domenica 11 luglio 2010

LA GRANDE INTERVISTA - CARLO CASTAGNA

...Non ho deciso io di perdonare. Sono un poveraccio, che perdono potrei mai concedere io? Carlo Castagna, per come è fatto, quel giorno avrebbe imbracciato un fucile per sistemare le cose. Invece è stata una grazia, non è andata così. Mi ha aiutato mamma Lidia, la madre di Paola. Appena successo il fatto, corro da lei. Sa già tutto, i nipoti l’hanno informata. Così mi abbraccia e mi dice: «Carlo, Carlo... Dobbiamo chiedere al Signore il coraggio di distenderci anche noi sulla Croce». Ecco, il perdono nasce da lì. Potevo covare odio tutta la vita, cercare la vendetta. Eppure sono misero anch’io, sbaglio anch’io. Ma, come dice mamma Lidia, come avrei potuto recitare ancora il Padre nostro senza aver perdonato gli assassini?.....



Così ho scoperto la forza del perdono
Maria Acqua Simi
La moglie, Paola. La figlia, Raffaella. E il nipotino, Youssef. CARLO CASTAGNA li ha persi una sera del 2006, vittime della follia dei vicini di casa. Gli abbiamo chiesto cosa è cambiato da allora. Ci ha risposto parlando di fede, lavoro, preghiera. E di una gioia inattesa, più forte della disperazione. «Perché dove abbonda il dolore sovrabbonda la grazia. E io l’ho visto...»



Carlo Castagna vive in una villetta fuori Erba, circondata da capannoni colmi di assi di legno e tronchi d’albero pronti per essere lavorati. Il cortile dove parcheggiamo è spaccato in due dai lavori per l’allacciatura dell’acqua. Un solco profondo. Guardi, e pensi di colpo alla ferita che Carlo porta nel cuore. Ma la sua voce cordiale ti ridesta subito. «Meglio entrare, che qua vien giù la pioggia». Sessantasei anni, barba bianca, sguardo sereno e un volto segnato dalle occhiaie, ci invita in casa. Racconta spiccio dell’impresa d’arredamento ereditata dal padre e gestita oggi dai suoi figli, Beppe e Pietro. Gli uffici sono al piano terra. Tra le scrivanie cariche di faldoni e mappe di progetti, qua e là spuntano mobili e vecchi utensili da restauro. «Guarda questa sedia, avrà sessant’anni. Sul retro c’è scritto che era un dono per un monsignore... L’abbiamo rimessa in sesto». E ci si siede sopra, come a mostrare che regge. Salendo per le scale, altri uffici e poi l’ultimo piano, dove Carlo abita da oltre vent’anni.

La vertigine e mamma Lidia. Alle pareti mostra i quadri che dipinge da quando era ragazzo: i colori sono vivaci, le pennellate fresche. Ritraggono campanili e piazze, un soggiorno a Parigi, una processione. «Questo l’ho fatto mentre i miei amici mi aspettavano in moto, spazientiti. Non l’ho mica finito, per paura che mi lasciassero lì...». Poi vengono le foto: con gli amici, i figli, i nipoti, alcuni sacerdoti. Quelle più care sono in corridoio. Carlo le indica una a una. La moglie Paola. La figlia Raffaella. Il nipotino Youssef.
Le conosco già. Le ho viste decine di volte sulle prime pagine dei giornali e mandate ossessivamente in onda dai Tg. È l’11 dicembre del 2006 quando - in un appartamento di una corte ristrutturata nel centro di Erba - Paola, Raffaella e Youssef, due anni, sono uccisi a coltellate dai vicini di casa, i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi. I corpi vengono bruciati. Nella fuga, i due incrociano sulle scale una coppia di vicini: Valeria Cherubini viene colpita a morte da un fendente alla gola, mentre il marito, Mario Frigerio, si salva perché creduto morto. Sarà proprio lui, risvegliatosi dal coma, a rivelare il nome degli assassini. I successivi tre anni di processo dimostrano che la strage, premeditata, ha motivi banali. Invidie. Rancori. Forse una vena di psicosi. La condanna, per i Romano, sarà l’ergastolo. Eppure quella sera - di fronte alla vertigine di quello scempio - Carlo Castagna sceglie la via del perdono. Che a distanza di quattro anni non è venuto meno. Anzi.

