sabato 10 settembre 2011

VENIRE AL MONDO PER MORIRE

.....E sono vissute, fragilmente vive, come qualunque bambino, benché nato sanissimo, al primo alito di vento, al primo abbandono di sua madre. Quanti sono i bambini che ci lasciano presto, troppo presto: negli ospedali, ogni giorno; in paesi lontani, dove riuscire ad afferrare la vita è un traguardo, e ogni giorno una benedizione. Quanti padri e madri si sentono dire: non è possibile, non riusciremo a salvarlo, a salvarla. Che baratro del cuore, o che supplica perché l’assurdo abbia senso e porti benedizione, ci cambi.....


il grande “perché” di Rebecca e Lucia

di Monica Mondo
Tratto da Il Sussidiario.net l'8 settembre 2011

Non ce l'hanno fatta Lucia e Rebecca, le gemelline siamesi ricoverate al Sant'Orsola di Bologna, unite dalla nascita per l'addome, con un solo cuore e un solo fegato in comune.

Cuore, fegato, dove da sempre fin dall’antichità l’uomo ha riconosciuto le sedi dello spirito vitale. Non bastavano a tutt’e due, non era possibile, oltreché doloroso, farli pulsare per una sola creatura. La storia così rara e sconcertante ha commosso e fatto discutere il Paese, ed è un bene, che ragione e sentimento siano spronati a domandare, a brancolare nel mistero della vita, a piegarsi davanti al limite, così umanamente inaccettabile, così liberante. Si sono interrogati i migliori chirurghi, i comitati di bioetica, e noi tutti.





Che fare? E soprattutto, siamo in grado di fare? Perché sarebbe stato bello che la scienza ci avesse promesso la salvezza per una delle due bimbe; ed era giusto sperarlo, pregare perché avvenisse, come autorevoli esponenti della Chiesa ci hanno ricordato. La vita prima di tutto, e una madre, un padre non hanno dubbi se salvare un solo figlio in una situazione tragica, o per non prendersi la responsabilità di lasciarli morire entrambi. Non è solo istinto, è intelligenza e amore, a muovere la scelta. E se è vero che ciascuno di noi è insostituibile, ciascuno di noi è unico e irripetibile, la sua sopravvivenza vale ogni lotta, ogni slancio. Eppure, non era possibile. Un intervento chirurgico, su corpicini così smunti e affaticati, avrebbe accresciuto il loro dolore, e avrebbe portato alla morte immediata di una sorellina, e quasi certamente alla morte successiva dell’altra. Così se ne sono andate insieme, dopo che avevano cominciato a guardarsi intono, a reagire, e avevano perfino acquistato un po’ di peso.

Chissà la mamma e il papà, a vederle succhiare dal contagocce di un minibiberon. Che tremori, che tenerezza, che generosità, nell’affidarle al loro destino. Che fiducia, nel dono ricevuto e da ridonare, che coscienza, che quelle figlie non erano una proprietà, un diritto, l’esito di una strategia pianificata. Pochi ricordano che i genitori sapevano prima del parto indotto prematuramente lo stato delle piccoline, ma che hanno tenacemente voluto portare a termine la gravidanza e far vivere quelle bambine ricevute. E sono vissute, fragilmente vive, come qualunque bambino, benché nato sanissimo, al primo alito di vento, al primo abbandono di sua madre. Quanti sono i bambini che ci lasciano presto, troppo presto: negli ospedali, ogni giorno; in paesi lontani, dove riuscire ad afferrare la vita è un traguardo, e ogni giorno una benedizione. Quanti padri e madri si sentono dire: non è possibile, non riusciremo a salvarlo, a salvarla. Che baratro del cuore, o che supplica perché l’assurdo abbia senso e porti benedizione, ci cambi.

Non è peggiore la sorte di Rebecca e Lucia. Che bello, i nomi di due grandi donne, che si danno la mano e tengono unite la tradizione ebraica e cristiana di cui siamo figli; papà e mamma, parlando di loro ai fratellini che speravano di giocarci insieme, di poterle accudire, diranno loro che hanno due angioletti in cielo. Non è una banale via di fuga, è la risposta più dolce e più umana. Su questa risposta al dolore si gioca il significato del nostro essere al mondo. L’alternativa è la rabbia per un fato avverso e sconsiderato, o il cinismo.

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