sabato 3 aprile 2010

MARC CHAGALL "IL FIGLIOL PRODIGO"(volantone di pasqua)

Ecco allora che il dipinto davanti ai nostri occhi ci ricorda questo. Questa immagine per così dire quasi onirica e favoleggiante, ha il suo perno e mette a fuoco ciò che ha veramente valore: un gesto di perdono incondizionato.
Il gesto del Padre si manifesta davvero “assoluto”, sganciato cioè da ogni condizionamento spaziale o temporale.






Arcidiocesi di Modena – Nonantola Ufficio Catechistico Diocesano
Marc Chagall
Il Figlio prodigo
olio su tela, 162x122 cm
Collezione Privata, St. Paul de Vence
Proviamo per un momento ad immaginare cosa ci accadrebbe se dovesse succedere di ritrovarci in un luogo che non conosciamo, senza sapere come ci siamo arrivati e come fare per tornare a casa.

Probabilmente dopo un momento di sconforto cercheremmo di aggrapparci a ciò che ci da sicurezza e cioè il sapere chi siamo, da dove veniamo, che siamo vivi e in salute.
E in qualche modo troveremo la strada del ritorno.
Ecco. Perdere i riferimenti comuni che abbiamo ci porta a dare sempre maggiore importanza a cose più profonde, a cose più importanti ed essenziali. Potremmo dire che una simile situazione ci spingerebbe a recuperare e a riproporre “i pilastri” della nostra esistenza.




L'opera di Chagall che stiamo osservando, dipinta nel 1975, si può rappresentare o meglio sintetizzare così. Miti e ossessioni della sua infanzia, persone conosciute e amate, ricordi ed emozioni, anche quelle che non si trovano più nel presente dell’artista, sono raffigurate in questo dipinto in una sorta di assenza di tempo e di riferimenti spaziali. Si può dire che tutti questi elementi fanno parte del quadro, costruiscono la scena, ma il tutto si dissolve, amalgamandosi un po’ come i colori, e incorniciando il tema principale dell’opera: il perdono del Padre.
Davvero ora l'unica cosa importante e reale è questo abbraccio.
Tante sicurezze che lo stesso figlio minore aveva, quelle alle quali pensava di potersi aggrappare, sono venute meno: un posto sicuro e un tetto sulla testa, un tozzo di pane per campare, non hanno più motivo di esistere. Ciò che conta è che è figlio, nuovamente figlio.
Ecco allora che il dipinto davanti ai nostri occhi ci ricorda questo. Questa immagine per così dire quasi onirica e favoleggiante, ha il suo perno e mette a fuoco ciò che ha veramente valore: un gesto di perdono incondizionato.
Il gesto del Padre si manifesta davvero “assoluto”, sganciato cioè da ogni condizionamento spaziale o temporale.