Non conosce ancora i nomi degli assassini, ha addosso i riflettori dei Tg, la stampa, gli inquirenti e dice: «Perdono». Perché?
Non ho deciso io di perdonare. Sono un poveraccio, che perdono potrei mai concedere io? Carlo Castagna, per come è fatto, quel giorno avrebbe imbracciato un fucile per sistemare le cose. Invece è stata una grazia, non è andata così. Mi ha aiutato mamma Lidia, la madre di Paola. Appena successo il fatto, corro da lei. Sa già tutto, i nipoti l’hanno informata. Così mi abbraccia e mi dice: «Carlo, Carlo... Dobbiamo chiedere al Signore il coraggio di distenderci anche noi sulla Croce». Ecco, il perdono nasce da lì. Potevo covare odio tutta la vita, cercare la vendetta. Eppure sono misero anch’io, sbaglio anch’io. Ma, come dice mamma Lidia, come avrei potuto recitare ancora il Padre nostro senza aver perdonato gli assassini?
Il suo è un perdono che dà subito scandalo. Non viene capito, in molti lo bollano come una reazione sentimentale del momento. Cosa dice, a distanza di quattro anni?
Ma che reazione del momento. L’ho già detto, il Carlo Castagna avrebbe reagito in un altro modo. Comunque... Il perdono rimane, tutti i giorni, nelle piccole cose. Noi siamo una famiglia semplice, cristiana, col senso del bene e del male. Poi, certo, la mia fede è maturata nel matrimonio con Paola: la recita quotidiana delle Lodi, la messa, il sacramento della Confessione. Sono tutte cose che non mancavano e non mancano nella nostra vita. Sono cresciuto all’ombra del campanile: mia nonna Eufemia conosceva a memoria tutte le preghiere in latino. Magari non sapeva tutto quel che diceva, ma aveva una fede grande e salda. E poi i sacerdoti e le suore che mi hanno sempre accompagnato. Penso a don Giovanni, che è una persona stupenda, e ad altri amici che sento quotidianamente. Andiamo spesso a mangiare insieme e a tavola vengono fuori delle chiacchierate profonde e bellissime. Ho anche ripreso ad andare a messa tutte le mattine due giorni dopo la strage. Ho detto ai miei due figli: da domani al lavoro mi presento alle nove. Prima vado a messa. E così faccio tuttora. Ma il vero sostegno della mia vita è stata Paola, la Paoletta...
Diceva di una fede maturata nel matrimonio...
In tutti questi anni insieme, ne abbiamo passate tante. Ma lei, anche se era turbata, non crollava mai. Quando Raffaella decise di mettersi con Azouz, questo ragazzo tunisino spuntato da non si sa bene dove, fu un dolore per noi. Sapevamo che non era tanto a posto, e uno per la figlia desidera sempre il meglio, no? Però Paola mi ricordava sempre il ruolo della Provvidenza. «Carlo, ci penserà la Provvidenza, stai buono», mi diceva. Io un po’ ribollivo, perché, sa, da padre... Ma le donne tengono tutto dentro, nel cuore, soffrono molto di più. Una volta, durante la recita delle Lodi, Paola si mise a piangere. Raffaella le aveva appena detto che si sarebbe sposata con Azouz. Abbiamo cercato di ragionare con nostra figlia, senza successo. Così dopo essere stati da lei, che era irremovibile, siamo andati a inginocchiarci in chiesa per l’adorazione serale. Ecco, Paola era così. Poi i giornali hanno scritto di tutto: che io e mia moglie ci eravamo allontanati da Raffaella per via della sua scelta e tante altre cattiverie. Non c’è nulla di vero. Pregavamo tutti i giorni per loro e li affidavamo alla Madonna.
Un mese dopo la strage, escono i nomi dei responsabili. Si tratta dei vicini di casa. Il 26 novembre 2008 la Corte d’Assise di Como li condanna all’ergastolo. Sentenza riconfermata il 20 aprile 2010 dalla Corte d’Appello di Milano. Le immagini dei due coniugi che ridacchiano nella gabbia degli imputati fanno il giro d’Italia. Che cosa pensava, guardandoli?
È stato difficile guardarli in faccia. Come padre, marito e nonno delle vittime ho dovuto vedere le foto del ritrovamento, ascoltare la ricostruzione fatta dai Ris di Parma. Però tutti i giorni io e mamma Lidia preghiamo per la conversione del loro cuore. Poi, certo, esiste la giustizia. Loro devono scontare per quello che hanno fatto. Però non dimentichiamoci che c’è la giustizia umana - per cui è giusta la sentenza di ergastolo -, ma ne esiste anche una divina. E noi preghiamo per il loro pentimento, per il cambiamento del loro cuore. Sono convinto che dove abbonda il dolore, sovrabbonda la grazia. Nella mia vita l’ho visto. Ed è così che posso dire - non pensatemi matto - che il dolore diventa gioia. Non disperazione, ma gioia.

