giovedì 27 agosto 2009

COSI' DON GIUSSANI CI MANDO' NELLA TERRA DELLE RIDUZIONES

Aldo Trento
lunedì 24 agosto 2009 testimonianza al meeting
«Carissimi amici universitari, vi auguro di avere tanta fede e tanta intelligenza da rinnovare la più grande impresa sociale e politica del vostro passato, l’impresa delle Reducciones. La fede in Cristo è il mezzo per vivere più intensamente anche questo mondo. Coraggio e arrivederci» (Don Giussani, Asuncion 23/7/1988).
Don Giussani non era mai stato nelle Reducciones, aveva letto solo un libro di un autore francese, eppure quel giorno di luglio di 21 anni fa con questo semplice e profondo giudizio ci ha portato nel cuore di questa esperienza accaduta 400 anni fa a cominciare dal 1609 quando il provinciale dei gesuiti della grande Provincia di Paracuaria, Diego de Torres, decise di inviare i primi due gesuiti verso sud, sulle sponde del Rio Tebicuary, principale affluente del Rio Paraguay,


a fondare la prima riduzione. Ad essa fu dato il nome del fondatore della Compagnia di Gesù, S. Ignazio Guazu (che significa “grande”). I due padri vi rimarranno pochi mesi, sostituiti da quello che sarà il primo martire paraguaiano, S. Roque Gonzales de Santa Cruz.
Con quel giudizio don Giussani ci ha aperto un orizzonte non solo sconosciuto a noi, un gruppetto di italiani recentemente giunti in Paraguay per impiantare il movimento di Comunione e Liberazione lavorando nella nascente Università Cattolica di Asuncion, ma anche per il mondo intero. Mai prima di Giussani si era registrato un giudizio di così grande portata storica. Ad essere onesti dovremmo ritornare a Voltaire, Montaigne, Chateaubriand, anche se la positività di giudizio di questi intellettuali aveva tutt’altro valore di quello del fondatore di CL. Solo Ludovico Antonio Muratori aveva preceduto Giussani in un simile giudizio con i libri “Il cristianesimo felice” e “Il paradiso del Paraguay”.
La mostra allestita a Rimini da parte di un gruppo di amici guidati da padre Ferdinando Dell’Amore riflette con precisione storica l’impegno che don Giussani ci aveva affidato in quel giorno e nello stesso tempo descrive l’origine di quello che molti hanno definito “Sagrado Experimento”: lo sviluppo, i protagonisti, la vita quotidiana. E anche come oggi quel fatto è diventato visibile nella parrocchia San Rafael.
L’origine è descritta in modo geniale dal “padre dei Guaranì” (il popolo indio della regione), Ruiz de Montoya nel suo diario “La conquista spirituale del Paraguay”: «Per due anni ci siamo guardati dal giudicare intorno al sesto e nono comandamento, assolutamente incomprensibili per i Guaranì, poligamici e cannibali. Ciò che ci siamo preoccupati di fare per non distruggere quelle tenere e giovani piante è annunciare l’avvenimento della bellezza di Cristo». Dopo due anni i Guaranì, diventati cristiani, hanno chiesto il matrimonio monogamico. Nasce la famiglia e con la famiglia il primo popolo cristiano della selva. Lo sviluppo, come affermano i protagonisti è stato il declinarsi chiaro, deciso, critico e sistematico dell’annuncio cristiano, valorizzando tutto ciò che di autenticamente umano c’era nella cultura Guaranì. I protagonisti sono stati i due o tre sacerdoti che vivevano in ogni riduzione, composta da un minimo di tremila a un massimo di cinquemila abitanti. Questi uomini, innamorati di Cristo “ad maiorem Dei gloriam”, sono stati protagonisti con gli indios di una nuova civiltà che potremmo definire come il Medio Evo latinoamericano. Il rapporto gesuiti-indios era definito dalla libertà. Come si potrebbe spiegare altrimenti l’amore, il rispetto, la creatività artistica, lo sviluppo economico e sociale, che hanno caratterizzato l’esperienza delle riduzioni?
Come documenta la mostra, la vita quotidiana era definita dall’avvenimento cristiano in tutti i dettagli, dall’uso perfetto del tempo all’igiene, dall’architettura alla musica. Essa, oltre che un tentativo di rendere giustizia a un’esperienza umana autentica, molte volte ignorata e censurata all’interno della stessa Chiesa, intende riproporre all’uomo di oggi il fatto che l’annuncio cristiano è il grande unico fattore capace di creare quella “civiltà della verità e dell’amore” citata proprio al Meeting da Giovanni Paolo II. La presenza a Rimini del vicepresidente della Repubblica del Paraguay, Federico Franco, e del ministro del turismo Liz Cramer, testimoniano l’importanza decisiva delle Riduzioni nella storia della nazione. È significativo il fatto che alla vigilia delle celebrazioni del bicentenario dell’indipendenza del Paese (tanto esaltata in questi tempi e strumentalizzate anche con fini laicisti e massonici), un decreto del Governo definisca le Riduzioni «fattore costitutivo e creativo della cultura e civiltà raggiunte dal Paraguay grazie all’annuncio cristiano».


