quella che Cesare Pavese definiva «il male del vivere», Dio mi ha fatto conoscere tutta la mia umanità che per anni mi ha fatto schifo e paura, perché è terribile scoprirsi quello che di fatto si è: un misto di fango e di grandezza… Però, attraverso questa disperazione, ho incontrato una grande compagnia e mi sono affidato completamente.
Dopo quasi vent’anni posso gridare dalla gioia di vivere. Gioia che non ha nulla di emotivo, ma che è la certezza di essere in ogni istante scelto da Gesù. Vivo commosso pensando ogni giorno a quell’uomo che a dispetto di mio fratello e di tutti gli esperti, e forse anche dei formatori di coscienze, invece di mandarmi al neuro di Feltre, mi ha mandato in Paraguay dicendomi: «Adesso mi sento sicuro di te». E io, incredulo più dell’apostolo Tommaso, ho obbedito. E guardate cosa Dio sta facendo con questo depresso.
Per questo soffro molto quando leggo o sento certi commentari nello scegliere una persona per un lavoro o per qualunque iniziativa. Vedo un abisso fra il modo in cui Giussani mi ha guardato e la maggioranza di coloro che scelgono le persone per un lavoro. Dico sempre: immaginatevi nelle mie condizioni che io avessi presentato a chi di dovere il progetto di quello che Dio ha fatto qui… Mi avrebbero messo in manicomio con una ragione in più: “Ma tu che già sei schizzato non vorrai mica lasciarti prendere dall’immaginazione facendo un’opera impossibile e che costa milioni di euro?”.

Un abbraccio vent’anni dopo
Qualunque persona che mi avesse visto in quelle condizioni avrebbe reagito in questo modo. Ma Dio, una volta in più, ha voluto mostrare che “se ne frega” dei nostri pensieri, dei nostri equilibri, dei nostri progetti. E la mia storia è un’evidenza. Per questo quando mi dicono: «Devi riposarti, devi, devi» eccetera, rispondo: «Scusate, ma io non faccio niente, io riposo. È Lui che fa e mi chiede solo di annunciare a quanti incontro ciò che Lui è per me. Io non ho rapporti economici, politici o sociali, ho solo rapporti missionari: comunicare la bellezza di Cristo a tutti».
Sono passati vent’anni – era settembre 1989 – da quell’abbraccio di Giussani, un abbraccio che cambiò la mia vita. Ebbene lo stesso abbraccio l’ho rivissuto incontrando don Carrón a San Paolo e ad Asunción. Ho sentito vibrare in me ancora più pontentemente la certezza che guida la mia vita: “Io sono Tu che mi fai”.
Desidero per ognuno quell’abbraccio con cui Giussani mi ha fatto rivivere, desidero per tutti voi che mi scrivete, spesso lacerati dal dolore, che possiate incontrare un prete che sia un uomo, o un laico che sia un uomo, che accogliendovi come io sono accolto da quando ho incontrato Giussani vi permetta di scoprire la bellezza drammatica della vita.


Vi auguro solo di essere semplici e di non avere paura della vostra umanità. E non cercate mai i mediocri, gli “intellettuali”, gli “esperti” cioè quelli che vi ricevono solo su appuntamento per darvi consigli… Cercate uomini veri. Non dite: è difficile, perché tutto dipende dalle domande che uno ha. Domande piccole, risposte piccole, uomini piccoli. Quando uno sta male, cerca il meglio per guarire.
Grazie a tutti per l’amicizia che mi testimoniate.

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