sabato 17 dicembre 2011

Negli occhi della nonna il nostro futuro

La vecchiaia come valore
di Massimo Camisasca
Tratto da L'Osservatore Romano del 12 dicembre 2011

Pubblichiamo uno stralcio dal volume Amare ancora. Genitori e figli nel mondo di oggi e di domani (Padova, Edizioni Messaggero, 2011, pagine 144, euro 14).

Fino a qualche decennio fa, gli anziani abitavano insieme ai giovani. Erano le famiglie patriarcali. Possibili soprattutto nella civiltà contadina, quando si lavorava tutti in campagna e si viveva nelle case disseminate tra i campi. Quando venivano meno le forze si passava dalla poltrona al letto. Oppure il nonno era messo su una sedia, nel cortile, tra le galline che razzolavano e i bambini che giocavano. A poco a poco sono cresciute le città dove molti trasferivano la loro abitazione e il loro lavoro. Lì tutto è cambiato. Gli appartamenti erano troppo piccoli per ospitare più di tre-quattro persone. Marito e moglie stavano fuori casa, al lavoro, fino a sera. Non c'era più spazio per i nonni.

Oggi gli anziani stanno facendo il loro ritorno nell'orizzonte delle famiglie. Positivamente, come nuovi e indispensabili educatori dei nipoti. Il tempo del pensionamento non deve essere per nessuno un tempo vuoto. Dobbiamo aiutare gli anziani a scoprire nuove ragioni di vita. Grande è ancora il contributo che essi possono dare sia alle nuove generazioni sia a tutta la società.







Quando le forze vengono definitivamente meno, invece, gli anziani rappresentano una preoccupazione per i figli ormai in età matura che sentono la responsabilità di occuparsi di genitori ottantenni, rimasti soli e non più autosufficienti. È una delle emergenze più gravi che sono chiamati ad affrontare i Paesi dell'Occidente. Anche io sono stato toccato da questa esperienza. Mia mamma, che ha vissuto sola fino a ottantanove anni, in una casa popolare alla periferia di Milano, al quinto piano senza ascensore, improvvisamente è crollata. Dopo un'operazione chirurgica, non era più autosufficiente. Per sei anni è stata ospitata in una casa di cura, dove andavo a trovarla da Roma, una o due volte al mese. Ho scoperto un mondo che mi ha accomunato a decine di migliaia di miei coetanei.

Quale parola di Dio è l'anziano per noi? Che cosa vuol dire alla nostra vita la presenza degli anziani? I popoli hanno visto nei loro vecchi il volto della saggezza, una possibilità positiva di compagnia alla vita dell'uomo maturo, del giovane e del ragazzo.

Già negli anni delle scuole medie, leggendo l'Eneide, ho incontrato Anchise. Mentre Troia brucia e i pochi superstiti si organizzano per fuggire, il vecchio nobile non vuole muoversi. Tutto il suo mondo è finito, non c'è presente né futuro, egli chiede solo di essere lasciato indietro. Niente sembra smuoverlo, come spesso si vede in certi anziani inflessibili nei loro propositi. Eppure, sulla fronte del nipotino si verifica qualcosa di inatteso: "Ecco leggero sembrò sopra la testa di Iulo / effondere luce un bagliore". Pare che i capelli abbiano preso fuoco per l'incendio circostante, quella fiamma arde. Ma non divora. Nessuno comprende, "ma il padre Anchise gli occhi alle stelle, esultante / alzò e al cielo tese le mani e la voce". Egli capisce che si tratta di un prodigio divino. In mezzo al fuoco della distruzione, si è accesa la fiamma della speranza. Sulla fronte del nipote arde una luce che non è solo quella della mera sopravvivenza fisica, ma il segno che la vita umana non è lasciata sola nelle mani della violenza. E proprio Anchise, così fisicamente fragile, si rivelerà riferimento indispensabile per i fuggiaschi. Grazie alla sua esperienza saprà ravvisare i segni del divino e della speranza, saprà leggere nel cuore degli eventi e scovare il filo che li condurrà a fondare una nuova civiltà.

La vecchiaia porta con sé un bagaglio di sapienza, di esperienze, di discernimento dei problemi nella vita quotidiana. Nello stesso tempo gli anziani ci portano la memoria di tutto ciò che ci costituisce, delle nostre radici, delle esperienze educative, culturali e storiche che ci hanno preceduto, sono il piedistallo su cui poi si è sviluppata la nostra esistenza. Lindo Ferretti racconta tutto ciò con un'espressione tanto breve quanto profonda: "Mia dimora è negli occhi di mia nonna".

C'è un altro lato della realtà dei nostri vecchi: la loro fragilità, le malattie, la perdita di energie. Essi pongono l'interrogativo sul senso della nostra vita: finiamo nel nulla? Nessuna età, considerata in se stessa, ha un valore assolutamente positivo o negativo. Dipende da come noi la viviamo. Quale valore allora ci porta l'anziano che si sta progressivamente ritirando dalla vita? Dove può vivere? Che nessi stabilire con lui? Fino a che punto urge il dovere che rimanga con noi? E fino a che punto invece il dovere di un'assistenza impone di collocarlo in una casa di cura?

Tutta la realtà del male e del dolore viene posta davanti ai nostri occhi dai genitori che prendono congedo da noi, talvolta attraverso un tempo segnato da coscienze ridotte e da potenze fisiche annebbiate. Queste vicende ci insegnano che la vita è un'offerta di sé che Dio chiede a ogni persona. Dobbiamo stare davanti ai nostri anziani con questa consapevolezza. Come Dio ha chiesto a suo Figlio di morire per tutti, così a ciascuno, da Adamo fino all'ultimo uomo che comparirà sulla terra, egli chiede una partecipazione a quel sacrificio. L'anziano, che vive il progressivo venir meno delle sue capacità intellettive e relazionali, è una persona a cui Dio sta chiedendo una purificazione per tutti.

Usciamo dal ventre di nostra madre completamente bisognosi. Tornare a Dio è anche passare attraverso una condizione di bisogno. I nostri vecchi hanno bisogno di tutto. Ma in questo modo ci insegnano che la vita necessita degli altri, del perdono, della salvezza e della misericordia che ci accolga e ci abbracci.


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