L’abbraccio tra Padre e figlio si svolge in uno spazio non ben definito, forse una piazza, che sembra però svanire e sollevarsi da terra proprio come i due personaggi principali. Infatti, l’amore che è il soggetto per eccellenza di molte opere di Chagall, è rappresentato spesso dal pittore come un volo: un amore che libera, rende leggeri e capaci di librarsi nell’aria.
Ancora potremmo parlare del tempo, quasi fermo in quel sole luminoso che prima di essere bagliore del giorno, sembra risplendere sull’incontro del paese con il figlio, finalmente ritornato.
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La scena non è rappresentata all’epoca della narrazione di Gesù, ma come possiamo notare ad esempio dagli abiti dei protagonisti, Chagall la rende più attuale, ad indicarci che ogni giorno e anche noi oggi, possiamo ricevere questo abbraccio del Padre.
Personaggi in volo e danzanti, come il Padre e il figlio, quasi abbracciati in un vorticoso ballo, ci rammentano che davvero l’incontro è sempre una gioia senza tempo e senza confini.
Come il perdono del Padre che è eterno, senza tempo, e senza condizioni.
Ecco dunque rappresentata l’onnipotenza di Dio Padre che si manifesta nella sua paternità senza limiti, fatta di una misericordia estrema, gratuita e incondizionata. Senza limiti di spazio e di tempo, senza condizioni previe, ma che attende sempre un figlio, fosse anche tornato semplicemente per fame (“Quanti salariati…” rammenta tra se e sé il figlio).
Ma non ci sono solo il Padre e il figlio, come avete riconosciuto voi nell’incontro precedente.
Un particolare che colpisce nel dipinto rispetto alle raffigurazioni della parabola che conosciamo, è certamente la presenza e il coinvolgimento della gente festante che, come a riprodurre il gesto del Padre, sembra anch’essa avvolgere in un tenero abbraccio il figlio al suo ritorno.
Un paese e una popolazione riconoscibili in quelli della cittadina natia dell’artista, Vitebsk, il cui profilo spesso rappresentato nei dipinti di Chagall, è caratterizzato da una miriade di casette di legno e mattoni e dalla cupola verde del tempio ortodosso.
Raccontava Chagall che Vitebsk era tanto fitta di edifici che per vedere il cielo doveva salire sul tetto della sua casa. Suo nonno sedeva anche lui sul tetto a rosicchiare carote, suo zio Noha si appoggiava ad un comignolo a suonare il violino. E come pittore, Chagall rimane sempre su quel tetto, a osservare e dipingere il suo mondo.
Questo paese che accoglie di nuovo il figlio è lo stesso che in fondo Chagall ha sempre desiderato riabbracciare e da esso essere riabbracciato dopo averlo abbandonato a 23 anni per raggiungere Parigi. Ricorda infatti nella sua autobiografia Ma vie, scritta nel 1922:
«Ma avevo l’impressione che se restavo ancora a Vitebsk mi sarei coperto di peli di muschio. Vagavo per strade, cercavo e pregavo: ‘Dio, tu che ti celi nelle nuvole, o dietro la casa del calzolaio, fa’ che la mia anima, anima dolorosa di ragazzo balbuziente, si riveli, mostrandomi la strada. Non vorrei essere uguale a tutti gli altri; voglio vedere un mondo nuovo’. In risposta la città pare spaccarsi, come le corde di un violino, e tutti gli abitanti si mettono a camminare al di sopra della terra, abbandonando i loro posti abituali. I personaggi familiari si installano sui tetti e lì si riposano. Tutti i colori si rovesciano»
Per Chagall la prospettiva di un viaggio a Parigi, pur rispondendo ad un pressante bisogno interiore, cela in sé il rischio della perdita delle radici.
“Mentre io in Francia prendevo parte a questa singolare rivoluzione della tecnica artistica, nel pensiero, e per così dire nella mia anima, io tornavo al mio paese natale.
Vivevo voltando le spalle a ciò che si trovava davanti a me”.
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Per questo motivo Chagall sente il bisogno di rappresentare nelle sue opere l’amore come quel collante universale che riunisce in un'unica cornice tutto il suo mondo, il suo presente e il suo passato ora, qui sulla tela, illesi e salvi per sempre. La moglie Bella con l’abito da sposa, Vitebsk, il violinista, il rabbino con il libro delle Sacre Scritture, i musicisti che allietano le feste popolari, laiche e religiose, le madri abbracciate ai loro bambini, gli uomini, le donne, gli animali, le favole e i miti della sua infanzia e naturalmente se stesso seduto in basso a destra, intento a osservare la scena e magari pronto, con la tavolozza in mano, a dipingerla.
Ecco allora che si comprende come per Chagall il ritorno sia sempre un ritrovare le proprie radici. Un ritorno a casa, quella casa che il figlio con nostalgia coltiva ancora nel suo cuore. La propria autentica casa forse amata e criticata, ma in ogni modo l’unica da ritenersi tale. Una casa dove trovare pane - certo - ma anche dove ristabilire quella relazione col Padre che mai è venuta meno e che risuona prepotente in quel “Tu sei sempre con me” rivolto al figlio maggiore.
Tornando allora al nostro dipinto comprendiamo meglio il senso di questa comunità tutta coinvolta e festante nell’accogliere il figlio.
Nell’abbraccio del Padre si muove l’abbraccio della gente. Questa comunità spaccata dalla partenza del figlio, si ricompone nel gesto paterno. Una ragazza porta dei fiori, un uomo alza l’archetto pronto a fare vibrare le corde del violino. Ognuno partecipa a suo modo, favorendo la danza della vita nuova, prendendo parte alla musica e alla festa. Anche i colori del dipinto sembrano aderire a questa atmosfera gioiosa, rendendosi vitali attraverso la scelta delle tonalità e nello stesso tempo presentandosi leggeri e pastosi.
