domenica 6 dicembre 2009

ARCIDIOCESI DI BOLOGNA

........Il matrimonio e la famiglia fondata su di esso è l’istituto più
importante per promuovere il bene comune della nostra regione.
Dove sono erosi, la società è maggiormente esposta alle più gravi
patologie sociali.
La prima erosione avviene quando si pongono atti che
obbiettivamente possono far diminuire la stima soprattutto nella
coscienza delle giovani generazioni, dell’istituto del matrimonio e
della famiglia. E ciò accadrebbe se al matrimonio e alla famiglia, così
come sono costituzionalmente riconosciuti, venissero pubblicamente
equiparate convivenze di natura diversa. Vi prego di riflettere
seriamente sulla responsabilità che vi assumereste approvando quella
norma........


COMUNICATO

L’Arcivescovo di Bologna S. Em. il Card. Carlo Caffarra rivolge un appello
al Presidente della Regione Emilia–Romagna, ai Membri della Giunta
regionale e del Consiglio regionale affinché non si proceda alla
equiparazione alla famiglia di forme di convivenza di natura diversa.
Se ne trasmette il testo.

Appello
Al Signor Presidente della Giunta regionale della Regione
Emilia – Romagna
Ai Signori Assessori della Giunta Regionale della Regione
Emilia – Romagna
Ai Signori Consiglieri componenti del Consiglio Regionale della
Regione Emilia – Romagna
Onorevoli Signori,
è la mia coscienza e responsabilità di
cittadino, di cristiano, e di vescovo che mi induce a rivolgervi questo
appello.
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Come molti cittadini della nostra regione, ho letto il Progetto
di legge di iniziativa della Giunta Regionale pubblicato sul
Supplemento speciale del Bollettino Ufficiale [n° 274 – 11 novembre
2009]. Il comma 3 dell’art. 42 pone sullo stesso piano singoli
individui, famiglie e convivenze nell’accesso dei servizi pubblici locali.
Già l’Osservatorio giuridico – legislativo della Conferenza
Episcopale dell’Emilia-Romagna ha espresso con pacate e
convincenti argomentazioni giuridiche l’inaccettabilità di questa
equiparazione. Non intendo ripeterle. Desidero rivolgermi alla vostra
coscienza di responsabili del bene comune su un altro piano.
Nell’omelia pronunciata in S. Petronio il 4 ottobre u.s. dissi che
chi non riconosce la soggettività incomparabile del matrimonio e
della famiglia «ha già insidiato il patto di cittadinanza nelle sue
clausole fondamentali». E’ ciò che fareste, se quel comma fosse
approvato: un attentato alle clausole fondamentali del patto di
cittadinanza.
Non sto giudicando le vostre intenzioni: nessuno ha questo
diritto. Ma l’introduzione di una norma giuridica nel nostro
ordinamento regionale, è un fatto pubblico che veicola significati che
vanno ben oltre le intenzioni di chi lo compie.
L’approvazione eventuale avrebbe a lungo andare effetti
devastanti sul nostro tessuto sociale.
Parlare di discriminazione in caso di non approvazione non ha
senso: se è ingiusto trattare in modo diverso gli uguali, è ugualmente
ingiusto trattare in modo uguale i diversi. Non sto dando giudizi
valutativi di carattere etico sulla diversità in questione. Sto parlando
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della logica intrinseca ad ogni ordinamento giuridico civile: la giustizia
distributiva è governata dal principio di proporzionalità.
Inoltre, coll’eventuale approvazione del comma suddetto
obbiettivamente voi dareste un contributo alla credenza falsa e
socialmente distruttiva che il matrimonio sia una mera “convenzione
sociale” che può essere ridefinita ogni volta che così decida una
maggioranza parlamentare.
Il matrimonio è una realtà oggettiva sussistente in una unione
pubblica tra un uomo e una donna, il cui significato intrinseco è dato
dalla sua capacità di generare, promuovere e proteggere la vita. Volete
assumervi la responsabilità di porre un atto che per sua logica interna
muove la nostra Regione verso una cultura che va estinguendo nel
cuore delle giovani generazioni il desiderio di creare vere comunità
famigliari?
Qualcuno potrebbe pensare che il comma in questione è una
scelta di civiltà giuridica: estende la sfera dei diritti. Dato e non
concesso che così fosse, ogni estensione dei diritti deve essere
pensata nell’ambito del dovere fondamentale di difendere e
promuovere il bene comune. Se così non fosse, si costruirebbe e
favorirebbe una società di egoismi opposti. Credo di poter dire che
nulla è più contrario alla nostra tradizione emiliano-romagnola, anche
di governo, di questa visione della società.
Onorevoli Signori,
come cittadino, cristiano e vescovo, rispetto la
vostra autorità; so che siamo liberi in forza della sottomissione alle
leggi; so che il vivere nella democrazia è stato anche nella nostra
Regione frutto del sacrificio della vita di tante persone, sacerdoti
compresi, la cui memoria deve essere custodita.
Ma colla stessa forza e convinzione vi dico che vi possono
essere leggi gravemente ingiuste, come sarebbe questo comma se
venisse approvato, che non meritano di essere rispettate.
Sono troppo convinto del vostro senso dello Stato
democratico per pensare che qualcuno di voi ricevendo questo
appello, possa parlare di “indebita ingerenza clericale” nell’ambito
pubblico, di grave vulnus alla laicità dello Stato. Laicità dello Stato
significa che tutti, nessuno escluso, possono intervenire nella
discussione pubblica in vista di una decisione – che è di vostra
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esclusiva competenza – riguardante il bene e l’interesse di tutti. La
laicità non è un fatto escludente, ma includente.
Onorevoli Signori,
vi chiedo di accogliere questo appello, di
riflettere seriamente, prima di prendere una decisione che potrebbe a
lungo termine risultare devastante per la nostra Regione. Dio vi
giudicherà, anche chi non crede alla sua esistenza, se date a Cesare ciò
che è di Dio stesso.
Assicurandovi la preghiera quotidiana per il vostro alto ufficio,
vi ringrazio fin da ora dell’attenzione che vorrete prestarmi.
Bologna, 1 Dicembre 2009
+ Carlo Card. Caffarra
Arcivescovo

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