Recentemente il Papa è intervenuto duramente riguardo lo scandalo pedofilia nella Chiesa. Un altro grande esempio di perdono dato e ricevuto...
Il nostro Papa... Penso che siano entrambi due crimini orrendi. Intendo dire, quello che hanno fatto la Rosy e l’Olindo e anche quello di certi preti. Ma il Papa è stato davvero un padre, ha perdonato e abbracciato tutti, le vittime, ma anche i peccatori. Perché lì, come per Olindo e Rosa, è stata l’azione del diavolo e allora bisogna riaffermare con forza il bene. Ogni giorno.
Pietro e Beppe, i suoi figli, cosa dicono di questa posizione?
Mettiamola così: hanno trent’anni meno di me. Non hanno perdonato. Però mi hanno assicurato che non portano odio, né desiderano la vendetta. Ma è difficile, per loro. Per me e mamma Lidia è diverso, nella vita la morte l’abbiamo toccata tante volte. Io ho perso mia mamma a cinque mesi, sotto il fuoco amico degli inglesi. Ma mio papà si è rimboccato le maniche, si è risposato, ha messo su quest’impresa così bella e io sono cresciuto bello solido, non vede? (ride).

Lei dimostra che il perdono, per sé e per gli altri, è possibile sempre. E che anche dopo aver vissuto un dolore così grande, è possibile continuare a vivere “con gioia”, come diceva prima...

In tanti si sono stupiti, in questi anni. Dicevano: «Ma quello là, avrebbe dovuto desiderare di vendicarsi, invece perdona...». Ma io qui non sono mica da solo. Ci sono i miei figli, i nipoti, ho un bellissimo lavoro e tanti amici. Ieri ero all’ordinazione sacerdotale di uno di loro, una vocazione adulta. Sono circondato da persone meravigliose. E la verità è che per me Paola, Raffaella e Youssef sono presenti come prima. In maniera non più fisica, certo, ma in quella comunione dei Santi di cui tante volte avevo sentito parlare. Il dolore c’è, spesso mi si inumidiscono gli occhi. Ma non ho voluto tenere, che so, le scarpine del bambino o gli oggetti di Raffaella. Mica ho bisogno di un paio di scarpe su cui piangere, capisce? Anche quando Azouz ha chiesto che fossero seppelliti in Tunisia, non me la sono sentita di fare obiezioni. Non serve litigare, e io sono certo che loro sono comunque nella casa del Padre Buono, in Paradiso. Si cammina insieme verso la meta. Ma intanto io sono qui e non rimango a girarmi i pollici. Sa qual era il Salmo preferito di Paola? Il numero 83. «Beato chi trova in Te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio...».

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