Possiamo dunque dire che quel “Padre!” che ancora risuona dalla voce del figlio, è anche ‘Padre nostro’ come recitiamo nella preghiera dei figli ogni domenica. Come la misericordia si estende su tutti, così raccoglie tutti. Non è questione privata. Se il peccato spacca la comunità, così l’amore tenace e instancabile del Padre la ricompone. L’amore del Padre è onnipotente perché capace di ricomporre l’uomo e anche gli uomini tra loro. L’amore ricevuto non è mai solo per sé, ma estende i suoi frutti sulle persone che abbiamo ferito e trascurato.
Non a caso Luca sottolinea come Gesù stesso prima di narrare la parabola, proclama: “Così, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”. (Lc.15, 10) La gioia del figlio ritrovato o è comunitaria, o non è vera gioia.
Davvero il Padre rinnova la vita dei suoi figli, sempre e in ogni occasione. Il perdono e l’onnipotenza amante del Padre rinnovano ogni cosa, ogni persona.
Chagall esprime spesso questo concetto attraverso l’immagine singolare e ricorrente del galletto svolazzante, rappresentato qui in alto a sinistra vicino al sole, come segno di benvenuto e di energia vitale che si rinnova.
“Con il canto del gallo ritorna la speranza”, proclama un inno dei Padri.
“La speranza di un nuovo giorno, la speranza che la notte sia vinta da un nuovo giorno, la speranza che i fantasmi notturni fuggano per cedere il posto alla realtà della vita, sempre più bella di ciò che sogniamo”1.
1 Enzo Bianchi, Il pane di ieri, Ed. Einaudi, 2008, p.26
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Con il suo canto, il gallo segna anche che la notte è passata, una nuova luce appare all’orizzonte. Quella stessa luce biancastra dipinta qui da Chagall, che avvolge Padre e figlio di un nuovo chiarore. Davvero una nuova vita può rifiorire. È segno che è possibile per così dire un “ricominciamento” in qualsiasi momento.
Per concludere, desideriamo ricordare alcune significative parole dell’artista che quasi in una sorta di preghiera dice:
“Sono tuo figlio in terra
e cammino a fatica
tu m'hai riempito le mani
di colori, di pennelli
e non so come dipingerti
bisogna dipingere la terra, il cielo, il mio cuore
le città in fuoco, le genti che fuggono
i miei occhi in lacrime
dove bisogna fuggire, verso chi volare
quello che laggiù dona la vita
quello che manda la morte
forse sarà lui a fare
che il mio quadro s'illumini”.
Marc Chagall
Il Novecento fin dai suoi inizi è stato un secolo che si è caratterizzato per un continuo sorgere e tramontare di numerosi movimenti artistici tra i quali l’Espressionismo, il Cubismo, l’Astrattismo, il Dada e il Surrealismo. Non è corretto però pensare che ogni artista del Novecento si sia formato o sia avvicinabile a una di queste correnti artistiche. Marc Chagall infatti, fa parte di quel più ristretto gruppo di artisti per così dire”indipendenti”, in grado di osservare le novità e proporre nelle loro opere una sintesi originale fra le proposte dei movimenti artistici presenti del tempo e la propria concezione stilistica. Capaci cioè di cogliere, assimilare e rappresentare solo ciò che ritenevano compatibile con il loro stile e i loro soggetti.
Marc Chagall nasce a Vitebsk,un paese a nord-est della Bielorussia, nel 1887 da una famiglia di origine e di fede ebraica.
Inizia gli studi nel suo paese natale, continuandoli poi a San Pietroburgo e finendoli a Parigi (dal 1910).
Torna in Russia nel 1914 e vi rimane per alcuni anni in seguito allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. A causa di dissensi politici e artistici seguiti alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917, è costretto ad abbandonare la sua terra d’origine nel 1922 e a trasferirsi nuovamente a Parigi. Nel 1931 parte per un viaggio in Palestina con la moglie Bella “per colmare i suoi occhi dei luoghi sacri dell’Antico Testamento”. In seguito all’emanazione delle “leggi razziali”, Chagall nel 1939 è costretto a fuggire con la famiglia negli Stati Uniti dove tra alterne vicende e viaggi, rimane fino alla fine degli
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anni Quaranta . Nel 1950 si trasferisce definitivamente nel Sud della Francia in Provenza a Vence, dove muore nel 1985.
Ciò che alimenta tutta l’opera di Chagall è una storia dolorosa, di umili origini, di antichi rituali, di credenze religiose spinte all'eccesso, di emarginazione. Ma la sua lunga produzione è caratterizzata anche da alcune costanti psicologiche e figurative che rivissute in una dimensione quasi onirica del ricordo e della memoria, danno alle sue opere un carattere quasi di favola: la famiglia, il paese d’origine, la vita dei contadini nella terra russa, i sogni della giovinezza, i riti e la tradizione ebraica.
Si può dunque dire che la felicità, la serenità che egli ha ottenuto, sono state conquistate a fatica e credendo in qualcosa che era al di sopra sia del piccolo ghetto in cui era nato sia delle rigide prescrizioni che lo tenevano vincolato.
Valorizzazione catechistica
L’opera e l’approfondimento ben si prestano per un incontro agli adulti sul tema del perdono e della riconciliazione. Potrebbe essere lo spunto per un momento di riflessione con i genitori dei bambini che sperimenteranno per la prima volta il sacramento della riconciliazione.
Oltre che per l’incontro coi genitori, l’opera potrebbe essere collocata al centro della chiesa durante il momento preparatorio alla confessione individuale dei ragazzi.
La conclusione della liturgia penitenziale potrebbe prevedere il raccogliersi dei genitori attorno ai fanciulli riuniti assieme per richiamare il gesto espresso nel quadro. Lo scambio della pace tra tutti potrebbe infine esprimere la nuova accoglienza dei fanciulli nella comunità riconciliata.

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