Padre Aldo Trento, missionario in Paraguay: la luce nella notte
www.ilsussidiario.net

lunedì 25 agosto 2008
«Il mio unico progetto è fare quello che Dio mi mostra ogni giorno». In Paraguay la parrocchia di San Rafael guidata da padre Aldo Trento riprende la coscienza medievale e lo spirito delle Riduzioni dei Gesuiti. Si accompagna l’uomo dalla nascita al cimitero, mostrando come il cristianesimo crea una civiltà dell’amore. Padre Aldo (classe 1947, nativo della provincia di Belluno) è in Paraguay dal 1989 dopo una serie di esperienze anche traumatiche (il periodo della contestazione, una crisi affettiva e la depressione). La parrocchia di San Rafael ha circa 10mila abitanti e si trova nella capitale Asunción. Nel 2004 è nato il Centro di eccellenza dedicato a San Riccardo Pampuri che ha fin qui dato assistenza a 14mila malati («Piccole ostie bianche», come le chiama padre Aldo»). Un asilo, una scuola elementare, un’azienda agricola che prima era destinata al recupero dei carcerati e oggi è una succursale per i malati di aids non terminali. Due casette per i bambini orfani o malati di aids. La Casa Gioacchino e Anna per anziani, il Banco dei donatori del sangue, il Banco alimentare. Sono queste le altre attività sviluppate da padre Aldo che a partire dall’incontro con don Giussani ha ritrovato se stesso e ha accompagnato gli ammalati in particolare quelli terminali verso l’incontro con Cristo.

Padre Aldo, è difficile sintetizzare in poche righe la sua missione

Mi occupo anzitutto di malati terminali e depressi. Quello che è strano è che avevo terrore di finire in un manicomio. Ho alle spalle anni e anni di antidepressivi. La notte che porto con me è dolorosa, ma oggi la vivo con la gioia perché Dio per realizzare le sue opere ti vuole sulla sua croce con lui. Può fare anche diversamente, ma con me ha scelto questo metodo. Stare di fronte agli ammalati significa realmente immedesimarmi con loro fino al punto che quella sofferenza diventa mia, diventa preghiera e supplica.

Nei volti dei malati si può rivedere il volto di Cristo, eppure facciamo fatica ad accettare questa condizione

Basta pensare a me. Non avevo neanche per la testa di fare queste cose. Non avevo più voglia di vivere. I morti mi hanno sempre fatto paura così come i malati terminali. Ora tutti i giorni vedo la morte in faccia. Il nostro fine è che i malati terminali possano incontrare Cristo. La morte è come il momento del matrimonio nel quale si apre la porta della chiesa con il fidanzato che aspetta sull’altare la fidanzata. Una notte muore un malato di aids e un’infermiera mi ricorda che quando le donne andavano al sepolcro avevano con sé gli aromi e i profumi. Da allora anche da noi si fa così.

La bellezza di Cristo è capace di liberare il cuore dell’uomo?

Un ragazzo di 22 anni, piegato dall’aids, mi ha detto: «Padre, io non ho mai avuto nessuno come compagno nella vita, l’unico è stato l’aids. Oggi finalmente capisco cosa cercavo». Gli ammalati chiedono continuamente i sacramenti. Una mamma di 32 anni si è ritrovata con due bambine di 7 e 8 anni, affette da malattie congenite, morte in ospedale: è rimasta da sola con un bambino e ha scelto di adottarne altri 12 malati di aids. C’è anche chi, fra gli ammalati, ha scritto un canto per ricordare che la morte libera dalle catene del corpo e fa incontrare Cristo. Crispino, 34 figli sparsi ovunque, prima di morire ha organizzato una cena per festeggiare l’ultimo compleanno con tutti i malati. I racconti sarebbero molti.

Facciamo un passo indietro. Ripercorriamo le tappe della sua vocazione

All’età di 7 anni sento la prima chiamata, ma purtroppo ero troppo piccolo. A 11 anni durante una confessione il sacerdote mi chiese se mi sarebbe piaciuto diventare prete, dissi di sì un po’ anche per il timore della sua reazione. Poi mi accorsi che quel sì aveva cambiato la mia vita: desideravo essere totalmente di Cristo.

Quali sono state le difficoltà principali?

Durante gli anni della contestazione sono entrato in crisi. Ero irrequieto: la voglia di infinito e di totalità; il cristianesimo che avevo accolto non era in sintonia con il ‘68. A Padova da giovane prete incontro Potere Operaio e lì perdo la testa. Divento simpatizzante con tutto quello che ne seguì: i superiori mi mandarono - dopo il divieto da parte del vescovo di predicare in parrocchia - a Salerno a seguire i carcerati.

La prima svolta avvenne durante una manifestazione

Nel maggio del 1975 avevo aderito a uno sciopero contro l’imperialismo americano in Vietnam. Quattro ragazzi (di cui uno mi ha scritto questa settimana) del primo anno del liceo dove insegnavo mi videro con il giornale di «Lotta continua» e mi dissero: «Padre non è così che si cambia il mondo, lei dovrebbe insegnarcelo. Il mondo si cambia, il suo cuore cambia se incontra Cristo». Rimasi sconvolto. Incominciai a seguire l’esperienza di Cl. Da lì è iniziata la mia avventura fino al 1989 quando una crisi affettiva mi ha messo ko: da un lato capivo che questa persona era importante per la mia vita, dall’altra ero prete e la mia vocazione era fuori discussione.

Poi l’incontro e il rapporto con don Giussani

Consegnai la mia situazione a don Giussani, che mi disse: «Finalmente è accaduto il miracolo, adesso diventerai un uomo». Diventare un uomo ha voluto dire fare i conti con la mia umanità che non pensavo così drammatica e così dura. Il 7 settembre 1989 don Giussani mi ha accompagnato all’aeroporto per il Paraguay. Mi sono buttato in un disegno del quale Giussani era il tessitore e Dio la mano.

























































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